Sui treni Green pass obbligatorio ma violenza libera: ora sì che siamo al sicuro

Che cosa è cambiato nelle stazioni lombarde con l’obbligo di Green pass sui mezzi pubblici e dopo le aggressioni di Venegono Inferiore? La situazione a una settimana di distanza, con le opinioni di Luigi Ciracì della FILT-CGIL e Andrea Mazzucotelli del Comitato Pendolari.

Una settimana è troppo poco. Troppo poco per tracciare bilanci sull’introduzione dell’obbligo di Green pass sui mezzi pubblici locali, e troppo poco anche per far calare l’onda emotiva scatenata da una doppia aggressione sui treni.

La sera di venerdì 3 dicembre due giovani donne hanno subìto una violenza a sfondo sessuale lungo la linea ferroviaria Milano Cadorna-Varese, all’altezza di Venegono Inferiore. L’una a bordo di un convoglio, l’altra pochi minuti dopo, in stazione.

Da quell’episodio ha preso le mosse lo sciopero del personale del settore ferroviario che ha riguardato la Lombardia proprio ieri, martedì 14. Le ferroviere, in particolare, hanno rivendicato per sé, i colleghi e tutti gli utenti del trasporto locale il diritto fondamentale a viaggiare sicuri. Con la convinzione che ci sia da fare in fretta.

Ancora prima, il martedì successivo alle aggressioni, alcune decine di abitanti di Venegono si sono dati appuntamento nel piazzale accanto ai binari, ciascuno con una candela in mano, per dimostrare in silenzio il loro rispetto per le vittime. “Non si può restare indifferenti”, ha spiegato Elena Guzzetti, una delle donne che ha innescato il tam-tam sui social da cui è partita l’iniziativa.

Il giorno prima di quel raduno silenzioso, che ha illuminato il rientro a casa per i pendolari del paesino all’incirca a metà strada tra Saronno e Varese, in tutta Italia è scattata la norma che impone a chi intende utilizzare un treno, un autobus o la metro di avere con sé la certificazione che attesta la vaccinazione anti-COVID-19, l’avvenuta guarigione dalla malattia o l’esito positivo di un tampone eseguito nelle ore precedenti.

Richiesta di sicurezza contro l’azione di un nemico visibile nel caso della manifestazione spontanea di via General Cantore a Venegono, necessità di sicurezza contro un nemico invisibile, invece, nel caso del Green pass. Quali garanzie, in un senso e nell’altro, sui treni lombardi una settimana dopo?

Controlli a campione in Lombardia, come ti schivo il Green pass

Le indicazioni a proposito della verifica del certificato necessario per viaggiare prevedono controlli a campione compiuti a terra in maniera congiunta da forze dell’ordine e addetti delle aziende che gestiscono i servizi.

Diversamente, del resto, non potrebbe essere. Le stazioni ferroviarie della sola Lombardia sono almeno 300: impossibile che in ciascuna di esse ogni giorno ci sia del personale che controlla ogni singolo utente del servizio. A campione, noi scegliamo la stazione di Venegono Inferiore, sette giorni dopo le aggressioni.

La mattina di venerdì 10 dicembre, alle 7, tra i pendolari in partenza in direzione Varese ci sono soprattutto studenti delle scuole. Un gruppetto di ragazze dice di non essere mai finito nel campione controllato nell’intera settimana. Stessa cosa per un uomo che attende il treno al medesimo binario: anche lui viaggiando verso Varese non è mai stato nella rete delle verifiche. Nella direzione inversa, una donna scende in paese dopo un viaggio lungo un paio di fermate e nessun controllo subìto nell’arco dell’intera settimana. Sorte medesima per un’altra viaggiatrice. Va a Milano invece un giovane a cui nessuno ha chiesto nulla il giorno prima, così come alla sorella.

Il referente del comitato pendolari, nodo di Saronno, Andrea Mazzucotelli, parla di flussi e di furbi. “Sto ancora raccogliendo le informazioni sulla prima settimana di controlli”, premette. Ma chi vuole evitarli, a suo giudizio, ha vita relativamente facile anche attorno al capoluogo usando un sistema di cambi. “Il flusso principale dei viaggiatori è quello verso Milano – aggiunge – ma ce ne sono molti altri che, se non vengono considerati, lasciano fuori una parte dei viaggiatori”.

In arrivo telecamere e il “presidio umano”

A proposito di monitoraggio e dell’altra faccia della sicurezza, quella contro le aggressioni, “Rete Ferroviaria Italiana sta implementando la copertura e la progettazione di nuovi impianti di videosorveglianza nelle stazioni”, risponde a SenzaFiltro l’ufficio stampa dell’azienda a cui compete la gestione degli scali.

Impensabile che a rinforzo delle telecamere, dove non arriva la Polfer, arrivi la polizia locale. Città come Gallarate, con i suoi oltre cinquantamila abitanti e tre turni di servizio degli agenti municipali, riescono a permettersi un presidio fisso. Ma se torniamo a Venegono il personale del comando si conta sulle dita di una mano: neanche da pensare che gli agenti possano stare in pianta stabile in zona stazione.

Martedì sera dopo il presidio con le candele a sostegno delle vittime delle recenti aggressioni, l’assessore ai Servizi sociali del Comune, Maria Chiara Cremona, ha parlato di “mancanza di un presidio umano che non aiuta”, alludendo all’assenza di personale all’interno delle biglietterie delle stazioni più piccole della linea. Anche a Gallarate, che di abitanti ne ha dieci volte quelli di Venegono, per un po’ è stato in funzione il solo distributore automatico di titoli di viaggio, e quando la biglietteria è tornata a funzionare i primi a gioire sono stati coloro che lavorano allo scalo.

“Il ritorno della biglietteria a tempo pieno ha fatto tanto, è tutto più sicuro”, spiega l’ex edicolante che ha chiuso a fine novembre il suo negozio all’interno della stazione. Il suo punto vendita è destinato a diventare il terzo in cerca di un nuovo inquilino. Una questione che fa la differenza in termini di sicurezza percepita, ancora più che in fatto di sicurezza vera.

Sicurezza sui treni, personale a bordo e viaggiatori sono sulla stessa barca

Ma il tema della sicurezza, vera e percepita, riguarda i viaggiatori tanto quanto il personale a bordo dei treni. Trenord a marzo ha dedicato una videointervista – oggi a disposizione online – alla prima capotreno donna entrata in servizio sulle Ferrovie Nord, Giulietta Spinelli, ormai prossima alla pensione. Le hanno chiesto come sono cambiati i viaggiatori. “C’è molta più violenza”, ha risposto.

“Ahimè, di violenze fisiche o verbali ce ne sono quotidianamente”, ricorda Luigi Ciracì, segretario milanese della FILT-CGIL. Ma non si tratta solo di una questione genere. “Subiscono violenza soprattutto gli uomini”, spiega il referente sindacale del settore trasporti. “Non si tratta solo di danno fisico, ma anche psicologico”. Per questo il sindacato mette a disposizione di macchinisti, capitreno e del resto del personale uno sportello per l’assistenza psicologica e la tutela dei diritti perché venga riconosciuto l’infortunio sul lavoro e – in qualche caso – anche il danno biologico”.

“Tra le aggressioni subìte ci sono sputi e graffi, e ancora, qualche tossicodipendente che si avvicina con la siringa in mano. Ma solo una parte delle situazioni viene riferita al sindacato. È capitato che il capotreno subisse lo stalking di qualcuno che ne conosceva i turni e persino l’indirizzo di casa”, spiega Ciracì. “Il caso di Villapizzone è stato quello che ha scosso le coscienze”.

Nel 2015, durante il servizio, un dipendente della compagnia che muove i treni regionali lombardi fu aggredito a colpi di machete e rischiò di perdere un braccio. “Nelle prefetture ci sono stati diversi incontri, quello della sicurezza è un tema ricorrente”, rimarca il sindacalista. È stato aperto un tavolo con il Governo e c’è stato un primo incontro, aspettiamo la nuova convocazione”, prosegue. Non a caso quest’anno Trenord ha avviato in collaborazione con i City Angels un programma di formazione per il personale a contatto con i viaggiatori per “disinnescare le potenziali situazioni critiche”.

Le soluzioni alle aggressioni in stazione, dai comitati ai tornelli

La Rete Ferroviaria Italiana (RFI), a cui competono le stazioni, nella sua policy per la sicurezza fa sapere di contemplare “tutela legale per il dipendente attraverso il Comitato Tutela aggressioni presente a livello centrale”, oltre che il monitoraggio degli episodi, la loro analisi per cercare soluzioni specifiche e una stretta collaborazione con le forze dell’ordine. Una collaborazione, spiega l’azienda, “che si sviluppa attraverso una quotidiana interlocuzione” e con il lavoro con cadenza mensile del Comitato ristretto territoriale.

Tra le possibili soluzioni, ce n’è una che il sindacato è pronto a spingere. “Cerchiamo di mitigare il rischio”, rimarca Ciracì. “Un’ipotesi è la chiusura delle stazioni con i tornelli”. In questo modo si potrebbe limitare la circolazione lungo i binari e sui convogli, a beneficio della sicurezza di lavoratori e utenti del servizio.

Tornelli, nella piccola Venegono come nella grande Gallarate e nella maggioranza delle fermate, oggi non ce ne sono. “È fattibile”, conclude il segretario FILT-CGIL. “Certo, ci vogliono i soldi”.

Chi ha scioperato martedì 14 dicembre ha messo sul piatto anche altre proposte. Ma ciò che chiede chi utilizza i treni – al di là delle responsabilità, delle soluzioni pratiche e di chi le avanza – è sentirsi al sicuro, poter viaggiare senza che la percezione del rischio aumenti a seconda dell’ora o della tratta, per difendersi dai nemici visibili e da quello invisibile contro il quale uno strumento ci sarebbe già: il Green pass. Se lo si controlla.

Photo credits: ecodibergamo.it

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