Smart working, Tito Boeri: “Al di là del Coronavirus, andrebbe introdotto nella PA contro l’assenteismo”

Per percepire e toccare con mano che cosa sta succedendo nel tessuto economico dell’Italia ai tempi del Coronavirus, non basta leggere il Rapporto  della Banca giapponese Nomura che recita: “Considerato il basso tasso di crescita da cui l’Italia parte quest’anno, ci aspettiamo che il Paese entri in recessione nel 2020, con un Pil in calo […]

Per percepire e toccare con mano che cosa sta succedendo nel tessuto economico dell’Italia ai tempi del Coronavirus, non basta leggere il Rapporto  della Banca giapponese Nomura che recita: “Considerato il basso tasso di crescita da cui l’Italia parte quest’anno, ci aspettiamo che il Paese entri in recessione nel 2020, con un Pil in calo dello 0,1% nell’anno”. Né basta scartabellare le tristi previsioni sul crollo del turismo che vale il 10% del Pil italiano e che secondo Federalberghi si prepara alla perdita netta di mezzo milione di turisti cinesi. E non basta neppure registrare il clamore che ha creato nella comunità internazionale degli affari il rinvio del Salone del mobile per non finire come il fallimento della settimana della moda a Milano che ha registrato la più bassa partecipazione degli ultimi vent’anni. Tutti questi elementi appartengono alla parte razionale e quantificabile della crisi che si è aperta con l’epidemia Covid-19 che, per inciso, proprio ieri l’Oms ha innalzato da rischio grave a rischio molto grave.

Per percepire a pelle la straordinarietà di quello che è successo questa settimana bastava farsi un giro per Milano e dintorni, fino ai confini della zona rossa a sud del capoluogo. Bastava girovagare nelle strade per verificare come fossero deserte, serrate le numerosissime imprese dell’hinterland, i pub della Milano da bere di craxiana memoria con le saracinesche abbassate, la movida sui Navigli e nella pittoresca Brera spenta, le scuole chiuse e i treni vuoti. Soprattutto i treni dei pendolari che a migliaia gravano ogni giorno su Milano, provenienti da tutta la Lombardia e dalle regioni limitrofe e che costituiscono la vera ossatura produttiva della metropoli. Alla stazione nord, nei momenti di punta della psicosi da Coronavirus – lo deduco dai racconti di mia madre che abitava vicino alla stazione centrale – sembra di essere ai tempi di guerra. L’unico momento di vitalità frenetica e angosciante la si trova nei supermercati dove i milanesi arraffano di tutto prima che l’ignoto faccia scoppiare l’apocalisse. E i negozi, microcosmo del commercio milanese e diventato core business della città, chiudono alle 18 come se dopo quell’ora ci fossero i bombardamenti degli inglesi di lontana memoria. Una città sotto assedio che dopo l’avvento del “Cigno Nero”, teoria secondo la quale l’evento non previsto scombussola tutto dalla produzione alla Borsa, mostra tutta la sua fragilità.

Comunicazione pubblica di Governo e Regioni: “Più coerenza e univocità”

Che cosa sta accadendo da un punto di vista economico lo abbiamo chiesto in esclusiva a Tito Boeri, vecchio amico, ex Presidente dell’Inps, economista e fondatore de lavoce.info. “Penso che gli economisti in questo momento abbiano poco da dire. Per questo ho rifiutato di dare interviste sul tema. Ne parlo con te da amico. Prima di fare previsioni bisogna capire quanto siano efficaci le misure draconiane che sono state prese nel cercare di isolare il virus. E se saranno necessarie per molto tempo. C’è infatti un costo economico molto rilevante in queste misure ma sono pressoché inevitabili perché il nostro sistema sanitario e quello di molti altri Paesi non sono in grado di reggere l’urto nell’immediato. Ci sono troppi pochi posti in sale di rianimazione, ci vorrebbero molte più macchine di ventilazione. È un problema già emerso in diverse realtà”.

Quando eri Presidente dell’Inps ricordo che curavi nel dettaglio la comunicazione con il pubblico. Come la vedi da questo punto di vista?

“A mio parere ci vorrebbe più coerenza e univocità. Se il Governo e le Regioni comunicano in modo difforme è un guaio, soprattutto in fase di emergenza. Quando scegli una strada deve essere quella, sennò si crea confusione”.

Smart working: “Nella PA ridurrebbe l’assenteismo”

Il lavoro, l’occupazione sono da sempre i pilastri di Milano e del nord Italia. Se già prima le prospettive erano grigie, gli eventi dell’ultima settimana fanno pensare a uno scenario devastante per l’occupazione: basti pensare alle grida disperate che vengono dalla moda, dal turismo e da quelle imprese che vivono sull’export. Qualcuno ha accennato allo smart working, inviso fino a qualche giorno fa alla maggior parte degli imprenditori. Tu cosa ne pensi?

“Io credo che possa essere utile e produttivo al di là di questa drammatica vicenda del Coronavirus, ma se si sceglie questa strada bisogna percorrerla con convinzione. Io penso che lo smart working dovrebbe essere introdotto soprattutto nella Pubblica Amministrazione e, dove è possibile, fissare obiettivi misurabili. Per questi motivi l’avevo molto caldeggiato all’Inps. Può migliorare il benessere dei lavoratori contribuendo allo stesso tempo a una crescita della produttività perché diminuisce l’assenteismo. Certo, bisognerebbe permettere ai lavoratori di scegliere se accettare o meno questa innovazione. Oggi la scelta è obbligata: i lavoratori delle zone rosse che restano a casa o fanno smart working o prendono ferie. L’inps non può pagare per queste assenze”. 

Crisi economica: “Per la prima volta lo shock è produttivo, quindi dell’offerta e non della domanda”

Torniamo alla crisi economica dilatata dall’avvento del virus.

È una crisi che preoccupa seriamente perché incide sull’offerta. Nelle fasi di recessione in genere si interviene a sostegno della domanda con politiche monetarie fiscali e sostegno ai consumi. In questo caso lo shock è dal lato produttivo, dal lato appunto dell’offerta e quindi le politiche antirecessive tradizionali sono meno efficaci. E in un mondo globalizzato basta che un anello della catena produttiva globale si fermi e tutto il meccanismo si inceppa. Poi ci sono gli effetti della ridotta mobilità delle persone. I beni, a parte qualche eccezione, possono spostarsi, ma per facilitare gli scambi bisogna che anche le persone si spostino. L’assenza dei cinesi al Bit o al Salone del Mobile o alla settimana della moda, tanto per fare un esempio, hanno già fatto grandi danni a molte piccole imprese che ricevevano ordini proprio a seguito di queste visite. Anche se siamo nell’era degli uffici globali, la ridotta mobilità delle persone comporta dei costi molto alti per l’attività economica. Soprattutto per un Paese che è stato trainato dalla domanda estera come il nostro”.

 

Photocredits: Ansa, 2018.

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