RdC, la Misura di Inclusione Attiva esclude un percettore su tre e corteggia i navigator

Circa 3 miliardi di risparmio e occupabilità determinata dall’età anagrafica: sono alcune caratteristiche della riforma che sostituirà il RdC. Le opinioni di Enrica Alterio, di A.N.N.A., e Guido Lutrario, di USB

Da RdC a Misura di Inclusione Attiva? Giorgia Meloni parla di Reddito di Cittadinanza

“Se a partire da agosto si sospende il sussidio a una parte consistente dei percettori, il rischio è di alimentare un’emergenza sociale non indifferente, tutti si rivolgeranno ai servizi dei propri Comuni, sovraccaricando di fatto altri enti pubblici. Per questa ragione è fondamentale realizzare una bozza definitiva della riforma il prima possibile.”

Non è catastrofista Enrica Alterio, ex navigator della Campania e attualmente alla guida di A.N.N.A., mai doma associazione della categoria. Non lo è perché il suo è un ragionamento figlio di un’analisi ragionata, fin troppo chiara a leggere i numeri.

La legge di bilancio 2023, infatti, ha modificato in senso restrittivo il Reddito di Cittadinanza, limitandolo per soli sette mesi ai percettori in grado di lavorare. Scelta di buon senso, a leggerla così. Poi però si scopre che il 74% dei beneficiari soggetti al patto per il lavoro, i famosi occupabili, non hanno mai avuto un contratto di lavoro negli ultimi 36 mesi precedenti. Inoltre il 70% di essi ha un’istruzione insufficiente.

Parliamo in numeri assoluti di 660.000 cittadini, dati ANPAL, di cui appunto 480.000 fuori dal mercato del lavoro da tempo immemore. Insomma, il 38,5% dei nuclei che oggi godono dell’attuale misura contro l’indigenza potrebbe essere escluso dal prossimo agosto. Un’operazione di impatto politico che porta sul piatto un risultato tangibile – circa 950 milioni risparmiati nel 2023 – e una patata bollente non indifferente al capitolo politiche attive.

Il MIA sostituisce il RdC: tagliato un terzo dei sussidi, l’occupabilità diventa una questione di età

Il punto è questo: dal 2024 che si fa?

La risposta è tutta in una bozza di riforma allo studio del Governo da qualche settimana. Si chiama MIA, al secolo Misura di Inclusione Attiva. Leggendo la proposta, alcuni elementi sono emersi in modo netto. Riduzione della soglia ISEE dai 9.360 euro a 7.200 euro, oltre alla riduzione a 375 euro mensili per gli occupabili, identificati nei nuclei senza minorenni, disabili oppure over 60. Per questi basterà il rifiuto di un’unica offerta di lavoro per perdere il sussidio, anche a tempo determinato, nel raggio di 80 chilometri.

Non solo: a loro la misura spetterebbe per dodici mesi, anziché i diciotto previsti dal RdC, rinnovabili per appena sei mesi, e al termine di questo periodo sarà necessario attendere un anno e mezzo per presentare una nuova domanda. Diverso, invece, il discorso per i nuclei con almeno un figlio disabile o un minorenne o con almeno 60 anni di età. Per loro beneficio pieno per diciotto mesi, rinnovabile per altri dodici.

L’elemento principale che balza agli occhi è il pressapochismo con il quale si intende ricondurre l’insieme degli occupabili al solo vincolo dell’età anagrafica, dimenticando di fatto tutto il resto.

Insomma, a queste condizioni perderebbe il sostegno economico circa un terzo dell’attuale platea. Non è poco, considerato che nel 2022 ne hanno goduto più di un milione e mezzo di nuclei familiari, per un totale di 3,66 milioni di persone coinvolte. Nel solo mese di dicembre i dati parlano di 2,35 milioni di persone, per un importo medio di 580 euro; di questi, utile sottolinearlo, 1,7 milioni residenti al Sud e nelle Isole. La spesa complessiva annua si aggira intorno agli otto miliardi, che con l’operazione MIA dovrebbero essere ridotti di tre. Un bel risparmio, non c’è che dire.

Il rientro al lavoro secondo il Governo: interinali e piattaforme digitali. E si tornano a corteggiare i navigator

Il tentativo dichiarato del Governo è, almeno a parole, quello di favorire il rientro al lavoro per una percentuale del 40% di nuclei con un solo componente, evitando di ripetere il fallimento del Reddito rispetto alle politiche attive. Già, ma come?

La ministra Calderone parla di una piattaforma digitale in grado di incrociare domanda e offerta di lavoro, tentativo maldestro percorso appena tre anni fa dall’ex capo ANPAL Mimmo Parisi. Piatto forte, inoltre, il coinvolgimento delle agenzie di somministrazione private, ventilato ormai da mesi e accompagnato dalla campagna mediatica pressante di ASSOSOMM.

Con Enrica Alterio partiamo da qui.

“Per le interinali sarebbe complicato seguire i beneficiari, che necessitano di percorsi formativi molto lunghi per rientrare nel mercato del lavoro. Tradotto: investimento di soldi e risorse senza sicurezza di successo. Difficile pensarlo per realtà private che perseguono un logico obiettivo di profitto. Il Governo Draghi già garantiva incentivi e i risultati li conosciamo. Per quanto riguarda la piattaforma digitale, è sufficiente aggiungere che la platea coinvolta è per la maggiore digitalmente analfabeta.”

Lei, però, rimane ottimista. “È presto, bisogna aspettare che le cose vengano realizzate. Se tutta la riduzione della platea e degli importi sarà definita all’interno di una riforma più ampia, in grado di favorire la riqualificazione professionale e il reinserimento al lavoro nel medio periodo, allora la mia valutazione potrebbe essere positiva. Certo, il rovescio della medaglia è che di questi aspetti si deve ancora parlare, e le prime avvisaglie non sono rassicuranti”.

L’aspettativa, per il gruppo di ex navigator, è quindi di essere riassunti in pianta stabile. “Lavorare sui percettori si può. Crediamo sia necessario concentrarsi sull’offerta formativa, al momento inesistente. Oggi sono stati individuati appena 47.000 percorsi sui 660.000 totali. Pochi. Il percorso va strutturato in senso più ampio, e chi più di noi ha maturato nel tempo le competenze per farlo? Una delle ricette che proponiamo è di costruire una rilevazione concreta delle opportunità per poi stabilire con le aziende dei percorsi di formazione, sulla scorta di quanto già stanno facendo gli ITS”.

Detta tra noi, il reinserimento degli ex navigator sembra al momento ancora lontano, considerato che dal programma di 11.600 assunzioni per i centri per l’impiego introdotto due anni fa siamo ancora a meno di 4.000. “Il tavolo tra il sottosegretario Durigon e i sindacati ci fa comunque sperare. Si è aperta una trattativa e lo stesso Durigon ha difeso il nostro operato. Credo ormai ci sia contezza sulla necessità di inserire figure professionali competenti”.

Guido Lutrario, USB: “Tolgono il Reddito per tenere bassi i salari”

Peraltro il sindacato, o almeno una sua parte, non sembra così fiducioso; di certo non lo è la sigla USB, che da alcune settimane ha iniziato la campagna “Uniti per il Reddito”, con una mobilitazione attiva davanti ai CPI dallo scorso 14 marzo. Ne parla a SenzaFiltro Guido Lutrario, dell’esecutivo nazionale.

“Bisogna essere chiari: si toglie il Reddito di Cittadinanza perché i salari devono rimanere bassi, questa è la vera finalità. D’altronde questa cosa viene ribadita di continuo dagli imprenditori del turismo e del commercio, che lamentano ogni giorno mancanza di personale. Per forza, i salari che propongono sono salari da fame. Se devo lavorare per una somma che non mi consente di affrontare le necessità quotidiane, meglio il sussidio.”

Il commento sulla nuova misura è quindi lapidario. “Il Reddito di Cittadinanza rappresenta un unicum nella storia d’Italia, finalmente risorse a disposizione della fetta di popolazione più povera. Il Governo invece decide di tornare indietro, riducendo la spesa. Già la legge precedente, con i criteri in vigore, raggiungeva solo la metà dei poveri assoluti calcolati dall’ISTAT. Figuriamoci se addirittura la tagliamo”.

L’obiettivo però è di rilanciare le politiche attive. “Tutta retorica, come se il problema fosse il mismatch tra domanda e offerta. Spendiamo milioni del PNRR nel programma GOL, che punta su corsi di formazione al termine dei quali si torna alle condizioni di partenza. Il rischio è di garantire soldi a enti formativi per attività inutili, quando manca un milione di lavoratori nella PA: enti locali, amministrazioni all’osso. In Calabria, ad esempio, abbiamo settemila persone da anni in tirocinio, impegnate in attività strategiche”.

Le agenzie private, deduco, non saranno perciò la panacea di tutti i mali. “Parliamo di privatizzazione della gestione di forza lavoro. Avere incrementato il ruolo dei CPI è uno dei meriti sulla legge del RdC. Questa cosa non piace, si vuole mettere sullo stesso piano agenzie private e centri per l’impiego ma, con questo meccanismo e a prescindere dal tipo di contratto, l’agenzia incamera incentivi e il lavoratore non trova stabilità. La nostra proposta è di assumere personale per i servizi essenziali, combattere i part time involontari, intervenire con una misura di sussidio per proteggere dal ricatto sui salari troppo bassi e introdurre, appunto, il salario minimo di dieci euro l’ora”.

Insomma, la partita è aperta.

 

 

 

Photo credits: sicobas.org

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