Fact checking sul lavoro: che cosa c’è nel programma del Movimento 5 Stelle

Qual è la ricetta politica dei pentastellati riguardo i temi legati al lavoro? Analizziamo il loro programma punto per punto, dal salario minimo all’inclusione, passando per il welfare. Conte: “Cambiare il RdC bypassando i centri per l’impiego”.

L’annuncio l’aveva dato a suo tempo il transfuga Luigi Di Maio: “Abbiamo abolito la povertà”. Quel giorno del 2019 (erano i 14 mesi del governo gialloverde) l’allora ministro al Welfare e al Lavoro annunciava il Reddito di Cittadinanza, la misura che i pentastellati avevano proposto in campagna elettorale e che era diventata finalmente realtà – e che lo è ancora, per 2.800.000 italiani.

Oggi è la bandiera della campagna elettorale del suo ex partito, i 5 Stelle guidati da Giuseppe Conte, che ha avuto un ruolo nel far prendere a Di Maio la via del nuovo partito con Tabacci. Ma non c’è solo il Reddito di Cittadinanza nel programma del Movimento: si parla anche di apprendistato, lavoro femminile e salario minimo. Quasi fosse disegnato per una popolazione molto giovane, e al momento o disoccupata o non particolarmente qualificata, per riuscire a trovare un lavoro. Per intendersi dall’agenda pentastellata manca quasi completamente il discorso pensioni (se non un generico riferimento a una riforma che non sia la Fornero); ma al suo interno non compare mai la parola smart working, pur essendo stato uno dei temi di più stringente attualità nel corso degli ultimi due anni.

Per chi sta nella fascia tra i 30 e i 50 (quella dove si concentra il popolo delle partite IVA) c’è l’idea dell’estensione agli autonomi degli ammortizzatori sociali, ma non ad esempio la regolamentazione del lavoro da remoto, né sono previsti particolari interventi sulla fiscalità. Ampio spazio viene dato ai diritti delle donne, con l’idea di equiparare il loro trattamento anche salariale a quello degli uomini. Riprendendo un vecchio adagio riferito alla sinistra si può riproporre il famoso: “Chi non vota 5 Stelle a vent’anni non ha cuore, chi li vota a quaranta non ha testa (o quantomeno non ne vede la convenienza, N.d.R.)”.

Reddito di Cittadinanza, che cosa cambierebbero i 5 Stelle: “Bypassare i centri per l’impiego”

Il piatto forte (e la grande sfida che potrebbe davvero sorprendere quando si conteranno i voti e non i sondaggi) è però quello del Reddito di Cittadinanza, che si qualifica come l’ago della bilancia di queste elezioni, ma anche l’argomento più divisivo sul tema del lavoro.

Tocca proprio a Conte difendere la misura, che per molti (anche tra i sostenitori) si è rivelata incompleta, soprattutto nella parte in cui si deve trovare lavoro a quanti ne usufruiscono. Ed è lo stesso Conte che, nel suo programma e anche in sede di presentazione, ha spiegato come andrà riformato, partendo da una modifica delle politiche attive del lavoro. Un intervento che per molti andava fatto già a suo tempo, anzi addirittura prima di licenziare la misura, rivelatasi per alcuni aspetti inefficace.

“Il sistema di politiche attive – spiega Conte in un incontro della Fondazione Feltrinelli, al quale ha partecipato anche SenzaFiltro – non funziona e si trascina in modo efficiente. Quando realizzi una riforma del genere devi riformare le PAL. Durante il governo Conte 2 avevo iniziato a creare una piattaforma informatica per la gestione, che in questo momento ancora non esiste. L’obiettivo era quello di mettere in rete i player coinvolti. Tutto passava dall’ANPAL (l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro, di cui SenzaFiltro ha già descritto il rapporto paradossale con navigator e centri per l’impiego, N.d.R.)”.

Tutti hanno potuto vedere come il meccanismo si sia inceppato in quel punto, dal momento che in pochi tra i quasi tre milioni di percettori di Reddito hanno trovato un lavoro. “Nella piattaforma – continua – ci devono essere tutti, dall’ANPAL fino alle aziende e ai centri per l’impiego”.

Altra nota dolente del Reddito di Cittadinanza: “I centri per l’impiego – continua l’ex presidente del Consiglio – sono gestiti dalle Regioni e 14 di queste sono in mano al centrodestra, che fa una battaglia contro il Reddito. Potete immaginarvi cosa possa succedere”.

La soluzione proposta per il futuro è quella di bypassare i centri per l’impiego. “Le agenzie private per il lavoro – dice Conte – sono la chiave di volta per creare un sistema efficiente. Chi dice che risolve il problema in un anno prende in giro gli elettori. In Germania ci hanno messo dieci anni. Nei centri per l’impiego hanno creato degli specialisti, mentre qui sono stati bullizzati i navigator, che erano tutte persone con una laurea o master. Non pensavamo di risolvere tutti i problemi con i navigator, ma abbiamo stanziato un miliardo per incentivare i centri per l’impiego. Ho girato tutta l’Italia e posso dire dove non funzionano, ma non voglio attaccare il centrodestra. Con quello stanziamento erano previste 11.000 nuove assunzioni, ma ne hanno assunti 3.300 con un boicottaggio alimentato dal sistema mediatico, che ha solo rimandato immagini di qualche furbetto del Reddito di Cittadinanza”.

Conte poi rincara la dose: “Solo noi abbiamo avuto la forza di introdurre il blocco dei licenziamenti. Abbiamo fatto cinque variazioni di bilancio in piena pandemia e abbiamo lasciato lo spread sotto quota 100, in un momento di grande difficoltà per l’economia italiana e in generale per la situazione sociale”.

Salario minimo e taglio del cuneo fiscale contro NEET e lavoro povero. Conte: “Sta sparendo il ceto medio”

C’è anche chi il lavoro non ce l’ha, non l’ha mai avuto e addirittura non lo cerca nemmeno. Uno dei punti che sarà centrale in questa campagna elettorale sono i giovani che hanno abbandonato anche la speranza di trovare un lavoro, i cosiddetti NEET, che secondo alcune stime ammontano a un giovane su quattro.

“Ci sono 3 milioni di giovani da 15 anni in su – spiega Conte – che non cercano lavoro e sono in uno stato di atarassia. Questo è terribile per una società che non garantisce un progetto di vita. Abbiamo il compito di offrire loro una prospettiva, partendo dal salario minimo legale che deve essere di 9 euro all’ora”. Che è la stessa cifra che “consiglia” l’Unione europea nella sua direttiva, la quale impone l’adozione di questa misura in tutti i Paesi entro i prossimi due anni.

Ma il tema non riguarda soltanto i giovani, che ad oggi risultano comunque tra le categorie meno pagate. “Non è possibile che ci sia chi guadagna 3 euro all’ora e arriva a casa alla sera con la schiena spaccata. Abbiamo un problema di lavoratori poveri, perché c’è stata negli ultimi trent’anni una perdita di potere d’acquisto da parte della popolazione. Quando compari i dati con i Paesi concorrenti ti rendi conto di come ci voglia il taglio del cuneo fiscale, perché quello che sta sparendo è il ceto medio. Su questo Draghi è stato irremovibile, ma fra un po’ si entrerà in una spirale recessiva che farà crollare i consumi. Le imprese sono in ginocchio a causa della scarsità delle materie prime”.

Conte: “Combattere la precarietà rinnovando decreto Dignità. Vogliono il precariato selvaggio”

C’è anche chi un lavoro ce l’ha, magari anche pagato in modo discreto, ma non è sicuro di averlo per sempre: il cosiddetto precariato, quel mare magnum che va dai camerieri a 3 euro l’ora fino alle finte partite IVA.

“Il nostro obiettivo – continua l’ex presidente del Consiglio – è quello di dire stop alla precarietà. Lo stesso Letta dice che bisogna superare il Jobs Act, ma c’è già il decreto Dignità che ha portato 8.000 contratti a tempo indeterminato. Abbiamo incentivato le assunzioni perché abbiamo dato la possibilità di farlo nel nostro Paese, ma non c’è nessuno che dice che a fine settembre scade la sospensione del decreto Dignità e che bisognerà rinnovarlo. Vogliono il precariato selvaggio”.

Anche in merito ai contratti l’occhio dei pentastellati sembra rivolto ai giovani, con la decisione di prevedere un compenso minimo per i tirocinanti e il riconoscimento del periodo di tirocinio ai fini pensionistici.

Poco sulle pensioni, molto sulle donne lavoratrici

Il tema meno sentito, forse anche per la composizione stessa del gruppo parlamentare – che è tra i più giovani – è quello delle pensioni.

In merito i 5 Stelle si limitano a spiegare come sia necessaria la riforma del sistema pensionistico, evitando il ritorno alla legge Fornero, partendo dall’allargamento delle categorie dei lavori gravosi e usuranti e attraverso meccanismi di uscita flessibile dal lavoro.

Novità annunciate anche per le donne: si va dall’introduzione delle misure per un’effettiva parità salariale, per fare in modo che di fronte alle stesse qualifiche e alle stesse mansioni abbiano una retribuzione reale non inferiore a quella degli uomini, fino all’equiparazione dei tempi di congedo di paternità e maternità. A questo si aggiunge la pensione anticipata per le mamme lavoratrici, la proroga dello sgravio contributivo al 100% per l’assunzione di donne disoccupate e il rafforzamento del fondo per l’imprenditoria femminile, così come gli sgravi per l’assunzione delle donne in gravidanza.

I grandi assenti dal programma pentastellato: crisi aziendali, smart working e gig economy

Nell’agenda del Movimento 5 Stelle non trovano spazio in maniera esplicita le grandi crisi aziendali (di cui SenzaFiltro si è occupato con un apposito Osservatorio). Un grande interesse, invece, è rivolto alla situazione del Sud; una scelta che finora sembra aver pagato, visto che nei sondaggi il Movimento è il primo partito nelle regioni meridionali. La proposta è quella di stabilizzare la decontribuzione del Sud, per proteggere e creare nuovi posti di lavoro nel Mezzogiorno.

Ci sono poi due temi che proprio sembrano non essere approdati sul tavolo di chi ha stilato il programma sul lavoro dei pentastellati. Non c’è nessun accenno allo smart working, nemmeno in sede di presentazione, e a una sua forma di regolamentazione. Lo stesso vale per le piattaforme dei rider, che continuano a rappresentare un problema a sé anche rispetto alle difficoltà connaturate al precariato.

Sembra una parziale contraddizione rispetto alla scelta di rivolgersi ai giovani, dal momento che i principali soggetti che subiscono le ingiustizie della gig economy sono spesso proprio gli under 30, assieme agli immigrati, che si confrontano con un mondo ancora sprovvisto di tutele salariali sindacali. Una sfida che al momento i 5 Stelle sembrano non aver accolto nel loro programma elettorale, ma con la quale come tutte le forze politiche dovranno confrontarsi.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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