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Whistleblowing: “Assunto da un’azienda, smistato da un’altra, lavoravo per un’altra ancora”
Il body rental, il mercato degli informatici spacciati per consulenti, è una rete intricata in cui le aziende scaricano i costi a scapito dei lavoratori.
Il sistema del body rental è una piaga per molti lavoratori del mondo dell’informatica. Come abbiamo raccontato in un articolo precedente, il body rental consiste in un prestito di lavoratori da un’azienda che assume a un’azienda cliente. Il meccanismo non rientra nell’intermediazione illecita di lavoro perché spersonalizza i contratti e affitta capacità invece che persone: sui documenti la dicitura che compare è infatti time and material, tempo e materiale. Il datore di lavoro guadagna dal prestito e il cliente risparmia su contributi e stipendi. Ma lo scenario può essere ancora più complicato.
Nel sistema del body rental non è detto che le aziende siano soltanto due. I rapporti fra consulenti informatici, datori di lavoro e clienti possono essere molteplici, fino a creare una sorta di filiera della consulenza. Ad esempio: si parte da un’azienda A, che assume il consulente e lo presta immediatamente all’azienda B, grande impresa di soluzioni informatiche, che lo manda dall’azienda C, sua cliente.
Per spiegarvelo meglio, SenzaFiltro ha intervistato uno sviluppatore, membro della community Tech Workers Coalition Italia, il quale ci ha chiesto di restare nell’anonimato e che per questo chiameremo L.
Body rental: un’azienda assume, un’altra colloca, e una terza dà lavoro
L. era stato assunto nel 2015, subito dopo la laurea triennale, da un’azienda che si occupava sia di consulenze informatiche che di sviluppare software. Il suo compito, per circa un anno, è stato quello di lavorare a un software che sfortunatamente non ha avuto successo con i clienti. Messa in difficoltà, l’azienda si è spostata sempre più verso la consulenza e lo ha mandato in body rental presso una compagnia, Reply.
Per chi non la conoscesse, Reply è una multinazionale della consulenza, nata in Italia, che conta circa 7.000 persone fra le sue fila. Nel suo sito si definisce un’azienda “costituita da un modello a rete di aziende altamente specializzate, che affiancano i principali gruppi industriali nella definizione e nello sviluppo di modelli di business abilitati dai nuovi paradigmi tecnologici e di comunicazione, quali ad esempio Intelligenza Artificiale, Big Data, Cloud Computing, Digital Communication, Internet degli Oggetti, Mobile e Social Networking, per ottimizzare ed integrare processi, applicazioni e dispositivi”.
Com’è facilmente intuibile, non era quindi Reply l’ultimo step del lavoro di L., che veniva mandato a una terza azienda, una delle oltre cento del gruppo, che aveva vinto un bando per lavorare a un software. Quest’ultima lo prestava ulteriormente al cliente finale per farne l’installazione. Abbiamo raggiunto Reply telefonicamente, ma per ora non ci sono state rilasciate interviste.
Con chi si rapportava L.? Con l’azienda cliente. “Io rispondevo a loro, non ai miei datori di lavoro”, racconta. Per esempio, per coordinare le ferie doveva parlarne con il manager dell’ultima azienda. “Non c’era nessun input da parte dell’azienda che mi aveva assunto. Una volta concordate le ferie, mandavo loro una comunicazione e venivano approvate subito”.
Il gioco di specchi di contratti e retribuzioni
Il suo era un contratto indeterminato di tipo commerciale. Perché commerciale? Perché non esistono contratti collettivi per informatici. Chi si occupa del settore IT viene configurato con il codice ATECO dell’impresa. La maggior parte è inquadrata con il codice del commercio, ma lavorando per un’azienda farmaceutica si viene inquadrati come chimici. Contratti diversi portano anche a stipendi diversi.
“Nelle aziende piccole, lo stipendio dei lavoratori dipende anche dalla loro contrattazione. Nelle più grandi i contratti sono standard. Per Reply la retribuzione annua lorda degli assunti era di 27.000 euro, circa 1.400 euro al mese netti. In Francia, per lo stesso lavoro si viene pagati circa 40.000 euro annui; in Olanda anche 50.000.”
L. ha continuato in questo modo per tre anni. Poco meno di un anno per i vari prodotti, da sviluppatore. Per il primo cliente sviluppava un prodotto a uso interno insieme ad altre due figure assunte. È un copione già sentito anche dai racconti degli intervistati dell’articolo precedente: agli assunti – una squadra fissa – all’occorrenza vengono associati i consulenti. Nel sistema di matrioske aziendali, il cliente finale firmava il contratto con il gruppo e i lavoratori venivano passati dall’una all’altra con un ricarico del 20% sullo stipendio.
“Io e i miei colleghi che lavoravamo in body rental per questo gruppo non risultavamo dipendenti, ma fornitori, ed eravamo quindi detraibili”, racconta L. La sua azienda iniziale, a causa delle difficoltà dei progetti interni, ha finito col diventare un ufficio paghe esterno di Reply, facendo soldi facili, pagando i contributi per i lavoratori assunti e prendendosi tutti i rischi: finché le aziende clienti, dal secondo step in poi, hanno progetti attivi su cui impiegare il personale preso in body rental, quelle che hanno assunto non hanno problemi. Nel caso però di chiusure dei contratti, fallimenti o bandi non vinti, i costi ricadono tutti sull’azienda iniziale.
Quando l’informatico fa crunch
Anche la parte dell’assunzione è pilotata dal cliente. Durante la ricerca di lavoro il candidato deve prima sostenere un colloquio con l’azienda che lo assumerà, e poi con quella cliente, solitamente una grande compagnia o un elemento di una rete, proprio come Reply, ma può accadere anche per altre grandi, come Accenture o Business Integration Partners.
Questo sistema ha delle conseguenze importanti sul lavoratore. In primis, gli orari: essendo contrattualizzato dall’azienda A, il lavoratore non ha un turno ben definito con le varie clienti della catena del body rental. L. racconta infatti che la sua giornata finiva sempre un’ora e mezza dopo del previsto, mai pagata e mai andata in banca ore. “A parte il computer aziendale, non ho mai avuto benefit. Gli straordinari erano una costante. Invece che alle 18 staccavo sempre alle 19.30, ma spesso anche più tardi”.
Inoltre, il body rental si presta bene al fenomeno del crunch. Diventato famoso nel mondo dei videogiochi, consiste nello spremere sempre più gli sviluppatori, informatici e analisti in particolari periodi, come in prossimità di una consegna di un progetto.
Le conseguenze del body rental sui clienti finali
Ma le conseguenze arrivano anche per il cliente finale. In primis, le aziende di consulenza ritoccano il cv dei loro assunti perché sia più appetibile e adatto alle esigenze. L. ci racconta che molte delle sue esperienze erano state accresciute, e che nel cv mandato all’ultimo cliente la durata delle esperienze era stata prolungata.
Inoltre, i consulenti possono andarsene con una certa libertà e mettere in difficoltà un progetto. Lui aveva solo due settimane di preavviso con cui comunicare il suo licenziamento, rispetto ai due mesi dei lavoratori assunti. Infine, i consulenti sono molto volatili: se l’azienda che assume (o che sta prestando) trova un cliente che paga di più, è piuttosto facile spostare i suoi consulenti in quella direzione.
Resta da chiedersi: perché l’azienda C non si rivolge direttamente all’azienda A? Perché si arrivano ad avere così tanti passaggi? Secondo L., il motivo è che molti dei clienti finali non sono aziende d’informatica, non hanno reparti adeguati o conoscenze, e il tempo per cui necessitano di un consulente può essere molto breve, adatto quindi a diverse commissioni di cui potrebbe occuparsi uno dei vari intermediari.
Capita però che il cliente finale sia così soddisfatto del lavoratore da decidere di assumerlo per conto suo. Non è la regola, ma succede. In questo caso, il body rental diventa una lunga trafila per arrivare alla vera assunzione.
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