Il professor Arturo Maniaci, docente di diritto privato all’Università degli studi di Milano e in prima linea da anni per una difesa onesta della bigenitorialità, risponde alla domanda secca di SenzaFiltro: la proposta di legge rimarca che serve guardare caso per caso anche alla vita dei padri, al lavoro che fanno, al loro ritmo di vita, se si vuole tutelare davvero il benessere dei minori?
“È nella logica di cercare un equilibrio nei tempi di frequentazione dei figli da parte di entrambi i genitori che il testo dedica un comma specifico all’incidenza delle attività lavorative. Che lavoro fanno, quante ore, dove, quanto li impegna, se fanno trasferte, se hanno tempo libero”. Eppure, finora, ha prevalso solo il fattore economico dello stipendio maschile nelle dinamiche di giudizio per le separazioni. Lui guadagna questo, lei quello, a lei spetta tot più il figlio o i figli.
“Si propone che nel piano genitoriale vengano indicati gli orari lavorativi di ciascun genitore per favorire un accordo, su base bisettimanale, così da permettere di organizzare una frequentazione equa in base agli impegni scolastici del minore. Pensiamo solo ai lavori che presuppongono orari notturni o permanenza all’estero per certi periodi dell’anno, e sono molti ma non ci si pensa, come se il lavoro fosse un concetto piatto.”
Nel linguaggio giuridico internazionale si parla di physical joint custody per intendere l’affidamento materialmente condiviso, che prevede tempi paritetici o equipollenti di frequentazione dei figli: non più di due terzi e non meno di un terzo del tempo con ciascun genitore.
Ma perché tante resistenze verso una regola di simile buon senso? Carlo Piazza, avvocato familiarista, offre una stimolante angolazione di pensiero.
“L’aspetto da sottolineare è che in Italia le battaglie per la physical joint custody, o affidamento condiviso, sono state condotte perlopiù da associazioni di padri, del tutto all’opposto rispetto a Svezia, Belgio, Olanda, anche Spagna. È evidente il perché: la discriminazione che nel mondo del lavoro ricade sulle spalle delle donne è tendenzialmente causata dalla necessità di una maggior cura nell’accudimento dei figli, la quale, sia per ragioni tradizionali che di cultura, è sempre stata attribuita solo alle madri, inibendole a una più intensa attività lavorativa e professionale. La parità genitoriale nell’affidamento è concatenata a una parità uomo-donna in ogni ambito sociale, e a quell’obiettivo dovrà condurre. L’ambito del lavoro incide moltissimo. Solo se le incombenze e gli accudimenti di responsabilità ricadono al 50% su entrambi – quindi diritti e doveri – la parità viene esercitata per intero e per davvero.”
Già in precedenti occasioni pubbliche Piazza aveva sottolineato che “la pari dignità genitoriale è scolpita nella nostra Costituzione agli articoli 3, 29 e 30, oltre che in norme europee (art. 8 CEDU, Risoluzione del Consiglio d’Europa 2079 del 2015)”, aggiungendo che “non sussistono fondati motivi giuridici che giustifichino la non applicazione della norma, a meno di posizioni ideologiche atte a perpetuare la discriminazione in atto utilizzando vari escamotage, come ad esempio il clamore mediatico sulla violenza di genere”.