Mens insana in corpore sano: le restrizioni e la salute mentale

L’emergenza porta a tutelare la salute fisica, ma non quella mentale. I risultati? Ansia e depressione su tutti. Ecco perché.

Secondo l’OMS, nel 2020, con “salute” si intende uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente assenza di malattie o infermità.

Quando si parla di salute non possiamo dimenticare che si tratta di un costrutto socioculturale, e che nelle varie epoche il concetto di salute si è andato via via modificando in funzione di come sono cambiati i valori di riferimento, così come sono cambiate le categorie di individui di cui si è tentato di tutelarla. Il diritto alla salute non è sempre stato appannaggio di tutti i cittadini in tutte le zone del mondo.

Quando si parla di salute è più utile far riferimento a un insieme di competenze da acquisire volte a gestire le situazioni di rischio che possono presentarsi, di varia natura. Quindi la salute è un contenitore più grande della sanità riferita solo al corpo.

Eppure la maggior parte degli interventi attuati dai professionisti che intendono promuovere la salute spesso sono rivolti solo alla sanità del corpo. Questo alcune volte comporta il rifiuto delle indicazioni degli esperti del settore, vissute come esercizio del potere che identifica il cittadino come malato, deresponsabilizzato nel processo di costruzione delle proprie scelte.

La salute è diventata un lusso?

Nel 2020, con la pandemia in corso, la salute non è più un diritto garantito a tutti. Diventa sempre più un lusso, semplicemente perché non a tutti è data la possibilità di fermare la propria vita lavorativa garantendosi comunque un futuro e una salute dignitosa. Non tutti, inoltre, dispongono di un sistema famigliare e sociale che riduca una percezione della solitudine sempre più invalidante.

Costruendo situazioni di precarietà socioeconomica e culturale la salute non viene tutelata secondo la definizione dell’OMS, ma neanche secondo il buon senso. Le prescrizioni tecniche dovrebbero costruire competenze personali e collettive di protezione della salute collocando le persone in un ruolo attivo, responsabile.

Se le istituzioni hanno il dovere di educare e promuovere la salute, durante la pandemia in Italia il peso maggiore nelle decisioni politiche si è avuto solo in favore della sanità del corpo, con forme spesso repressive. Come se le persone fossero solo corpi da proteggere da un virus e non sentissero altre forme di priorità esistenziali: tra le più urgenti sono emerse l’angoscia creata dalla solitudine imposta e protratta nel tempo, il terrore di non avere da mangiare per sé e per le persone di cui si è responsabili, la chiusura di attività commerciali, l’abbandono di persone care in strutture deputate all’assistenza o alla cura, la mancata formazione culturale per i giovani, l’arte e lo spettacolo completamente dimenticati. E la lista va avanti.

Curare il corpo ma non la mente: i limiti delle prescrizioni governative

A otto mesi dall’inizio della pandemia sono tristi i bilanci riguardo gli aspetti sociali e mentali della salute.

Abbiamo assistito all’aumento del consumo di sostanze psicotrope legali e non (psicofarmaci e droghe), che sono sempre soluzioni individuali e prettamente corporee, spesso inefficaci e lesive. Abbiamo assistito al paradosso dei disservizi terapeutici e diagnostici legati a tutte le altre patologie organiche, e all’inadeguata assistenza di tutte le persone portatrici di disabilità o di sofferenze psicologiche preesistenti alla pandemia.

Numerosi anche i suicidi, durante questi mesi, imputabili alla gestione dello stato di emergenza COVID-19. Se ne sono registrati sia tra i cittadini che nel personale medico sanitario e nelle forze dell’ordine, sotto la pressione di un futuro sempre più incerto e di un eccesso di responsabilità professionali senza strumenti efficaci di gestione del rischio contagio.

Da psicoterapeuta a Vienna ho notato che spesso gli italiani in territorio austriaco hanno seguito le indicazioni di gestione italiana, focalizzata quasi esclusivamente sulla sanità, nonostante in Austria il concetto di salute sia stato tutelato a partire dalle tre dimensioni: fisiche, sociali e mentali (a nessuno è mai stato impedito di passeggiare o correre fuori casa).

L’ansia come risposta naturale a stati di emergenza può diventare di difficile gestione, se le persone non sentono di poter cambiare gli aspetti della propria vita che avvertono come problematici, soprattutto perché durante la pandemia la vita di tanti era in delega alle scelte politiche. Piuttosto che responsabilizzare il cittadino alla tutela della propria salute in toto, si è scelto di privarlo della libertà, pensando così di tutelare la collettività.

La cultura del sacrificio per il bene di tutti ha lasciato il passo alla necessità di provvedere alla propria sopravvivenza individuale a breve termine, perché la cittadinanza ha iniziato ad avvertire di non essere tutelata nelle tre dimensioni, fisica, sociale e mentale.

Le persone agiscono sempre in funzione di un’anticipazione del proprio futuro. Se non si riescono a trovare soluzioni nel presente il futuro appare sempre più nero, e le scelte di fine vita alcune volte appaiono le uniche possibili.

Come nascono il negazionismo e le rivolte?

Una gestione politica della pandemia che non tiene conto della complessità degli individui è destinata a creare opposizione da parte della cittadinanza, perché non è possibile pensare che si possa educare alla salute con forme prescrittive e repressive.

Il concetto di compliance in medicina e psicologia è noto da tanto sia negli ambienti accademici che clinici. Descrive il processo psicologico per cui se le persone non si fidano del loro medico non assumeranno né le terapie farmacologiche né le prescrizioni comportamentali.

Una prescrizione medica, quindi, sarà efficace e verrà messa in atto solo se il paziente si fida del proprio medico. Dopo mesi di informazioni discordanti tra esperti tecnici, di provvedimenti non chiari, di mancata tutela della salute in tutta la sua complessità, di mancata attenzione nei confronti dei giovani, della scuola, della cultura, dell’economia, i negazionisti o le rivolte in piazza sottendono a una mancata compliance tra la cittadinanza e gli esperti nominati dal governo.

Si parla di “dittatura sanitaria” proprio perché un buon rapporto medico-paziente si sviluppa secondo due criteri essenziali:

  • la provata competenza del medico;
  • la capacità del medico di ascoltare i bisogni del paziente, adattando la terapia ai bisogni complessivi di salute.

Ogni obeso sa che mangiare senza criterio è lesivo per la sanità del corpo, ma un buon medico non può dimenticare i vantaggi psicologici che si possono trarre mangiando in modo inadeguato, come calmarsi, intrattenersi, socializzare, provare piacere. Tutti vantaggi che, a seconda della situazione, possono essere prioritari rispetto alla necessità di tenere i valori dei trigliceridi o del glucosio bassi.

Una prescrizione comportamentale che fonda il suo operato solo sulla gestione del corpo (ad esempio: segui la dieta!), senza tenere conto delle biografie delle persone, di sistemi culturali e bisogni sociali, dei processi di costruzione delle esperienze individuali e collettive, è destinata a perdere efficacia.

Se l’emergenza percepita è più potente di quella globale

Si agisce sulla base del pericolo percepito come più reale, e sulle anticipazioni che si riescono a fare sulla propria vita.

Ormai la gente percepisce che si potrebbeprobabilmentemorire di COVID-19, ma dopo otto mesi di precarie attività lavorative e sociali (negozi, istruzione e cultura bloccati, gente isolata) queste variabili iniziano a causare problematiche ritenute certe e non più probabili.

Si agisce spesso sulla base delle emergenze percepite, e ora l’emergenza percepita non è più il rischio di contagio, ma l’economia al collasso, la socializzazione, l’equilibrio psicologico. C’è da chiedersi: quanto può durare un’emergenza perché venga ritenuta tale?

Occorre imparare a convivere con il virus tentando di garantire una vita adeguata a tutti. Aver paura del virus, ormai, è un lusso che in pochi possono permettersi, essendo emerse altre forme di emergenza, tra le quali i bisogni sociorelazionali e culturali.

Molti cittadini percepiscono di trovarsi in situazioni personali molto più pericolose del rischio di contagio, motivo per il quale iniziano a ribellarsi alle scelte del governo, avvertite come assai lontane dai propri problemi concreti, non stimati statisticamente.

Se la salute è un fenomeno complesso, lo è necessariamente anche la gestione di uno stato di pandemia che per definizione coinvolge stati e continenti. Ci sarebbe da chiedersi come mai non si siano stabiliti criteri unici per il conteggio di morti per COVID-19, ritrovandosi a fare confronti tra Stati piuttosto approssimativi e forzati dal punto di vista matematico.

Per i cittadini stanchi dell’attesa, isolati, spaventati, il governo consiglia mascherine e chiusure (alcune volte illogiche), piuttosto che potenziare i trasporti (luoghi ad altissimo contagio), investire nella ricerca scientifica (la fuga dei cervelli dall’Italia è nota da decenni), interrogare esperti di comunicazione e complessità per valorizzare le risorse che si possiedono, invece di fare polemica su quello che manca. Un aspetto quanto mai necessario dopo mesi di comunicazioni terroristiche e strategie fumose.

Photo credits: www.fool.com

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