Uomini, senza caporali: a Soumahoro preferiamo Sagnet

Il recente caso di cronaca sui famigliari di Aboubakar Soumahoro ha riacceso i riflettori sul tema del caporalato e sui metodi per combatterlo nel concreto. SenzaFiltro è stato tra i primi a chiamare in causa chi ci è riuscito davvero.

Nei paesi rurali del Sud stanno in piazza o bazzicano tra le baracche dei ghetti; nelle città a più alto valore aggiunto del Centro-Nord hanno uffici ben attrezzati, magari in zona centro o in un hub direzionale tutto vetri e specchi. Sempre di caporali si tratta: di persone che facilitano l’incontro illecito tra domanda e offerta di lavoro, che lucrano sul lavoro sottopagato di altri, che partecipano alla filiera dello sfruttamento che contempla anche la riduzione in schiavitù.

È fuori discussione che il fenomeno riguardi prevalentemente l’agricoltura e, in questo comparto, le Regioni del Sud Italia, come conferma da ultimo un rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI CGIL: sugli oltre 650.000 lavoratori irregolari censiti in Italia, il 34%, pari a 175.000 uomini e 55.000 donne, è sfruttato e malpagato nei campi, soprattutto in quelli di Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio; sono circa 300.000 gli occupati in agricoltura che alimentano il fenomeno del cosiddetto “lavoro povero”, con un’incidenza tripla rispetto alla media degli altri comparti. Segmentando l’analisi e prendendo a misura la sola comunità dei lavoratori migranti – comunitari e non – quelle percentuali, in sostanza, raddoppiano.

Ci sono caporali e caporali, ma l’obiettivo è sempre accrescere il margine di guadagno

Sfruttamento e lavoro povero, anche questo è acclarato, non sono radicati e diffusi solo nelle aree marginali dell’Italia agricola. Queste prassi, sostengono gli osservatori della FLAI CGIL, riguardano anche i distretti agricoli d’eccellenza e la coltivazione, raccolta e trasformazione di prodotti tra i più identitari ed emblematici del sovranismo made in Italy. Riguardano settori di produzione in cui i caporali hanno assunto una funzione strategica per il reclutamento di personale utile a conservare o incrementare margini di guadagno altrimenti erosi dall’inefficienza organizzativa, dall’incremento dei costi di produzione, dalla riduzione delle aree di mercato.

A conti fatti, le ore annue di lavoro irregolare ammontano a 300 milioni sul totale di 820 milioni dell’intero comparto agricolo. E il restante 66% di lavoratori irregolari? Sono sfruttati nei cantieri, nelle fabbrichette, nella logistica, nei call center, nei servizi di cura, nella ristorazione e, da ultimo, anche nelle strutture sanitarie. In tutti questi settori si assiste all’evoluzione della forma del caporalato: lo spregiudicato mercante di braccia che guida uno scassato pulmino, picchia gli uomini e molesta le donne è sostituito dal più forbito e non meno spregiudicato titolare di un’impresa o di un’agenzia di servizi, o ancora dal presidente di una cooperativa che si offre come intermediatore di mano d’opera.

I contratti stipulati con il soggetto che media sono formalmente dei part-time o co.co.co. o altro tipo di precariato, mentre le prestazioni effettive sono normalmente a tempo pieno. Applicando con sapienza gli strumenti del “caporalato industriale”, come lo hanno definito i ricercatori dell’Osservatorio Placido Rizzotto, si arriva ad abbattere il costo del lavoro anche del 40%, realizzando un ottimo margine anche in termini di evasione fiscale e contributiva.

Sono le braccia e le menti di queste lavoratrici e questi lavoratori che alimentano la filiera dell’economia sommersa, il cui valore, nel 2020, ha superato i 157 miliardi di euro, che equivalgono a poco meno del 10% del Prodotto Interno Lordo. Beni e servizi ceduti al consumatore finale a un prezzo più basso di quello di mercato, in molti casi tanto più basso da essere inferiore al costo di produzione legale di un bene o di un servizio analogo, così da generare una recessiva corsa al ribasso.

Come si contrasta il caporalato: Yvan Sagnet, NoCap e lo sbocco nella GDO

Sulle pagine di SenzaFiltro e sul palco di Nobìlita abbiamo spesso scritto e parlato del caporalato, tanto per denunciarne le nefandezze ai danni di persone deboli e marginali quanto per far emergere azioni positive di riscatto e modelli economici sostenibili.

È la ragione per cui, ad esempio, alla pirotecnica ascesa e lacrimosa caduta di Aboubakar Soumahoro abbiamo preferito la silente operosità di Yvan Sagnet e dell’associazione NoCap. Entrambi conoscono i ghetti della Puglia, della Calabria e della Sicilia: l’uno li ha utilizzati come palcoscenico della sua ascesa social-politica senza mutare nulla della pessima condizione di nessuno tra quanti hanno condiviso le lotte che ha usurpato ad altri; l’altro ha offerto a decine di donne e uomini l’opportunità di prestare il proprio lavoro nel pieno rispetto della legge e guadagnando ciò che prevedono gli accordi sindacali, così come di non abitare più in una baracca che ogni giorno rischia di andare a fuoco.

Perché, in fin dei conti, il caporalato è un fenomeno criminale, talvolta organizzato a livello internazionale, come hanno dimostrato le inchieste della magistratura e acclarato le sentenze dei tribunali, ed è anche uno dei fattori distorsivi della corretta dinamica del mercato del lavoro. E, per conseguenza, della libera concorrenza tra imprese.

Limitare la sua definizione – anche legislativa – al solo primo elemento depotenzia l’elaborazione e la promozione del suo contrasto sul piano delle dinamiche economiche, che pure – è il caso di NoCap e degli accordi con la media e grande distribuzione alimentare – si stanno avviando e strutturando proprio nelle campagne del Sud. Lì sono migliaia le donne e gli uomini che ancora lottano per ottenere il riconoscimento sostanziale e non formale della piena soggettività di lavoratrici e lavoratori.

Un’evoluzione positiva che sarà limitata a una nicchia produttiva e di consumo, fino a quando l’Italia e l’Unione europea preserveranno l’attuale sistema di regolazione e contrasto dei flussi migratori e Governo e Regioni non riusciranno a costruire un sistema ordinato e organico di gestione dell’accoglienza e dei migranti, capace di liberarci tutti dal giogo materiale e politico dell’emergenza continua.

Leggi gli altri articoli a tema Caporalato.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.

Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. 

Sottoscrivi SenzaFiltro

In copertina Yvan Sagnet sul palco di Nobìlita

CONDIVIDI

Leggi anche