Perché non ha senso paragonare IO a IMMUNI

L’app IO, quella che serve ad attivare il rimborso del 10% sugli acquisti effettuati per un massimo di 1500 euro, in dieci giorni ha superato i download che l’app IMMUNI ha totalizzato in sei mesi. Non capisco cosa ci sia di sorprendente. In questi giorni, in vista della dichiarazione da parte della Regione Lombardia del […]

L’app IO, quella che serve ad attivare il rimborso del 10% sugli acquisti effettuati per un massimo di 1500 euro, in dieci giorni ha superato i download che l’app IMMUNI ha totalizzato in sei mesi.

Non capisco cosa ci sia di sorprendente. In questi giorni, in vista della dichiarazione da parte della Regione Lombardia del “downgrade” di Milano a zona gialla, questa era la situazione per le strade già prima del weekend. Stesse scene le abbiamo viste a Bari (the “bright side of Milano”) e in altre città italiane, abbastanza per poter con una certa tranquillità affermare che si, gli Italiani hanno più a cuore il denaro della salute.

Mi sembra che questa evidenza fosse già stata accertata durante la prima ondata anche a livelli ben più alti. Mentre i cittadini, ligi alle decine di versioni di DPCM promulgati quindicinalmente dal Governo, nello stesso momento in cui le terapie intensive esplodevano e medici ed infermieri imploravano attenzione, nelle aree del nostro Paese più segnate, i Presidenti di Regione lucravano sulla pandemia, rinomati ospedali gonfiavano fatture e i rappresentanti degli industriali pur di tenere aperte le fabbriche scaricavano la responsabilità della pandemia sulle mucche. Ma questa è un’altra storia.

Pertanto, si può ribadire senza ombra di dubbio che a tutti i livelli, nel nostro Paese l’economia conti più della salute.

Tuttavia, nel primo caso ritengo profondamente umano che dopo un anno di fermo, soprattutto per chi il lockdown lo ha rispettato alla lettera e magari continua ancora a rispettarlo, sia prioritario aggiungere alle varie app del proprio smartphone un’applicazione per farsi rimborsare con certezza la spesa, che non scaricarne una che – nella fortunatissima ipotesi di segnalazione di contatti fra contagiati – non mi garantisca alcuna procedura risolutiva.

Anche all’interno della nostra redazione, chi è stato avvisato dall’app, per avviare la procedura (in una grandissima città), si è dovuto far raccomandare.

La necessità di sentirsi “a posto”

Sui social in questi giorni si è scatenato un flusso di post tutti molto simili: nazional popolari nello stile tipico dell’egocentrismo da bolla social(e) in cui tutti la pensano esattamente come noi, imperativi nel tono di voce e strapieni di pregiudizi nel risultato. Dopo un primo flusso di sberleffi nei confronti della piattaforma che si è incriccata alle prime migliaia di connessioni, il tema immediatamente successivo riguardava (in breve) coloro che si sono rifiutati di scaricare immuni per motivi di privacy e poi – poveri stupidi – per quattro soldi stavano regalando numeri di carte di credito, codici IBAN e CVV.

Centinaia i post di questo genere, da parte di utenti semplici ma anche VIP e Media, in cui non solo non cambia il tono canzonatorio, ma sono anche tutti ben appiattiti nei contenuti al punto tale che viene quasi il sospetto che il vero tema non sia la rivalsa delle intelligenze di chi fa notare il controsenso nell’aver chiamato in causa la privacy per poi alla prima occasione dimenticarsene per qualche spicciolo, ma bensì la necessità di volersi smarcare dalla possibilità di sentirsi a propria volta un pò idioti nell’aver scaricato un’app che non solo non ha ottenuto il successo sperato, ma è risultata ampiamente inefficace da test un pò più scientifici contrariamente alle dichiarazioni dei suoi sostenitori e di qualche ambassador reclutato nei noti circoli autoreferenziali degli innovatori.

A cui si aggiungono un paio di richiami dall’ authority europea per non aver rispettato correttamente alcune procedure di registrazione dei protocolli.

Per chi fa finta di non capire

Due articoli molto interessanti che vanno ben oltre le chiacchiere da bar li hanno scritti Simone Cosimi su Esquire di cui riportiamo una delle riflessioni:

Il cashback non è un concorso a premi con Babbo Natale a sfilare regali dal sacco né una corsa allo sconto o un invito allo shopping scatenato. Per certi versi è anzi il suo esatto contrario: è l’esortazione a provare a traghettare gran parte degli acquisti che prima facevamo in banconote sulle carte di credito e debito (e speriamo presto sulle app di pagamento), ottenendo un piccolo rimborso ma consentendo allo stato di tracciare quanto prima rimaneva spesso in nero. Pagateci la spesa, i cinque euro del pane e del latte così come il rifornimento settimanale, saldateci i 100 euro dovuti al gommista, lui che di solito non si avvicina neanche al registratore di cassa o al libretto delle ricevute fiscali, per la ruota sostituita, sventolate la carta al fruttivendolo così come al libraio, al barbiere e perché no, anche al bar. L’idea che l’app IO, con qualche milione di download, possa aver mosso le folle oceaniche viste nello scorso fine settimana supererebbe le migliori aspettative dei responsabili di PagoPA e dell’app IO.

Breve richiamo all’onestà intellettuale

Siccome sembra che gli autori di così tanti post siano persone tecnologicamente al di sopra della media, sarebbe apprezzata una seria critica altrettanto tecnica a quello che è non solo una tecnologia inefficace per il tracciamento, ma anche nei confronti di una procedura che in tantissimi hanno testimoniato essere un vero e proprio inferno burocratico.

Ma non torneremo su questi due temi poiché ne sono strapieni i media e basta solo cercare (qualora non bastassero i link suggeriti).

[…] A livello epidermico, per piacere, non diciamo sciocchezze: gli italiani sono ben altro. Nel merito, invece, da utente di Immuni della prima ora e da fermo sostenitore della valenza civica dell’iniziativa dico: non è un accostamento che tiene, sono due piani totalmente differenti e non sovrapponibili. Eppure questo genere di affermazioni, infarcite di retorica, attecchiscono come benzina nell’infuocare gli animi dei guerriglieri da tastiera con il risultato che tutti conosciamo: né aggiungono valore costruttivo, né risolvono i problemi. Esasperano solo gli animi in un momento nel quale forse dovremmo sforzarci tutti nel rimanere coi nervi saldi, per non far ribaltare la barca in cui siamo considerando che le acque sono già abbastanza agitate […].

dal blog di Antonio Lupetti

Uno dei nostri lettori, in seguito alla lettura dell’articolo, mi faceva notare un passaggio importante:

Per qualcuno non è SOLO una questione di privacy

È molto facile banalizzare la scelta di chi ha deciso di non scaricare Immuni, coglionandone le motivazioni legate alla privacy (fra le altre cose mai sufficientemente chiarite). In Italia non esistono solo smanettoni entusiasti dell’innovazione o di qualsiasi cosa si intenda per essa, ma esiste anche -per esempio – chi non ha un telefono supportato dall’app (a proposito di piattaforme pensate male) così come va rispettato anche chi coscientemente, si fa qualche domanda in merito a CHI sta mettendo in mano informazioni di qualsiasi genere esse siano, così come si chiede da dove arrivi il cibo che mette nel piatto.

Si chiama consapevolezza e c’è poco da coglionare.

Se da una parte – nonostante tutto e per fortuna – c’è ancora chi ha fiducia nelle Istituzioni e non ha alcun problema a immettere dati all’interno di un sito legato alla Pubblica Amministrazione (che di fatto la stragrande maggioranza dei nostri dati già li possiede banalmente pagando una multa o un bollo on line), qualcuno potrebbe anche essersi chiesto chi siano gli investitori di Immuni e aver consapevolmente scelto di non scaricare l’app.

Se anche volessimo prendere per buone tutte le rassicurazioni offerte dagli sviluppatori, i giornalisti supporter e le organizzazioni startappare legate con filo rosso alla Ministra Pisano e ai suoi duecento consulenti, ci troveremmo tuttavia di fronte ad un’app che non solo non ha un solo testimonial scientifico che sia un ente di ricerca o quantomeno un istituto universitario, ma i cui investitori sono nell’ordine: partner tecnologici legati al business dei big data, fondi di investimento italiani con capitale cinese, una serie di imprenditori di grande talento commerciale e ben poco di umanitario tra cui i figli di Berlusconi, Renzo Rosso, Paolo Marzotto, Giuliana Benetton, i Dompè e i Lucchini, Mediobanca.

Intanto, tornando a coloro che nei loro post discettano sulla miseria rappresentata da 150 euro mentre in altri post scodinzolano alla notizia del lancio delle nuove cuffie di Apple da 630 euro, rispondiamo con un video che sta girando in queste ore. Si tratta della fila di Persone in attesa per ritirare un pasto alla mensa di PaneQuotidiano in Viale Tibaldi a Milano, riprese da Lidia Bianchi.

Ai più attenti non sarà sfuggita la varietà di persone sul marciapiede, a scanso di qualsiasi retorica extra-comunitaria.

Al di là della privacy c’è ben altro di cui preoccuparsi.

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