Doppia laurea, è legge anche in Italia. Ma siamo pronti?

Negli atenei italiani sarà possibile iscriversi a due corsi di laurea: resta da vedere se gli studenti coglieranno l’opportunità. Il deputato Alessandro Fusacchia a SenzaFiltro: “Una misura di libertà in vista di mestieri digitalizzati”.

Da giovedì 28 aprile è in Gazzetta Ufficiale la legge, approvata lo scorso 6 aprile, che consente l’iscrizione in contemporanea a due corsi di laurea della stessa università o di atenei differenti, in Italia o all’estero, o a una laurea e un master, abolendo la disposizione in vigore dal 1933. Tra i limiti indicati il divieto di iscrizione allo stesso corso di laurea in università diverse e ai corsi di specializzazione medica, per i quali ci sono condizioni più vincolanti.

In base all’iter previsto, entro sessanta giorni dall’approvazione della legge, il ministro dell’Università e della Ricerca, previo parere della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), del CUN (Consiglio Universitario Nazionale) e del CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari), dovrà definire con apposito decreto modalità e criteri per consentire la doppia iscrizione. La legge stabilisce anche che, entro quattro mesi dalla conclusione del terzo anno accademico successivo a quello dell’entrata in vigore, il ministero dell’Università e della ricerca dovrà relazionare alle Camere sul suo andamento ed effettivo impatto.

Doppia laurea, il deputato Fusacchia: “Così l’Italia raggiunge l’Europa”

La nuova disposizione di fatto equipara la situazione italiana a quella europea, dove questa possibilità esiste ormai da tempo. Fino a questo momento, infatti, l’iscrizione a un’università straniera era l’unico modo per potere frequentare due corsi di laurea contemporaneamente.

“È stato abolito un divieto che esisteva dal 1933 e che di fatto permette all’Italia di recuperare un forte ritardo rispetto al resto dell’Europa”, spiega il deputato Alessandro Fusacchia, principale promotore della legge, arrivata a conclusione di un percorso lungo: “Abbiamo iniziato a lavorare all’inizio della legislatura, con una convergenza molto forte tra i vari partiti, abbiamo fatto un buon lavoro di sintesi, di cui mi sono fatto promotore nel mio ruolo di relatore alla Camera”.

Una legge che dovrebbe garantire maggiore velocità e flessibilità nella gestione del proprio percorso accademico, sostiene Fusacchia: “Abbiamo girato quindici università italiane con molti colleghi e il ritorno da parte degli studenti è stato fortissimo. La legge è una misura di libertà, i ragazzi sono liberi di costruire il proprio percorso in modo più dinamico. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia è onnipresente. La doppia laurea è l’estrema flessibilità concessa dal sistema per combinare due percorsi anche diversi tra loro, perché tanti ragazzi hanno capito che i mestieri del futuro sono digitalizzati. Se siamo in grado di fare questo si tratta di un passaggio importante per tutti, per il quale sono però necessarie competenze differenti. A mio avviso è anche utile per consentire ai giovani di comprendere su quale corso orientarsi e, una volta scelto, conseguire più velocemente anche il primo titolo di studi”.

Il nostro è però il Paese con un numero di laureati in percentuale molto più basso rispetto alla media UE (20% circa contro il 32%) e con una percentuale di studenti fuori corso, che non completano cioè il proprio percorso di studi nei tempi fissati per legge, storicamente rilevante, seppur in notevole diminuzione negli ultimi anni. Uno degli ultimi rapporti Almalaurea ha infatti rilevato che, se nel 2009 a terminare gli studi con quattro o più anni fuori corso erano 15,8 laureati su cento, dal 2019 si sono quasi dimezzati (8,1%).

Due lauree, più tempo per concluderle: “Ma è il sistema che si deve strutturare”

Se spesso si fa fatica a conseguire una laurea, siamo così fiduciosi che esista un numero consistente di studenti pronto ad affrontare questa nuova modalità?

Il dubbio è lecito per alcuni motivi: doppia università equivale a doppie tasse universitarie, per cui un’obiezione ricorrente è quella che si tratti di una misura per pochi. Tuttavia la disposizione prevede che chi ha l’esonero parziale o totale per la prima laurea, potrà usufruirne anche per la seconda, con l’obiettivo di avvantaggiare e incoraggiare gli studenti meno abbienti.

C’è poi un tema di tempistiche: chi si iscrive in contemporanea a due corsi di laurea inevitabilmente impiegherà più tempo a completare gli studi, riportando in primo piano il tema dei fuori corso.

“È ovvio che chi frequenta due corsi insieme ci metterà più tempo a completarli – continua Fusacchia – ma qui è il sistema che si deve strutturare. Le università devono incoraggiare i percorsi doppi. Molti atenei ragionano ancora come in pre-pandemia, trascurando le potenzialità dell’online, sia da un punto di vista della docenza che delle discipline”. Il riferimento è alla possibilità di frequentare corsi online di atenei di città diverse o con docenti stranieri che non devono per forza essere “in presenza”.

Un tema non banale, che richiede un inevitabile ripensamento del modo “tradizionale” di frequentare l’università e una riflessione ampia all’interno del mondo accademico, che dovrà rivedere la propria offerta non solo in termini di contenuto ma anche di modalità. “La ministra e il Governo stanno lavorando per rivedere le classi di laurea e tra tre anni ci sarà un primo monitoraggio per vedere se va aggiustato il tiro”, ha spiegato Fusacchia.

La nuova disposizione, insomma, dovrebbe portare, almeno nelle aspettative, un cambio di approccio sia da parte degli studenti che degli atenei. Vanno però considerati, last but non least, anche il “prima” e il “dopo”: un importante lavoro dovrà essere fatto anche nell’attività di orientamento scolastico, per preparare chi si affaccia all’università a questo importante cambiamento. Il “dopo” è quel mondo del lavoro che spesso non riesce ad assorbire chi esce dall’università o non trova le competenze di cui ha bisogno. Sarebbe più che mai opportuno analizzare se le scelte degli studenti ricadranno sui corsi che il mercato richiede, e se la stessa offerta formativa riuscirà finalmente a essere all’altezza di quel “mondo digitale” che cambia in modo sempre più veloce.

Studenti, atenei, scuola, politica devono cercare di fare più che mai squadra per dare concretezza a questa importante novità. Come diceva qualcuno, “fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”.

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