Formatori professionali: lavorano il doppio degli insegnanti di ruolo e guadagnano meno

L’istruzione e formazione professionale prepara studenti per il mondo del lavoro, ma è abbandonata a se stessa: i formatori (a partita IVA) lavorano trentasei ore contro le diciotto degli insegnanti di ruolo, con limiti retributivi ancora più bassi. E i lati negativi non finiscono qui.

Politiche retributive, carichi di lavoro, formazione, diritto al sostegno. Se le differenze tra un insegnante della scuola pubblica e un docente assunto da un CFP sono un infinito e pesante elenco, ad accomunare le due professioni non rimane che un’unica, incredibile verità: entrambe assolvono, per il biennio, all’obbligo scolastico. Per quanto accedere al ruolo – inutile negarlo – sia molto più semplice, la vita lavorativa di un formatore si prospetta negli anni come una singolare corsa a ostacoli. E, soprattutto, avara di diritti.

Istruzione e formazione professionale. Qualche numero sul tema

Sono in media circa centomila l’anno gli studenti che si iscrivono a percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP), dato di difficile lettura a causa della frammentarietà di un mondo ancora troppo disomogeneo tra le diverse regioni.

Nonostante sia da tempo riconosciuto come un sistema per contrastare la dispersione scolastica e favorire l’occupazione, nella IeFP manca ormai dal 2013 il rinnovo del contratto collettivo nazionale, con l’ovvia conseguenza di non poter offrire pari opportunità a tutti i potenziali iscritti e ai lavoratori del settore.

In linea generale, però, i percorsi triennali proposti nelle regioni del Nord sono ben integrati con il tessuto produttivo, grazie alla forte presenza di istituzioni formative accreditate. Aspetto non replicato nei territori del Centro-Sud, sebbene il modello della IeFP sia stato ormai adottato da ben diciannove regioni su venti. La mancanza di risorse finanziarie specifiche e certe non aiuta peraltro la continuità e la pluralità dell’offerta formativa. Lacuna da imputare alle regioni ma anche ai finanziamenti statali, ad oggi praticamente inesistenti.

A farne le spese, ça va sans dire, il personale impegnato in prima linea. In sostanza chi, in tutto questo marasma, si deve occupare di trasmettere cultura e sapere ai lavoratori del domani.

L’inclusività dell’istruzione e formazione professionale, ma senza diritto al sostegno

Insegnare in un centro professionale spesso si traduce in impegno sociale sotto ogni aspetto, proprio per il contesto di comunità all’interno del quale operano i docenti dei CFP. In uno studio curato nel 2019 dal dott. Giacomo Zagardo, ricercatore ANPAL, viene sottolineata ad esempio l’importante percentuale degli studenti di origine straniera, che supera il 13% del totale degli iscritti, rimarcando un aspetto non scontato di inclusività del comparto.

Vista dall’occhio del docente questa categoria di studenti si divide a sua volta tra chi è appena arrivato in Italia e non conosce la lingua e i ragazzi di seconda o terza generazione. Nel primo caso, spesso, la scelta di un corso professionale è dettata dall’apparente semplicità di un CFP rispetto ad altri percorsi scolastici e dall’orientamento ben definito verso l’apprendimento di un mestiere. Nel secondo, invece, sono talvolta coinvolte situazioni di indigenza e difficoltà economiche, che portano le famiglie a iscrivere i figli anteponendo le loro necessità al futuro di studenti con aspirazioni magari diverse.

La gestione delle relazioni con persone di origine straniera, comunque, non è l’unico aspetto di carattere interculturale. Una caratteristica ampiamente sottovalutata della formazione professionale è la capacità di contenere la dispersione formativa. Ben un iscritto su due proviene infatti da percorsi scolastici accidentati. I formatori si trovano quindi a mediare tra quattordicenni che effettuano con i CFP la loro prima scelta e post-adolescenti demotivati, ancora fermi al palo e che contribuiscono ad accentuare criticità già sistematiche.

Nel contenitore dell’inclusività non vanno infine dimenticati i bisogni educativi speciali. Al di là della rilevante percentuale di studenti disabili, i formatori ancora non si possono avvalere dell’insegnante di sostegno, figura non prevista per ragioni normative, cavalcate in modo puntiglioso dalle regioni, che in particolare non si attengono alla legge nazionale 104. Solo la Lombardia fa eccezione, offrendo tuttavia un contributo irrisorio, come racconta il sito Disabili.com.

Aspetti complessi, quindi, da aggiungere a tutte le difficoltà di iscritti con disturbi legati a fattori socioeconomici, linguistici, culturali e di tipo comportamentale.

Formatori e insegnanti: lavori simili, diversi benefici

Dicevamo quindi che i formatori dei centri professionali assolvono all’obbligo scolastico, al pari dei colleghi della scuola pubblica. Peccato però che i minimi retributivi siano ben diversi e a favore di questi ultimi, così come i carichi di lavoro previsti.

Sono diciotto le ore settimanali contrattuali stanziate per un insegnante della scuola pubblica, contro le trentasei dei docenti impegnati nella formazione, con un numero di ore in classe che spesso supera le ventisei. Su queste informazioni abbiamo raggiunto telefonicamente la professoressa Sara Carnelos, docente e giornalista professionista, che negli anni a più riprese ha sottolineato queste disparità, ponendole all’attenzione della regione di appartenenza, nel caso specifico il Friuli-Venezia Giulia.

Tanti i quesiti rimasti irrisolti. Ad esempio: che qualità di lavoro e di insegnamento si può garantire agli studenti dopo aver già sostenuto un numero altissimo di ore settimanali dedicate a lezioni frontali? Quanto incide per gli studenti stessi il doversi confrontare ogni giorno con formatori stressati e non performanti?

Non solo. Carnelos evidenzia anche un interessante focus rispetto al capitolo sulla formazione di questa categoria di lavoratori. Perché non è previsto alcun bonus per l’aggiornamento dei docenti a tempo indeterminato? Perché queste disuguaglianze tra gli insegnanti della scuola pubblica e i docenti dei CFP, costretti a pagare di tasca propria una formazione di qualità?

Senza dimenticare, infine, il cosiddetto decretosalvaprecari” proposto dal governo nel 2019, che ha di fatto escluso i docenti Iefp dal concorso di stabilizzazione. Il risultato? Insegnanti CFP con oltre dieci anni di carriera alle spalle considerati meno qualificati di colleghi statali con appena trentasei mesi di anzianità lavorativa, periodo minimo di docenza previsto per ambire al consolidamento. Punto dibattuto, oltre che da Carnelos nel nostro colloquio telefonico, anche da Marcello Pacifico, presidente di Anief, sindacato che al suo interno ospita professionalità di istruzione, università e ricerca.

Per il futuro della IeFP serve stabilità nelle carriere dei formatori e unità nazionale

Se per gli studenti il vantaggio di scegliere un percorso scolastico nella IeFP è legato alla cosiddetta via duale, alla possibilità cioè di entrare nel mondo del lavoro in pianta stabile o di proseguire con gli studi attraverso percorsi mirati, per gli insegnanti di questi istituti mantenere una carriera professionale stabile e una continuità didattica è tutt’altro che scontato.

Molti professori delle aree culturali si parcheggiano nel ruolo, in attesa di scivolare nel mondo della scuola pubblica, mentre i professionisti delle aree specialistiche spesso scelgono opportunità lavorative diverse e meglio remunerate. Infine, molti docenti collaboratori o a partita IVA continuano a disertare la vita scolastica, con tutto ciò che ne consegue a livello gestionale e sociale.

Il sogno, per chiudere il cerchio con le premesse iniziali, è di trovare un’unità nazionale che permetta di creare un fronte unico, anche se le regioni come la sempre chiacchierata Lombardia insistono nel mantenere totale autonomia. L’obiettivo, però, non può che essere volto concretamente verso l’ottenimento di una considerazione della professione a livello statale, per poi provare ad aprire varchi sul gravoso tema del sostegno e dell’attrezzatura scolastica, oltre che sugli aspetti retributivi e di gestione oraria settimanale.

Foto di Andrea Piacquadio su Pexels

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