Saldi 2021, non solo fine stagione: fine lavoro per migliaia di persone

20.000 punti vendita in chiusura e 50.000 lavoratori a casa a fronte di un miliardo in meno nei consumi: gli outlet soffrono la mancanza dei clienti dalle altre regioni, tra i nuovi DPCM e la gimcana delle date per evitare le zone rosse.

“Cercasi personale da assumere”. Il cartello fuori dal negozio di vestiti per bambini all’outlet di Vicolungo (provincia di Novara, a metà strada tra Milano e Torino) suscita una strana impressione in un momento in cui il settore commercio è in grande crisi, ma allo stesso tempo dà una speranza per il futuro.

I primi saldi in tempo di pandemia hanno visto una forte riduzione (in alcuni casi anche del 50%) dei lavoratori del commercio impiegati negli outlet, le piccole città commerciali sorte quasi sempre vicino agli imbocchi delle autostrade, dove si possono comprare prodotti firmati a prezzi scontati tutto l’anno. Fino all’anno scorso per arrivare in un qualsiasi outlet (dal Fidenza Village a Serravalle) in tempo di saldi ci si metteva in coda fuori dall’autostrada, armati di pazienza, e si aspettava fino a quando si trovava parcheggio. Nei primi anni di apertura di questa nuova formula commerciale c’erano addirittura i pullman con i viaggi organizzati, che avevano in parte sostituito le gite delle pentole o della parrocchia.

Oggi, causa le molte limitazioni di spostamento da una regione all’altra, l’afflusso si è ridotto. E anche il personale che vi lavora, stagionale e non, si è trovato a fare i conti con tagli pesanti, che hanno provocato in alcuni negozi un dimezzamento dei lavoratori.

“Cercasi personale”, ma per i saldi 2021 giù occupazione e consumi. Aumentano le ore di cassa integrazione

Le previsioni dell’Ufficio Studi di Confcommercio prima dell’inizio dei saldi 2021, programmato nella maggior parte delle regioni il 7 di gennaio, non erano confortevoli. Secondo le stime lo shopping dei saldi avrebbe interessato 15 milioni di famiglie con una spesa media a persona di 110 euro, per un movimento totale di denaro totale di 4 miliardi di euro, contro i 5 dell’anno scorso.

Una perdita non indifferente confermata dalle stime di Federazione Moda Italia-Confcommercio, che prevede una chiusura di 20.000 punti vendita su un totale di 115.000, con un calo dei fatturati di 20 miliardi. Da parte degli italiani, sempre secondo uno studio di Confcommercio, c’è l’intenzione di fare acquisti nei saldi (il 64% contro il 61,8% dell’anno precedente è pronto a comprare con i prezzi scontati), ma si spenderà meno. La stima della spesa è di 254 euro per nucleo famigliare contro i 324 dell’anno scorso. Ma non tutti andranno ai piccoli commercianti o ai negozi in generale, dal momento che il 35% degli intervistati si è detta disponibile a comprare online.

La preoccupazione è alta anche per l’occupazione: si stima che andranno persi 50.000 posti di lavoro su 310.000 complessivi. A farne le spese la fascia più debole, cioè gli under 30, che spesso venivano assunti con contratti stagionali o a tempo determinato. Anche chi lascia aperte le posizioni lavorative tutto l’anno per la ricerca di commesse specifica come l’assunzione, comunque, non è detto che sia immediata. La speranza quindi c’è, ma nello stesso negozio che cerca lavoratori oggi ci sono due commesse, mentre l’anno scorso ce n’erano quattro.

Gli stessi grandi marchi hanno dimostrato di credere poco nei saldi del mese di gennaio, dal momento che nei negozi non sono arrivati nuovi commessi come capita di solito; questo al netto del fatto che si arrivava da un periodo di chiusure nel fine settimana in cui molti negozi hanno fatto ricorso alla cassa integrazione. Dal novembre 2019 a quello 2020 le ore di cassa in deroga, riservata a imprese sotto i quindici dipendenti e che non rientrano nel settore industriale, nel settore commercio sono passate da 7.171 a 69.076.425. Si tratta di un incremento enorme, legato alle chiusure imposte dal COVID-19, ma che ha messo in ginocchio un intero settore.

Vicolungo, l’outlet delle due regioni dove è vietato andare

La speranza era quindi di intercettare una ripresa nel mese di gennaio al momento dei saldi, con la riapertura delle regioni. Il DPCM del 7 gennaio però ha spento gli entusiasmi, anche perché strategicamente gli outlet sono costruiti di solito all’imbocco di autostrade molto trafficate, che incrociano più province e almeno due regioni: il Fidenza Village è al confine tra Lombardia ed Emilia, Serravalle è sulla direttrice Milano-Genova, il Barberino Designer Outlet è nei pressi del casello autostradale di Barberino del Mugello tra Bologna e Firenze.

L’obiettivo è quindi di attirare la clientela di almeno due regioni, allargando il bacino d’utenza, ma il divieto di passare da regione a regione predisposto dai recenti DPCM ha di fatto dimezzato l’afflusso. «C’è molta meno gente rispetto agli anni scorsi – spiega una commessa all’outlet di Vicolungo – anche perché noi siamo in provincia di Novara, ma più vicini a Milano che a Torino. Significa perdere i clienti che arrivano dalla grande città».

I negozi rimangono aperti solo nei giorni feriali, con le chiusure imposte il fine settimana, e gli introiti diminuiscono, anche perché Milano rimane per l’outlet piemontese il principale bacino d’utenza rispetto alla vicina Torino. «In prevalenza – continua la commessa – in questi giorni chi è venuto a fare spesa proveniva da Novara e Vercelli, oppure dai paesi attorno. Un bacino d’utenza comunque ridotto anche rispetto alle spese che comporta affittare un posto all’interno di un outlet».

Commessi sempre più anziani, sempre meno contratti

Quello che infatti non cala, in molti grandi outlet, è il prezzo degli affitti per gli spazi (non ne esistono di proprietà per i negozi) e le spese.

Molti proprietari di outlet percepiscono una percentuale sul fatturato del negozio stesso, ma comunque si parte sempre da una cifra base che deve essere corrisposta dall’affittuario. A queste si devono aggiungere le spese per l’energia e i consumi in generale. In tempo di crisi l’unico settore dove si possono operare i tagli rimane quindi quello del personale. Chi ne fa le spese sono i più giovani, con il blocco delle assunzioni, anche quelle a tempo determinato.

Se un tempo quello di commessa o commesso era il classico primo impiego per chi usciva dalle scuole (prevalentemente donne), oggi è diventata una professione che sempre più spesso accompagna alla pensione, e non più un trampolino verso altri obiettivi professionali. La tendenza è di un aumento progressivo dell’età di quanti lavorano nel settore commercio. Gli over 50 sono passati, secondo gli ultimi dati Istat, dai 854.310 del 2014 ai 1.064.739 del 2017. Un lieve aumento si è registrato anche nella classe che comprende coloro che hanno tra i 30 e i 49 anni, mentre contenuta è stata la crescita degli under 30. Negli ultimi anni il settore ha avuto un’espansione, ma le previsioni per il futuro non sono rosee.

Le regioni e i saldi scaglionati per evitare le zone rosse

Per evitare l’impatto negativo delle chiusure le regioni hanno cercato, però, di lavorare sulle date dei saldi 2021.

La scelta delle date di inizio e fine da sempre compete alle amministrazioni regionali. La maggior parte aveva già programmato l’inizio dei saldi dopo il 7 gennaio, nella speranza di uscire dalla zona rossa, tolte Basilicata, Campania, Molise e Valle D’Aosta.

Umbria e Lazio hanno invece allargato la forchetta il più possibile, partendo il 9 gennaio e finendo al 10 marzo. Nelle Marche e nella provincia autonoma di Bolzano hanno deciso di cominciare il 16 gennaio, ma in quest’ultimo caso le località turistiche cominceranno addirittura il 13 di febbraio.

Le regioni che sono state più previdenti e che sperano di salvarsi dalle chiusure più stringenti sono Liguria, Veneto, Emilia e Toscana, che inizieranno la prima il 29 gennaio e le altre tre addirittura il 30, data entro la quale in molti sperano ci possa essere un calo dei contagi e magari una riapertura maggiore delle attività commerciali.

Photo credits: www.ecodibergamo.it

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