Dal Reddito di inclusione al RdC, con un milione di poveri in meno

Prima del Reddito di Cittadinanza c’era il Reddito di inclusione, nato dal basso sulla spinta dell’associazione Alleanza contro la povertà: scopriamo quali differenze ci sono tra i due e le possibili migliorie al RdC con il membro del comitato esecutivo dell’Alleanza Oriano Giovanelli.

Prima del Reddito di Cittadinanza c’era quello di inclusione sociale, meno potente dal punto di vista economico (cioè i Governi vi investivano meno), ma comunque efficace per andare incontro alle fasce di popolazione in aumento, che necessitano di un robusto sostegno statale. A inventarlo fu l’Alleanza contro la povertà, una rete che racchiude 36 associazioni che operano sul territorio italiano e che ancora oggi hanno il polso della situazione dei poveri in Italia.

“Il Reddito di Cittadinanza – dice Oriano Giovanelli, membro del comitato esecutivo dell’Alleanza – è stato il figlio illegittimo. Il nostro nasce da una proposta che parte dalla società civile. Siamo una rete di associazioni, in tutto 36 realtà. Abbiamo docenti universitari e non solo che hanno sempre lavorato con noi e che sono in grado di darci uno spaccato sulla situazione sociale in Italia. Era il 2014 quando abbiamo proposto a parlamentari e ministri questa forma di sostegno alla povertà, l’idea è maturata così. Chi ha tradotto in pratica il nostro progetto è stato il Governo Gentiloni, che firmò un memorandum in aprile in cui si diceva che avrebbero emanato un decreto per farlo entrare in funzione. E così è stato. Il Reddito di Cittadinanza si avvicinava alla nostra proposta, ma l’unica vera differenza stava nell’importo”.

In quel periodo l’ISTAT parlava di 5 milioni di poveri in Italia e l’Alleanza contro la povertà chiese che il governo investisse 5 miliardi di euro per far fronte all’emergenza. “Il Governo – ricorda Giovanelli – in quel frangente ne mise a disposizione la metà con un piccolo piano. Durò poco: entrò in vigore a fine 2017 poi nel 2019 si fece il Reddito di Cittadinanza, che non è una misura che nasce dal basso, ma come proposta della maggioranza. Con questa nuova forma di sostegno alla povertà il Reddito di inclusione è uscito di scena”.

Reddito di Cittadinanza e di inclusione: che cosa cambia?

Tra i due ci sono delle differenze.

Innanzitutto al Reddito di Cittadinanza gli stranieri possono accedere dopo dieci anni, ma soprattutto il REI prevedeva un accompagnamento maggiore nella compilazione della domanda, che non tutti sono in grado di effettuare. E poi c’è la questione economica: il governo gialloverde mise a disposizione 6 miliardi di euro. Il massimo assegno che veniva corrisposto con il Reddito di inclusione era di circa 500 euro; con il Reddito di Cittadinanza si arriva anche a 800 euro al mese.

Senza il Reddito di Cittadinanza – continua Giovanelli – avremmo avuto comunque un milione di poveri in più”. Anche i numeri del REI erano stati un sostegno per molte famiglie. Nel periodo che va dal gennaio 2018 al marzo 2019 sono stati erogati benefici economici a 506.000 nuclei famigliari, coinvolgendo un totale di 1,4 milioni di persone. La maggior parte dei benefici è stata erogata a nuclei residenti nelle Regioni del Sud (68%), con interessamento del 71% delle persone coinvolte. Il 46% dei nuclei beneficiari del REI, che rappresentano il 50% delle persone coinvolte, risiede in sole due Regioni: Campania e Sicilia. A seguire Puglia, Lazio, Lombardia e Calabria coprono un ulteriore 29% dei nuclei e il 28% delle persone coinvolte. Le prestazioni nel periodo gennaio-marzo 2019 sono state 38.000. L’importo medio erogato è stato pari a 292 euro e risulta variabile a livello territoriale, con un range che va da 234 euro per i beneficiari della Valle D’Aosta a 324 per la Campania. Complessivamente le regioni del Sud hanno un valore medio del beneficio più alto di 50 euro (+21%) rispetto a quelle del Nord e di 33 euro (+12%) rispetto a quelle del Centro.

La proposta degli in work benefit: il RdC si somma agli stipendi più bassi

Il Reddito di inclusione non era orientato alla ricerca di un lavoro, ma era innanzitutto una misura di sostegno; al contrario del Reddito di Cittadinanza, che prima di essere una misura di reinserimento è innanzitutto un modo di sostenere quanti sono usciti dal mondo del lavoro per svariati motivi, che vanno da oggettive difficoltà a carenze a livello formativo.

“Secondo alcuni dati ANPAL – dice Giovanelli – il RdC si divide in due. Una parte va ai centri per l’impiego e una ai servizi sociali. Quest’ultima va per la sua strada e sostiene tutte le persone che non sono in condizione di lavorare. Tutti gli altri potrebbero lavorare. La ricerca dell’ANPAL dice che la maggior parte delle persone avviate ai centri per l’impiego non ha un lavoro da almeno due o tre anni, perché ha titoli di studio bassi o non ha competenza. Sono persone che potenzialmente possono lavorare, ma che non hanno di fatto la capacità.”

“Per risolvere questo problema una delle nostre proposte è quella di sommare con i cosiddetti in work benefit. Sono cioè degli incentivi che stimolano al lavoro. In pratica il Reddito di Cittadinanza va a sommarsi al reddito da lavoro, magari basso, per arrivare a uno stipendio base. Chi magari trova una lavoro part time o in un’azienda che più di tanto non lo può pagare, non perde il Reddito di Cittadinanza, ma lo somma allo stipendio. Abbiamo fatto questa proposta alla scorsa legge di bilancio ed è stata ripresa dalla commissione presieduta da Chiara Saraceno”.

Il Reddito di Cittadinanza e il fallimento dei PUC

L’altra grande partita che si sono trovati a giocare i percettori di Reddito di Cittadinanza sono i cosiddetti PUC, quei programmi che vengono iniziati dalle amministrazioni comunali, nei quali i percettori di RdC compiono dei lavori in cui si rendono utili alla comunità.

Quella che sulla carta sembrava essere una bella idea nella messa in pratica si è rivelata più complessa del previsto a causa della lunga trafila burocratica con la quale si devono confrontare le amministrazioni comunali che presentano dei programmi. L’iter risulta essere piuttosto lungo e complesso, soprattutto per reperire i beneficiari del Reddito di Cittadinanza ai quali è necessario offrire una mansione che sia comunque commisurata alle loro abilità. Chi è in particolare difficoltà in questo caso sono le piccole amministrazioni, che a livello di personale e preparazione non sempre hanno i numeri necessari per gestire i carichi di lavoro.

“Il processo burocratico – spiega Giovanelli – crea problemi alle amministrazioni comunali, che non sempre sono in grado di muoversi sulle piattaforme. A questo proposito siamo stati noi stessi a proporre che questi piani diventino volontari e non più obbligatori per i percettori di Reddito. Devono essere strumenti di reddito e non più strumenti di lavoro. Non devono nemmeno togliere lavoro, ad esempio, alle cooperative sociali, che spesso impiegano persone fragili. Bisogna tenere conto poi delle difficoltà che hanno molte amministrazioni comunali, che non sono nelle condizioni di richiedere questo tipo di attività. Bisognerebbe innanzitutto semplificare il processo burocratico e iniziare a far funzionare al meglio le politiche attive per il lavoro”.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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Foto di copertina di Wolfgang van de Rydt da Pixabay

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