Massimo Guastini è un pubblicitario molto importante che per anni è stato anche a capo dell’Art Directors Club Italiano. Da diversi anni denuncia comportamenti predatori a opera dei manager delle società di comunicazione milanese ai danni di giovani collaboratrici, stagiste, e in generale di ragazze in cerca di lavoro.
Ne parlammo già cinque anni fa in occasione del primo Nobìlita Festival, in cui Massimo si soffermò in particolare sul comportamento reiterato di Pasquale Diaferia, che solo in questi giorni (dopo anni di “attività predatoria”) ha trovato spazio su tutti i social, smuovendo finalmente anche i sonnacchiosi movimenti al femminile tanto impegnati nella gestione di schwa e asterischi, ma troppo lenti nella denuncia concreta di nomi e cognomi. Scusate la polemica.
In questo polverone che si è alzato, stanno iniziando a venire fuori anche i primi “brand” in cui le attività predatorie erano sistematizzate addirittura da chat interne, in cui i manager si scambiavano “opinioni e punti di vista” sulle candidate ai colloqui e sulle nuove collaboratrici, scambiando commenti e foto in costume scaricate dai social. È il caso di We Are Social, un’altra delle agenzie di comunicazioni milanesi più importanti, il cui fondatore si è di recente scusato prendendo le distanze da quanto avvenuto, giustificando il fatto che l’azienda non ne era a conoscenza essendo quelle chat su “server non aziendali” e anticipando una indagine in corso. Dopo sei anni.
In tutta onestà, la giustificazione lascia un po’ perplessi. E comunque l’agenzia ne esce molto male; difficile credere che i tuoi manager abbiano messo in piedi un canale di comunicazione senza che nessuno ne sapesse niente, e se così fosse c’è da chiedersi che tipo di azienda, di management e di contesto sia, quello in cui per anni circolano voci di corridoio ed episodi deplorevoli senza che i dirigenti si accorgano di nulla e non ricevano nemmeno una segnalazione interna. Bell’ambientino.
Potete giurare che il bubbone è appena scoppiato, ma credere che sia circoscritto solo alle agenzie di comunicazione è solo un alibi, in una città dove l’estetica spesso conta più delle competenze e dove la sete di potere e di successo si scontra costantemente con una traduzione malata della “best performance”, in cui prede e predatori molto spesso si scambiano anche di ruolo.
Se si inizia a guardare nelle grandi società di consulenza, nelle banche e nella finanza e nei grandi studi di avvocati e consulenti del lavoro non credo che si trovino storie diverse da quelle.
Basterebbe ascoltare qualche monologo del massimo divulgatore della milanesità imbruttita, Germano Lanzoni, il cui spettacolo disponibile su Netflix si chiama non a caso “Figa”. Da cui l’estratto, “Figa o Fatturato?”. Da sempre, si sa, la satira si nutre di cronaca.