Il terzo aspetto che riguarda l’università nello specifico è quello dei neolaureati che lasciano i nostri centri di ricerca e sviluppo o rifiutano offerte aziendali al ribasso per trasferirsi in Paesi dove essere istruiti rappresenta un valore e non un handicap.
Il bando del MUR, in questo senso, non è solo un autogol comunicativo a favore di social, ma rappresenta la dimostrazione di come l’istituzione che dovrebbe maggiormente tutelare e valorizzare il proprio “patrimonio diretto”, cioè i laureati, sia invece la sabotatrice del suo stesso sistema.
Quantomeno legittima dunque la reazione della ministra Bernini per quanto – trasparenza per trasparenza – sarebbe stato molto più apprezzabile parlare di “errore culturale” anziché di “errore tecnico”.
La ministra dichiara di voler conoscere “il colpevole”.
Ma non facciamo l’errore di dare in pasto all’opinione pubblica un Signor Malaussène qualsiasi, quando è evidente che c’è un intero meccanismo che permette di pensare che 15 Persone possano lavorare ANCORA gratis per lo stesso datore di lavoro a cui hanno già ampiamente versato cinque anni di studi (rette, libri, trasferte, fuori sede), con costi che nel nostro Paese saranno ripagati in non meno di altrettanti anni di (eventuale) assunzione regolare per un posto di lavoro possibilmente coerente con quegli studi.