Superbonus, lo Stato si rimangia la parola e le aziende chiedono soldi ai cittadini

Hanno dato la colpa alle truffe, ma riguardano solo il 3% dei lavori: il caos generato dal Governo sul Superbonus avrà conseguenze serie. Il quadro della situazione con l’imprenditore edile romano Edoardo Bianchi

Superbonus, che problemi per le aziende: un ingegnere con caschetto osserva un'impalcatura

“Provi a immaginare una palla di neve che inizia a rotolare e nel giro di poco tempo si trasformerà in una slavina, che travolgerà un’intera valle. Ecco, il blocco dei crediti sul Superbonus sarà così. Non travolgerà soltanto le imprese edili, ma anche tutto un indotto che sono i lavoratori, i condomini che si troveranno con i lavori a metà e faranno causa alle società, e tutto l’indotto di fornitori rischia di saltare. Si dovrà ricorrere a cassa integrazione, o peggio, licenziamenti”.

A tracciare questo quadro è Edoardo Bianchi, romano, imprenditore edile da tre generazioni. Sempre nel ramo edilizia, che oggi è al centro della riforma dei cosiddetti bonus edilizi, che non si limitano al solo e più celebre Superbonus, ma comprendono anche altri interventi come il bonus facciate, il sisma bonus o il bonus 50%.

Un Superbonus, tanti cambiamenti. E il rischio di bloccare i lavori

“Il Superbonus è un’agevolazione prevista dal Decreto Rilancio che eleva al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal 1 luglio 2020 al 30 giugno 2022, per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici”.

Così scrive il Governo, che spiega anche come le nuove misure si aggiungano alle detrazioni previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, compresi quelli per la riduzione del rischio sismico (Sismabonus) e di riqualificazione energetica degli edifici (Ecobonus).

Dalla sua entrata in vigore è stato più volte modificato, sia nel 2021 che nel 2022, e da ultimo anche nel 2023; si è passati dal 110 (che durerà fino a dicembre 2023) al 90%, poi a 70%, e infine al 65% fino al 2025. Ma la decisione che più ha creato problemi è stata quella più recente: non consentire più alle amministrazioni pubbliche di essere cessionarie dei crediti delle imprese con le banche, e che la moneta fiscale non potrà più essere oggetto di sconto in fattura, ma di sola detrazione per il singolo condomino. Tra queste non rientrano le opere già cominciate, cioè quelle che hanno la cosiddetta CILA, la comunicazione di inizio lavori.

Alcuni lavori si bloccheranno – commenta Bianchi – perché i contributi venivano erogati sulla base di SAL (Stato di Avanzamento Lavori, N.d.R.) che non potevano essere inferiori al 30%-40%-30%, e ci possono essere interventi che sono in esecuzione tra il primo e il secondo SAL oppure tra il secondo e il terzo SAL. Con l’aumento dei costi dei materiali e i cosiddetti crediti incagliati, che ammontano a circa a 20 miliardi, c’è il rischio che molte aziende siano nella impossibilità di concludere i lavori.”

O peggio, che siano i cittadini che decidano di abbandonare, perché il costo delle opere potrebbe ricadere – in quota parte più o meno consistente – su di loro, seppur spalmato su dieci anni. Insomma un vero e proprio caos, per una legge che nei primi due anni ha determinato un aumento delle entrate statali, visto l’incremento del 40% dei lavori edili e della conseguente tassazione, ma che in futuro potrebbe stressare le finanze pubbliche, secondo Banca d’Italia.

O che forse non le stresserà, visto che lo Stato non garantisce più e tutto finirà in capo ai cittadini e agli inquilini. I quali in questo periodo si sono dovuto confrontare con un sistema farraginoso, le cui regole sono state cambiate più volte dai governi. Anche per questo ci sono molti cantieri che rischiano di rimanere a metà.

A questo si aggiunga la crescita dei costi delle materie prime e il fatto che le banche, che oggi chiedono tramite ABI (Associazione Bancaria Italiana) di trasformare gli sconti in fattura in crediti di imposta, sono state le prime a denunciare come non avessero più capacità fiscale.

Intanto molti condomini, dopo mesi di attesa in banca e di discussioni con geometri e commercialisti, nella migliore delle ipotesi rischiano di pagare di più.

Se lo Stato cambia le regole in corsa: alla fine pagano i cittadini

Nei giorni scorsi ai condomini di tutta Italia sono arrivate diverse lettere nelle quali le imprese chiedono di ritoccare quanto pattuito verso l’alto.

“Nonostante il vertiginoso aumento medio dei costi del settore costruzioni – scrive un’azienda edile – gli ulteriori aumenti dei prezzi dovuti alla difficoltà di approvvigionamento dei materiali e della manodopera, e valori di acquisizione dei crediti fiscali da parte degli istituti di credito aumentati nel 2023 rispetto al passato, la nostra società si rende ancora disponibile a portare a compimento il contratto di appalto ‘Bonus 110%’. Alla luce di quanto sopra, in aggiunta a quanto pattuito nel contratto d’appalto, proponiamo di corrispondere come contributo forfettario, a parziale ristoro di questa imprevista e imprevedibile situazione di difficoltà, un ulteriore importo pari a 135.000 euro, corrispondenti a un contributo medio per appartamento di 7.500 euro.”

I condomini sono già pronti a adire le vie legali, perché quei soldi non li vogliono spendere. Del resto era stata pattuita un’altra cifra con il costruttore, che a sua volta aveva altre condizioni con la banca, che oggi dice di non riuscire più a farvi fronte e si rivolge allo Stato, che ancora una volta cambia le regole in corsa. Chi ci perde è il cittadino, chi ci guadagna è l’avvocato: “Si teme – continua Bianchi – un’ondata di cause legali che travolgeranno per anni le aziende e i condomini.”

La politica ha deciso così di delegare la soluzione del pasticcio ai tecnici. Il ministero delle Finanze, intanto, ha deciso di riunire in un tavolo unico tutte le associazioni di categoria per trovare una soluzione a un problema che è stato creato dal Governo stesso, secondo il quale il Superbonus pesa sulle casse degli italiani per 2.000 euro ciascuno. Ma l’obiettivo finale non era solo quello di dare respiro al settore dell’edilizia penalizzato dalla pandemia. I bonus sarebbero nati anche perché il patrimonio edilizio italiano è tra i più vecchi d’Europa e va rimesso in pari con le norme sul risparmio energetico. E per questo ci sarebbero anche i fondi PNRR.

“Si rischia di presentarsi ai blocchi di partenza del PNRR con una classe imprenditoriale – dice Bianchi – fiaccata dalle inadempienze del legislatore avendo avuto il solo torto di aver prestato fede a regole la cui applicazione si inquadrava in un confronto dialettico tra Stato e cittadino, e non tra suddito e sovrano”.

Le truffe sul superbonus? Solo il 3%

Ad oggi l’unica soluzione sul tavolo è che si possano trasformare gli sconti in fattura in crediti fiscali, e viene proposta dalle banche; l’alternativa che sembra perdere quota, ma che era già stata proposta, era quella della cartolarizzazione, ma gli stessi istituti di credito che hanno sollevato il problema oggi ne sembrano spaventati.

Altro tema è quello delle truffe che sarebbero scaturite dal Superbonus. Secondo la Guardia di Finanza i bonus edilizi hanno portato a sequestri per 7,5 miliardi di euro divisi tra crediti fiscali illecitamente intascati (3,7 miliardi) e profitti illecitamente guadagnati (3,8 miliardi), ma per Giorgia Meloni in totale ammontavano a 9 miliardi, mente per l’Agenzia delle Entrate a fine 2021 erano di 4,6 miliardi. È corretto evidenziare che, sempre da dati della GdF, le truffe legate al Superbonus 110% incidono in ragione del 3% del totale. Non proprio una quantità esorbitante, e di certo non sufficiente per giustificare da sola la cancellazione dell’agevolazione, con tutti i problemi che ne conseguirebbero

A questo punto, visto che in Italia si sono inventati la truffa dello specchietto, bisognerebbe abolire anche quelli.

 

 

 

Photo credits: quotidianodipuglia.it

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