Bergamo, il 27 diventa giornata di licenziamenti. Nove giorni dopo uno sciopero

La vicenda dei trenta lavoratori licenziati dalla Colmach S.R.L., sotto contratto con SABO S.R.L., dopo aver rivendicato i loro diritti. La ricostruzione con Francesco Iavarone, segretario provinciale bergamasco di Fesica-Confsal

Bergamo, licenziamenti: i 30 lavoratori in sciopero poi cacciati dalla loro azienda

di Fabrizio Calvo

 

Sono venuti in Italia a cercare lavoro. Che desse loro dignità e due opportunità: migliorare le loro esistenze e quelle delle rispettive famiglie. Per un po’ di anni, pur tra difficoltà, ad alcuni è sembrato che il sogno potesse realizzarsi. Ma ora che sono stati licenziati, molti sono preda dello sconforto. Non solo perché, dopo quattro mesi senza stipendio, non hanno più soldi da inviare a casa, ma soprattutto perché si vedono costretti a chiedere aiuti economici a famigliari e amici per poter continuare a sopravvivere in Italia”.

Francesco Iavarone, segretario provinciale bergamasco di Fesica-Confsal, sintetizza così la situazione in cui versa una trentina di lavoratori, che l’organizzazione sindacale sta rappresentando dopo che mercoledì 15 febbraio l’azienda da cui dipendevano ha spedito altrettante raccomandate per mettere fine ai rapporti di lavoro. Destinatari delle lettere: uomini fra i 24 e i 64 anni, per la maggior parte provenienti da Marocco e Senegal. Ma fra loro ci sono anche un indiano, un italiano e due ucraini.

Tre i protagonisti di questa intricata vicenda sindacal-industriale: SABO S.p.A., multinazionale della chimica con sede a Levate (nelle vicinanze di Dalmine, in provincia di Bergamo), Colmach S.R.L., Società di servizi con sede a Brembate Sopra (pochi chilometri a ovest di Bergamo), e una trentina di dipendenti di quest’ultima.

Motivo dell’interruzione del lavoro? “Secondo Colmach S.R.L., società appaltatrice, questa è la diretta conseguenza della disdetta, datale da SABO S.p.A. (società appaltante), di un contratto stipulato a inizio 2021 e finalizzato alla fornitura di servizi di facchinaggio. Disdetta legata a doppio filo a uno sciopero che abbiamo indetto lo scorso ottobre”, risponde Iavarone.

Una vicenda abbastanza articolata, per comprender bene la quale è indispensabile riavvolgere il nastro e tornare a un paio di anni fa.

Bergamo, lo sciopero dei lavoratori costretti ad attività rischiose: mansioni da chimici pagate come facchinaggio

“Risale ai primi mesi del 2021 l’assegnazione a Colmach S.R.L. (subentrata a Co.Ma.Ri., una coop di Bergamo che all’industria di Levate aveva fornito manodopera per lavori di facchinaggio fin dal 2006) di un contratto della durata di quasi due anni, per svolgere alcune mansioni all’interno dello stabilimento di Levate. Lo scopo – sintetizza Iavarone – era di affiancare al personale di SABO, già impegnato su alcune linee di produzione, alcuni dipendenti di Colmach, con un contratto Multiservizi.”

Formalmente, ha denunciato il sindacato in una dura lettera aperta datata novembre 2022, le loro mansioni avrebbero dovuto essere quelle proprie del facchinaggio. “In realtà – rimarca il segretario di Fesica-Confsal – quei lavoratori vennero impegnati anche in attività rischiose, come miscelazione, fustamento e trattamento di materiale liquido nocivo e corrosivo per l’ambiente. Attività che, oltre a non rispondere a quelle previste, non venivano adeguatamente riconosciute in busta-paga”, chiarisce il sindacalista. Che puntualizza: “Se i dipendenti di SABO S.p.A. guadagnavano 1.700 € netti al mese, grazie al più favorevole contratto Chimici, i trenta dipendenti di Colmach S.R.L. ricevevano una busta paga di poco superiore ai mille euro netti”.

Una disparità di trattamento che né i diretti interessati né il sindacato sono stati disposti a sopportare oltre: “Il 18 ottobre 2022 proclamammo lo sciopero per chiedere, tra l’altro, un allineamento delle retribuzioni. Volevamo che anche ai nostri trenta iscritti venissero estesi i benefìci del contratto Chimici”.

SABO S.p.A. ha replicato il giorno seguente: “(…) le pretese avanzate dal sindacato non ci paiono fondate dal punto di vista giuridico; ma l’iniziativa conflittuale non ci pare neppure giustificata dal punto di vista della corretta gestione delle relazioni industriali, considerato che, a fronte di rivendicazioni avanzate da Fesica-Confsal, Colmach S.R.L. ha da subito avviato una trattativa per valutare la possibilità di un incremento retributivo – anche in ragione della disponibilità dimostrata dalla nostra società, in qualità di committente, di rivedere al rialzo il corrispettivo per alcune delle attività appaltate – e ha avanzato una proposta in tal senso, dichiarandosi peraltro disponibile a proseguire il negoziato, per valutare ulteriori margini di incremento”.

Un messaggio “inequivocabile” per il segretario provinciale di Fesica. “Oltre a dirci che lo sciopero non era stato gradito – spiega Iavarone – SABO ci ha tenuto a farci sapere di essere intervenuta perché ai dipendenti Colmach venisse fatta una proposta di miglioramento salariale (concretizzatasi in pochi centesimi, rispetto ai 7,53 € lordi riconosciuti per ogni ora lavorata) sempre perfezionabile. Fra le righe ci veniva fatto capire che sarebbe stato meglio che lo sciopero finisse al più presto, perché c’erano cose più importanti di cui occuparsi”.

Quali, si è capito il giorno successivo.

In sciopero il 18, licenziati il 27. E la società procede con l’“internazionalizzazione”

Giovedì 20 ottobre 2022, SABO S.p.A. ha diramato il comunicato con cui annunciava l’acquisizione, da parte della neocostituita SABO GmbH, sia del business TAA e relativi derivati (materie prime chiave per produrre stabilizzanti alla luce, per rivestimenti e beni di consumo) sia di due siti produttivi: uno in Germania (nel Parco chimico di Marl, in Renania settentrionale) e l’altro in Cina (a Liaoyang, a sud di Shenyang), dove erano occupati in tutto circa 250 lavoratori, rilevandoli dalla multinazionale chimica tedesca Evonik Industries AG, un gigante del comparto. Sede a Essen, un EBITDA pari a 2,38 miliardi a fronte di ricavi per 15 miliardi nel 2021, e circa 33.000 dipendenti sparsi in circa cento Paesi nel mondo.

“Nei giorni successivi – ricorda ancora il segretario Iavarone – con Colmach, che a mio parere si muoveva in stretto accordo con SABO, ci furono due-tre incontri. Uno dei quali, il 21 ottobre, in Prefettura, presente lo stesso Prefetto”.

Ma le prove di dialogo abbozzate si sono rivelate infruttuose. Di fronte all’eventualità del permanere di una situazione di stallo (con tutte le possibili conseguenze del caso), il 27 ottobre SABO S.p.A. ha deciso di rescindere il contratto con Colmach S.R.L., esonerando la società di Brembate Sopra “dal proseguire nell’attività per il periodo residuo” previsto dal contratto: cioè, fino a fine anno.

Nel prendere atto della decisione della committente, Colmach S.R.L. ha comunicato ai suoi dipendenti in sciopero che “allo stato attuale non vi è più alcuna attività affidata alla nostra società presso lo stabilimento di SABO a Levate”.

“Vi informiamo – concludeva il messaggio di Colmach indirizzato ai dipendenti in presidio nelle immediate vicinanze del cancello d’ingresso allo stabilimento SABO – che nel caso in cui intendeste riprendere servizio e cessare l’agitazione, sarete temporaneamente dispensati da ogni prestazione lavorativa, in attesa di individuare i più idonei provvedimenti organizzativi imposti dall’attuale situazione”.

Contestualmente, i vertici di SABO S.p.A. hanno reso nota l’intenzione di imprimere una decisa accelerata al “processo già programmato di internazionalizzazione (in Germania e in Cina, N.d.R.) di alcune attività e competenze” quali “il formgiving (cioè il modellamento, N.d.R.) e il confezionamento di alcuni prodotti realizzati nel proprio stabilimento di Levate”.

“In questo modo Colmach, ma soprattutto i suoi 30 dipendenti, rei di aver preteso di non venire ulteriormente sfruttati, sono stati scaricati”, conclude Iavarone.

L’Ispettorato del Lavoro indaga, ma non divulga gli esiti

Senza perdersi d’animo, il sindacalista ha deciso di tirare nuovamente la giacchetta all’Ispettorato del Lavoro.

“Visto che le sollecitazioni a intervenire – fatte già a metà ottobre, sia a loro sia all’INAIL, all’INPS e all’ATS Bergamo – non avevano sortito alcunché, la mattina del 7 novembre andammo a manifestare sotto la sede bergamasca dell’Ispettorato, finché ottenemmo di essere ricevuti dalla responsabile provinciale: Mirella Ferrarese. E alla dirigente spiegammo la necessità e l’importanza di un tempestivo sopralluogo nello stabilimento di Levate, al fine di accertare l’effettivo stato delle cose che avevamo denunciato. Purtroppo”, conclude Iavarone, “ad oggi (20 febbraio, N.d.R.) siamo ancora in attesa di conoscere l’esito delle ispezioni condotte nello stabilimento chimico di Levate”.

Nel frattempo, il passaggio di siti produttivi (e relativo personale, circa 250 persone in tutto) da Evonik a SABO è proseguito a passo spedito, e il 29 dicembre è stato annunciato il closing dell’operazione. “Questo è l’avvio di una nuova fase di crescita”, ha commentò a caldo Germano Peverelli, presidente e Ceo di SABO (nonché detentore del 3% del capitale dell’azienda chimica bergamasca). E ha aggiunto: “L’innesto di nuove tecnologie all’avanguardia, l’efficientamento dei processi e l’integrazione degli asset produttivi in Germania, Cina e Italia, consolideranno la nostra posizione sul mercato, a vantaggio dei nostri attuali e futuri clienti e di tutti i nostri dipendenti”.

“Oltre all’amarezza per il fatto che, a quattro mesi di distanza dalla nostra richiesta, ancora non conosciamo l’esito dell’ispezione nello stabilimento di Levate – conclude il segretario Iavarone – siamo delusi per altri due motivi: sia perché il sindaco di Levate ha derubricato la vicenda a semplice contenzioso sindacale, sostenendo che solo i contendenti avrebbero dovuto risolverlo; sia per la mancata solidarietà e vicinanza agli scioperanti da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali presenti in SABO. Anche per queste ragioni, non ci resta altro da fare se non impugnare i licenziamenti”.

 

 

 

Photo credits: bergamonews.it

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