Chi trova un bravo sindacalista trova un tesoro

Meno di due anni fa mi stavo registrando alla reception di un cliente, incontro il “capo” delle RSU (oltretutto della FIOM) che mi vede, mi saluta cordialmente e mi dice: “oh che bello, quando ti vedo è segno che facciamo cose interessanti”. Al di là dell’ovvia gratificazione personale, il mio committente era la direzione risorse […]

Meno di due anni fa mi stavo registrando alla reception di un cliente, incontro il “capo” delle RSU (oltretutto della FIOM) che mi vede, mi saluta cordialmente e mi dice: “oh che bello, quando ti vedo è segno che facciamo cose interessanti”. Al di là dell’ovvia gratificazione personale, il mio committente era la direzione risorse umane, non il sindacato, l’episodio mi ha fatto riflettere. Anticipo la conclusione: io sogno un sistema di relazioni industriali ispirato alla mitbestimmung tedesca: sindacati che siedono nei CDA, partecipano alle decisioni condividendo con il management le responsabilità e aziende che redistribuiscono i risultati sia sotto forma di incentivi che di politiche di welfare aziendale. Utopia? Forse, ma forse no. A ben vedere in singole aziende tutti i sindacati, inclusa la FIOM firmano accordi moderni e utili sia all’azienda che ai lavoratori.

L’impressione da osservatore e da consulente che lavora quotidianamente con le direzioni del personale è che stiamo assistendo a fenomeni contraddittori e poco comprensibili:

  • Da un lato non sono pochi i casi virtuosi come i due citati; è di pochissimi giorni fa la notizia di un accordo fra FIAT ed alcuni sindacati su un nuovo sistema di partecipazione ai risultati da cui, però, FIOM e CGIL hanno subito preso le distanze
  • Da un altro punto di vista vediamo ancora sindacalisti vecchio stile che forse in cuor loro non hanno ancora del tutto abbandonato il dogma del “salario variabile indipendente” dichiararsi contrari a priori a qualsiasi forma di cogestione  o, peggio ancora, sfruttare il proprio ruolo per fini che nulla hanno a che fare con la missione del sindacato che, ricordiamolo per quanto possa apparire banale, resta la tutela dei lavoratori. Anche in questo caso cito un episodio reale: il direttore HR dell’azienda X, che vede come azionista di maggioranza il Comune di Y viene “ricattato” da un rappresentante sindacale il quale approfitta del fatto di essere anche consigliere comunale di maggioranza e minaccia di votare contro il Sindaco in consiglio comunale. Quel sindacalista è riuscito nel capolavoro di essere al tempo stesso rappresentate dei lavoratori e azionista di maggioranza dell’azienda, in pratica ambiva a discutere le vertenze con se stesso
  • Una terza categoria di fatti è forse meno visibile ma altrettanto subdola: non di rado quando in azienda accenno alla possibilità di utilizzare i fondi interprofessionali per la formazione i clienti obiettano che preferiscono non utilizzare quelle risorse per non dover fare accordi con il sindacato. Forse sono gli stessi clienti in cui gli imprenditori si vantano di essere riusciti da sempre a “tenere fuori i sindacati

La sensazione, insomma, è che da entrambe le parti ci sia ancora molto da fare. Che siano necessari sindacalisti, da entrambe le parti, che prima di tutto riconoscano l’uno all’altro la piena legittimità ad esistere e a negoziare.

I lavoratori avrebbero un gran bisogno di sindacalisti moderni, in grado contrattare anche sui piani di sviluppo professionale, sulla formazione, che condividessero la responsabilità delle scelte aziendali. Quando leggo che i sindacati discutono sulla percentuale di azioni del Comune nella multiutility mi sento sconfortato. A che titolo e in nome di chi esprimono questo parere minacciando scioperi?

D’altra parte anche le aziende avrebbero molto bisogno di sindacati in grado di essere di stimolo verso strategie più moderne, che mirino alla crescita dell’azienda e delle persone e non alla protezione di nicchie (i disastri Alitalia credo non richiedano commenti). Al tempo stesso un sindacato forte e realmente rappresentativo sarebbe anche la garanzia di tenuta degli accordi, assicurerebbe alle aziende che un minuto dopo la firma quell’accordo è “sacro” finché non se ne stipulerà uno nuovo. Anche qui un piccolo esempio: è pensabile nel 2015 – il giorno di apertura del salone del mobile – un sindacato che proclama uno sciopero, poi rinviato per intervento della prefettura, contro l’accordo siglato da ATM e diverse sigle sindacali su turni e orari per il servizio durante l’Expo.

I primi due esempi citati, Lamborghini e Ducati, dimostrano che quando le persone vogliono si raggiungono accordi eccellenti anche con le sigle apparentemente meno propense ad accordi.

Che sbadato, solo adesso mi sovviene che sia Lamborghini che Ducati fanno parte del gruppo Volkswagen. Che sia un caso?

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