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Fact checking sul lavoro: che cosa c’è nel programma del Terzo Polo
Digitale e stretta sul RdC: di che cosa parla il programma sul lavoro del Terzo Polo? Capiamolo con un’intervista a Luigi Marattin di Italia Viva, soprattutto per il peso centrale dato al lavoro autonomo: “Resistenze a politiche più giuste per gli autonomi vengono da chi pensa che il lavoro-principe sia quello dipendente, non dalle lobby”.
Il lavoro in quindici punti: tanti o pochi che possano sembrare, il Terzo Polo – l’unione è tra Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda – si presenta al voto politico del 25 settembre con un programma che lascia fuori temi giganti (la sicurezza sul lavoro è senz’altro il grande assente per un Paese che marca ormai una media di tre morti al giorno) ma al quale un merito va riconosciuto: prendersi la briga di ridare voce al mondo degli autonomi e strutturare buona parte del programma dedicato al lavoro intorno all’obiettivo.
Il Terzo Polo vorrebbe arrivarci passando anche per una revisione del decreto Dignità che, stralciando il passaggio dal loro programma politico, “combattendo il precariato, ha perseguito un obiettivo giusto in maniera totalmente sbagliata, penalizzando il lavoro flessibile regolare e fallendo nel contrastare le peggiori forme di precariato: false partite IVA, collaborazioni irregolari, false cooperative, falsi tirocini, appalti illeciti. Sono queste le forme da combattere aumentando vigilanza e sanzioni”.
Al lavoro autonomo, invece, tra poco ci arriviamo.
L’altro caposaldo delle loro intenzioni politiche per un’Italia più veloce e competitiva, e quindi non solo per il mercato del lavoro, sta nella parola digitale; soprattutto in una logica di occupazione giovanile, oltre che per ridurre la distanza tra popolazione anziana e burocrazia sfrenata (c’è un capitolo a sé, Innovazione, digitale e space economy).
Non poteva essere altrimenti, dato che sia Renzi che Calenda ne hanno sempre fatto il proprio cavallo di battaglia, talvolta cadendo di sella: da un lato il grande flop dei Digital champions firmati Renzi e la moda di spingere e far sovvenzionare dalla politica i mega incubatori di startup poi tristemente falliti, fino a diventare centri di formazione (SenzaFiltro ha seguito a lungo il tema in quegli anni d’oro), dall’altro il Piano Nazionale Industria 4.0 siglato Calenda, col quale senz’altro le imprese riassaporarono una iniziale verginità mista a modernità, ma col passo falso di arrivarci culturalmente impreparate e del tutto carenti come organizzazione interna.
Il digitale non è un fine ma un mezzo, e i finanziamenti tecnologici per beni materiali e immateriali e tutti i possibili sgravi fiscali fanno ben poco se le aziende non prendono prima coscienza di sé: in questo senso, nel punto del programma 2022 dedicato al sostegno alle imprese neonate, si coglie una maturità diversa che ridà il giusto peso al tessuto da PMI, tutto italiano, rispetto alle startup piglia tutto dell’ultimo decennio.
Luigi Marattin, Italia Viva: “Con la nostra riforma il RdC andrà più alle famiglie che ai single. E basterà rifiutare un’offerta per perderlo”
La disponibilità di Luigi Marattin a commentare con SenzaFiltro il programma politico del Terzo Polo è totale e immediata, con un capo Ufficio stampa altrettanto intrepido e informale: non è un dettaglio per chi fa il nostro mestiere di giornalisti e, siccome ci occupiamo di lavoro, il lavoro fatto bene va detto. Il deputato di Italia Viva è anche il presidente uscente della Commissione Finanze della Camera.
Ridare voce al lavoro autonomo, dicevamo, ma la curiosità a cui non resisto gliela pongo subito: chi scrive i programmi elettorali dei partiti?
“Il programma della Lista Calenda è stato redatto dal sottoscritto, da Maria Elena Boschi e dai due responsabili del centro studi di Azione, Gabriele Franchi e Silvia Vannutelli. Ma lo abbiamo fatto utilizzando i contributi di decine di parlamentari, esperti, dirigenti dei nostri due partiti. È stato quindi un vero lavoro di squadra larga.”
Per il Terzo Polo una grande discriminazione sta nell’escludere professionisti e lavoratori autonomi da bandi nazionali o regionali, da incentivi per la produzione, da agevolazioni fiscali: tutto questo perché il requisito di base è l’iscrizione alla Camera di Commercio, mettendo così al margine i professionisti aderenti ai rispettivi Ordini.
L’altra strada tracciata nel programma è di spinta alla crescita dimensionale degli studi professionali per essere più competitivi sul mercato: la crescita andrebbe percorsa sia come numero di professionisti coinvolti sia come capitale investito; la grande barriera in questo caso è il carico fiscale che la coalizione proverebbe a contrastare a livello normativo, contributivo e disciplinare. E poi, sempre per gli autonomi: riformare la modalità del saldo e acconto (inserendo un sistema mensile e spalmando da luglio a dicembre l’attuale acconto di dicembre e da gennaio a giugno dell’anno successivo l’attuale acconto di novembre) e potenziare la cassa integrazione (il riferimento esplicito nel programma è alla riforma della “indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa” introdotta per il triennio 2021-2023 con la legge di Bilancio 2021 e paragonabile a una cassa integrativa facoltativa, però con troppi sbarramenti all’accesso e con aliquote contributive troppo alte da versare all’INPS).
Il peso assegnato al lavoro autonomo è evidente nel programma. Al di là delle proposte concrete e di dettaglio inserite, vorrei una risposta molto onesta sulle resistenze che un futuro governo a vostra firma potrebbe incontrare su questo piano; resistenze politiche, lobbistiche, finanziarie. Questa è un’Italia che, quando parla di lavoro, sottintende quasi sempre e soltanto le imprese (Confindustria e il suo sistema coopta da sempre gli interessi sui grandi tavoli politici) e ci si dimentica della enorme fetta di autonomi senza tutele.
Nella mia esperienza, le resistenze a politiche più giuste nei confronti del lavoro autonomo non sono venute da grandi lobby finanziarie, ma piuttosto da chi pensa che il lavoro-principe sia quello dipendente, meglio se pubblico. Si tratta di persone rimaste con la testa agli anni Settanta del secolo scorso.
Tutto il primo blocco del capitolo Lavoro nel programma politico del Terzo Polo è dedicato al Reddito di Cittadinanza, su cui l’Onorevole Marattin si era già confrontato con SenzaFiltro in una recente diretta televisiva.
La vostra posizione è critica sulle modalità con cui si è gestito lo strumento, più che sullo strumento in sé. Proponete di eliminarlo dopo il primo rifiuto e di ridurne l’importo dopo due anni. Mi chiedo se avrebbe senso la vostra proposta, sapendo bene con quali criteri di leggerezza vengono formulate le offerte (compresi lo skill mismatch e il fatto che immaginate una riformulazione anche dei centri per l’impiego e dell’ANPAL): non si rischia di caricare i disoccupati e i poveri di una incompetenza a monte?
In Italia tendiamo ad affrontare ogni discussione come se fosse una sfida allo stadio tra curve ultrà. È evidente che vi sono sia persone che tendono ad approfittarsi dell’aiuto pubblico, che tante altre in condizioni di reale e oggettiva difficoltà. Il punto è disegnare politiche che sappiano distinguere una condizione dall’altra. Una volta definito un vero contesto di politiche attive (non certo il fallimento dei navigator), una efficace e chiara attribuzione di competenze nello schema di governance relativo a lavoro e formazione professionale, e un adeguato skill matching nella operatività quotidiana, il rifiuto di una offerta per noi è sufficiente.
Sempre sul RdC, che cosa intendete con rendere “più giusti e inclusivi i criteri di accesso”? Troppo spesso la politica ci parla di giustizia e inclusione ma, da altrettanto troppo tempo, la forbice dell’ingiustizia e dell’esclusione l’ha fatta da padrone.
Per quanto riguarda l’accesso, l’attuale Reddito di Cittadinanza ha il requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni. Il reddito di emergenza, durante la pandemia, aveva semplicemente il requisito della residenza. Quale modello si ritiene più adatto? Inoltre, l’attuale criterio premia di più i single che le famiglie numerose. Noi riteniamo invece che la povertà sia più pericolosa quando si annida in un contesto in cui si sono molti figli, perché tende a influenzare in modo drammatico le prospettive di sviluppo future dei giovani.
Forte, infine, la posizione del Terzo Polo sull’urgenza di un rafforzamento delle competenze in capo ai percettori di RdC: come? Consentendo alle agenzie private per il lavoro di accedere ai dati dei percettori in modo da potenziarne la formazione e affiancare i centri per l’impiego nella ricerca di una occupazione idonea. L’altra via proposta dal Terzo Polo per il potenziamento delle competenze seguirebbe la strada degli ITS e delle scuole private e pubbliche di alta formazione.
Il salario minimo del Terzo Polo: “Minimi diversi vincolati a contratti collettivi, nostra proposta più forte giuridicamente”
Impossibile, per i partiti, non fare riferimento di questi tempi al salario minimo. In una intervista fatta poche settimane fa da SenzaFiltro a Tito Boeri, l’economista ed ex presidente INPS chiariva che “il salario minimo serve a contenere il potere contrattuale dei datori di lavoro nei confronti di alcuni loro dipendenti impedendo ai primi di pagare i secondi al di sotto della loro produttività”. Aggiungendo che, “come negli altri Paesi, ci vuole un salario orario minimo che valga per tutti i lavoratori indipendentemente dal settore in cui operano, e non tanti salari minimi quanti sono i minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi”.
Voi, invece, andate nella direzione dei contratti collettivi per il salario minimo. Con tutti i contratti collettivi che abbiamo in Italia, come tutelereste un lavoratore a basso reddito che fa fatica a capire quale minimo gli spetterebbe?
In linea teorica non è sbagliato avere livelli minimi differenti a seconda del settore, in quanto la produttività media differisce a volte in maniera considerevole. E poi, non capisco: stiamo dicendo che un contratto collettivo firmato (e, nella nostra proposta, molto più forte giuridicamente) può essere rispettato solo se il lavoratore lo reclama, andando a cercare materialmente il contratto in uno scaffale polveroso? Mi pare una rappresentazione un po’ semplicistica.
Lascio l’Onorevole Marattin con una domanda che va al di là di un programma politico che tiene sotto lo stesso ombrello Italia Viva e Azione, che allaccia Renzi a Calenda. La mia domanda parla proprio dell’ombrello.
Che cosa ci guadagna Italia Viva, e a che cosa rinuncia, andando alle prossime elezioni con Azione di Calenda?
Per chi, come me, crede che l’offerta politica italiana abbia bisogno di un partito liberal-democratico riformista e popolare, non c’è stato nulla a cui rinunciare. Perché l’unione tra Italia Viva e Azione è l’embrione di questo nuovo partito, che dovrà coinvolgere anche tutti coloro che non si rassegnano a vedere l’Italia in mano a populisti e conservatori di ogni specie.
Le coalizioni politiche sono fatte di buone intenzioni, speranze, illusioni e tanta colla.
Le prossime elezioni politiche – sature di coalizioni opinabili che valuteremo non solo alla prova delle urne, ma soprattutto alla prova dei mesi a venire – ci riveleranno la qualità della colla. Se era buona, se si è seccata troppo in fretta, se il taglio a monte era così irrecuperabile che nemmeno la migliore delle colle sarebbe stata in grado di sanare il danno e di tenere insieme i pezzi. Nel frattempo, e nel mezzo, ballano le nostre vite e i nostri lavori.
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Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.
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