ITA Airways, se i piloti diventano i rider del cielo: “Tariffe orarie da Deliveroo”

Primo sciopero nella neonata compagnia di bandiera: i sindacati insorti a causa di una lettera in cui il presidente Altavilla minaccia i dipendenti. Intervistiamo in esclusiva due ex lavoratori Alitalia: “Dopo 20 anni di voli costretti a rimandare il CV e a sostenere un colloquio coi pop-up”.

“Vi voliamo bene”, recitava lo slogan di Alitalia. Moi, non plus, verrebbe da controbattere, alla Gainsbourg.

Un mese di ITA Airways e c’è già maretta in paradiso. O forse, a ben guardare, c’è sempre stata.

Il 14 ottobre 2021 è stato per Alitalia l’ultimo giorno di volo. Che è successo in questi trenta giorni e come sta andando per la Newco?

Il 10 novembre CUB Trasporti (Confederazione Unitaria di Base), USB (Unione Sindacale di Base) e ACC (AirCrew Committee) escono con una dura presa di posizione in risposta alla lettera inviata il giorno prima ai dipendenti dal presidente esecutivo di ITA Alfredo Altavilla, dopo aver ricevuto una segnalazione da parte di una passeggera (ex dirigente Alitalia) su un presunto disservizio a bordo di un volo. Il presidente Altavilla viene definito, nel comunicato sindacale, “lo Sceriffo di Nottingham”. Come mai?

La comunicazione ufficiale di Altavilla inizia con un “gentili colleghe e colleghi”, per poi passare a “comportamenti scorretti, poco professionali, arroganti o ineducati” di singoli, che rischiano di inficiare il lavoro di tutti e “compromettere la raggiungibilità dell’obiettivo di NPS” (il Net Promoter Score – sistema di rilevazione di soddisfazione del cliente) dell’azienda, e chiudere con parole decise: “Simili comportamenti individuali saranno sempre puniti secondo la disciplina del nostro Regolamento Aziendale”.

Come a dire – scrive USB Assistenti di volo – che “chi non sarà adeguato agli standard di compagnia trascinerà con sé il gruppo di lavoro, che perderà il network performance score, cioè quel pezzo di stipendio sottratto dalla retribuzione e vincolato all’attività”.

In ITA – è importante sottolinearlo – i dipendenti non hanno più un contratto collettivo nazionale come in Alitalia, ma qualcosa di più simile a un regolamento aziendale privato, nonostante i 720 milioni di capitale versati dal ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). ITA, dunque, vola grazie a denaro pubblico.

CUB Trasporti e AirCrew Committee il 15 novembre hanno indetto il primo sciopero. “Venite tutti muniti di trolley”, esorta un volantino; e risulta sia stato proprio un trolley, o comunque il bagaglio, di quella passeggera ex dirigente di Alitalia a innescare la spinosa questione durante il volo Roma-Palermo dello scorso 29 ottobre. Più che di maretta, a questo punto, si potrebbe parlare di mareggiata.

Alitalia diventa ITA, e quasi diecimila dipendenti restano a terra

L’ex compagnia di bandiera è sempre stata sotto la lente d’ingrandimento: un’entità che, nell’immaginario collettivo, continuava a togliere, anziché dare. Un articolo degli anni Novanta apparso sul New York Times affermava che Alitalia era conosciuta più per i suoi interni modaioli e le divise firmate da stilisti di grido come Armani che per i servizi o la puntualità. A tutto ciò, nel tempo, si sono aggiunti i tentennamenti manageriali (la fusione andata in fumo nel 2000 con KLM, la mancata cessione ad Air France nel 2008), troppi sostegni statali (oltre dodici miliardi in quarantacinque anni) e i punti oscuri nella sua gestione.

Ma a questa cronaca di una morte annunciata è mancata la voce dei quasi diecimila dipendenti che oggi sono senza lavoro. Al danno, negli ultimi mesi, si è aggiunta la beffa, bersagliati da battute tipo “è finita la pacchia”, con tanto di strizzatine d’occhio e ammiccamenti.

Che cosa invece sappiamo, noi coi piedi per terra, della vita di comandanti, assistenti di volo e personale aereo? Quali problemi deve affrontare chi svolge queste professioni, e che cosa possono aspettarsi ex e nuovi dipendenti?

Storie intrecciate a doppio filo con quella italiana, che cominciano ad avere un peso anche sulle nostre. Ne abbiamo parlato in esclusiva per SenzaFiltro con una responsabile di cabina e un primo ufficiale. Parlandoci mi ha colpito la miscela di rabbia e tristezza che ho percepito nella loro voce; più che un lavoro, hanno perso qualcosa che somigliava a una famiglia, e senza dubbio una loro ragion d’essere. Non indossavano solo una divisa professionale: credevano in Alitalia, e portavano quel logo come fosse un vessillo. Un vessillo valutato e messo all’asta in prima battuta a 290 milioni di euro, ma poi acquistato dalla subentrante con un accordo al ribasso, per 90 milioni, il giorno prima della partenza ufficiale. Coincidenze?

“Altro che super stipendi e benefit di viaggio: se non voli non guadagni. E anche lì…”

Cristina è un’assistente di volo entrata in Alitalia nel 1988, a poco più di vent’anni, dopo selezioni serrate e mesi di addestramento quotidiano a Fiumicino; conosce tutte le norme di primo soccorso, sa come si usa un defibrillatore (utile nei viaggi di lungo raggio), ma anche e soprattutto come ci si rapporta con passeggeri di estrazione, tipologia e religione diversa per non turbare la loro permanenza a bordo. Ha incontrato attori, politici e personaggi famosi, ma ha anche fatto atterraggi poco piacevoli e visto morire persone.

Dei disagi causati al fisico da fusi orari e radiazioni, dei lunghi e pesanti trasferimenti e della difficile gestione della vita privata (soprattutto se il tuo partner è un collega) se ne è sempre parlato poco. Una delle prime cose che mi fa notare la mia interlocutrice, è questa: “Se non voli, non guadagni”.

Quindi non avete sempre avuto stipendi da capogiro, per contratto?

Favole d’alta quota. Partiamo dallo stipendio base: il personale entrato prima della metà degli anni Novanta aveva un accordo contrattuale che prevedeva un piccolo fisso mensile, comprensivo di un numero di ore di volo già pagate (venti nel caso di un part time) a prescindere dal fatto che le facesse o meno; questo vuol dire che se non viaggiavi (perché non ci sono voli, come si è verificato a volte nei mesi di pandemia) o non le superi il compenso è lo stesso. Oltre la soglia di ore pattuite, più voli, più lo stipendio aumenta. Non immaginare grandi cifre; ti dico come sono calcolate. Arrivati in aeroporto di regola si fa subito il check-in, registrandosi su computer, ma il conteggio parte dopo. Siamo pagati block to block, cioè da quando si chiude il portellone dell’aereo a quando si riapre una volta atterrato. Se facciamo dodici ore in transito, o mentre i passeggeri scendono, non conta, il che vuol dire che per tratte interne tipo Roma-Milano e viceversa (durata effettiva circa 50 minuti) ne vengono messe in busta paga più o meno tre. Il modo migliore per arrotondare lo stipendio sono sempre stati i voli di lungo raggio, dove si viaggia per più ore di seguito. È per questo che una ventina di anni fa esisteva la cosiddetta “spettanza”, turni di lavoro organizzati in modo che tutto il personale avesse diritto allo stesso numero di voli pro capite per le destinazioni più ambite. A questo era collegata la diaria giornaliera per i pasti, che non era fissa come ora – 42 euro tondi tondi in qualunque posto ti rechi – ma commisurata al costo della vita della nazione ospite (per esempio U.S.A. e Giappone sono più cari, il Sud America meno).

Ciò non toglie che avevate diritto a benefit importanti come i viaggi gratuiti.

Anche qui le cose non stanno come si racconta. Come altre aziende – pensa alle ferrovie – i dipendenti hanno alcune facilitazioni, tra cui biglietti scontati al 50% o anche più, ma che non consentono la prenotazione del posto. Sai se puoi partire solo dopo che hanno effettuato il check-in tutti i passeggeri regolari. È successo più volte di dover attendere uno o due voli successivi per imbarcarsi, e considera che spesso l’aereo per noi è un modo per recarsi al lavoro, se non abiti nei pressi degli hub principali.

Un pilota ex Alitalia: “I nuovi contratti ITA hanno tariffe orarie paragonabili a quelle dei rider”

Inizio a dialogare con Marco, primo ufficiale di medio raggio, un costoso brevetto preso in America e messo a servizio della compagnia di bandiera. Vola da oltre vent’anni, e in questi mesi ha seguito con apprensione e partecipazione quanto succedeva in azienda.

Dicono che il personale dell’Alitalia è sempre costato caro. Che ne pensi?

Lascia stare le low cost – non è possibile fare un paragone – e pensa invece alle altre compagnie di bandiera (British Airways, Air France, Lufthansa); certo, queste aziende sono in attivo, ma è sempre stato facilmente verificabile che noi costavamo meno. Un comandante di Lufthansa costa anche il 20% in più. E ti faccio notare che negli ultimi anni gli stipendi sono stati ribassati, o comunque non si sono adeguati all’aumento del costo della vita.

Hai nominato le compagnie low cost. Perché una tratta aerea con loro costa così poco all’utente finale?

Hai detto bene: all’utente finale. Non voglio fare nomi o parlare di tematiche legate alla sicurezza. Ti basti pensare che molte di esse non pagano le tasse in Italia (dove sono elevate), ma nel loro Paese, e in alcuni casi acquistano il carburante a un prezzo inferiore rispetto alla compagnia di bandiera; poi non atterrano negli aeroporti principali e sono a volte sovvenzionate dalle stesse amministrazioni regionali, con i fondi a loro disposizione, per servire la zona in questione, e quindi assicurare il volo da un aeroporto secondario. Se Alitalia/ITA non assicurerà più la continuità territoriale del trasporto, per esempio sulle isole, in futuro non mi sorprenderebbe un aumento delle loro tariffe. Volotea, per esempio, ha già vinto l’appalto per la Sardegna.

Parliamo della situazione attuale. Che cosa vi aspetta?

Il 15 ottobre è partita ITA; lo ha fatto con pochi dipendenti e una flotta ridotta. Quando hanno fatto le selezioni le hanno aperte a tutti, e anche personale con esperienza pluriennale si è trovato, come un novellino, a inviare il suo CV. L’ho trovato desolante. Abbiamo affrontato un colloquio virtuale, registrato, su un sito (www.cving.com), dove non vedevi se e chi c’era dall’altra parte, rispondendo a domande che si aprivano davanti a noi in modalità pop-up. Non ti sembra assurdo per chi ha anni e anni di volo alle spalle? Guidare un aereo non è come guidare un’auto. Siamo addestrati a cavarcela a 10.000 metri di altezza e ad avere la responsabilità di centinaia di passeggeri: aveva senso questa pantomima? Molti neoassunti sono ex Air One e spesso non hanno figli; si vocifera che non abbiano avuto riguardo per alcune categorie protette, e hanno abolito anche il part time. Il contratto proposto a chi è stato chiamato è a suo modo umiliante, con tariffe orarie equiparabili a Glovo/Deliveroo – con tutto il rispetto per chi ci lavora. È come se il presidente Altavilla, già discepolo di Marchionne e conosciuto per le delocalizzazioni FIAT, avesse strappato il contratto precedente e avesse formulato un regolamento privato che devi assolutamente sottoscrivere per essere assunto. E pensare che Alitalia era riconosciuta come una delle compagnie più professionali e sicure al mondo! Molti di noi sono stati costretti a non accettare per contingenti motivi economici e per non perdere scatti pensionistici. Il destino di chi non è partito il 15 pare questo: un anno di cassa integrazione e forse due anni di NASpI.

E i sindacati?

Non è il mio lavoro, ma penso che si siano mossi tardi e non abbiano monitorato bene. A fare il primo passo sono stati gli autonomi, quelli non sempre riconosciuti ai tavoli contrattuali. Lavoratori e lavoratrici hanno fondato il comitato “Tutti a Bordo – No al piano ITA”, e hanno dato vita a iniziative come sit-in, flashmob e manifestazioni pacifiche per sensibilizzare l’opinione pubblica. Quello che addolora è la scarsa conoscenza dei fatti da parte di chi sta fuori e la poca risonanza trovata dalla nostra istanza sui media.

Il 10 ottobre, la Commissione europea ha concluso che ITA ha dimostrato la discontinuità con Alitalia e non è il suo successore economico, quindi non è responsabile del rimborso degli aiuti di Stato ricevuti. La discontinuità è solo un concetto o qualcosa di più?

Per ora – a malincuore – devo dire che sembra essere stata disattesa. A quanto so ITA ha usato le stesse divise, una piccola parte (per ora) della stessa flotta e lo stesso personale qualificato, sebbene molto ridotto; l’acquisizione dello stesso logo e naming, dopo aver presentato alla stampa un logo senza personalità (era provvisorio?), fanno sì che gli aeromobili ora possano volare con i colori storici e con lo stesso codice AZ sui tabelloni. ITA ha acquisito anche i domini internet, per cui non mi stupirebbero altre somiglianze. A settembre ci hanno corrisposto il 50% di quanto spettante, informandoci che una volta venduto il logo ci avrebbero dato il resto, ma ancora niente. L’unica cosa che a questo punto non ha avuto una sua continuità sembra essere l’osservanza del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda come previsto dall’art. 2112 del Codice civile.

Che cosa rappresentava l’Alitalia, e che cosa succederà in futuro?

Alitalia è sempre stata un asset strategico del Paese, un efficace portavoce dell’Italia e dei suoi beni culturali nel mondo. Chi porterà i turisti stranieri nelle città d’arte o gli uomini d’affari nelle capitali della finanza? In una recente intervista il magistrato Paolo Maddalena ha affermato che gli asset principali di una nazione non possono essere commercializzati come è stato fatto. Per il futuro si parla di un accordo con Lufthansa; i voli di lungo raggio passeranno dalla Germania prima di arrivare – grazie a ITA – in Italia, e questo significherà continuare a perdere autonomia e dignità.

Non è la prima volta certo che si svendono slot di volo o che le compagnie hanno periodi bui, ma un Paese come il nostro ha ancora bisogno di una buona compagnia aerea a reggere la sua bandiera nel blu dipinto di blu. Come ha scritto Renato Zero il 15 ottobre: “A questa nostra Italia, le hanno tolto pure le ali… I nostri sogni adesso, come viaggeranno?”

Magari potrebbero essere misurati dal Net Promoter Score.

Photo credits: subitolavoro.org

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