Ristorazione in Cina: cercano competenza e la pagano bene. Storia di un italiano.

Che la Cina sia all’avanguardia non è un segreto, dal momento che lo pensano e lo dicono in moltissimi. Ma forse, citando una celebre rubrica di un celeberrimo periodico enigmistico, non tutti sanno che il Paese più grande del Sol Levante continua a studiare da autentico capofila. Che cosa significa? La Cina ha messo in […]

Che la Cina sia all’avanguardia non è un segreto, dal momento che lo pensano e lo dicono in moltissimi. Ma forse, citando una celebre rubrica di un celeberrimo periodico enigmistico, non tutti sanno che il Paese più grande del Sol Levante continua a studiare da autentico capofila.

Che cosa significa? La Cina ha messo in atto una competizione stimolante con i Paesi sviluppati nella corsa all’eccellenza scolastica mondiale, come dimostrano recenti studi condotti nel programma per la valutazione internazionale degli studenti. Già: il più popoloso Stato del mondo sta costruendo una temibile macchina intellettuale, ed è una scommessa di cui si deve essere consapevoli per restare competitivi in un mondo in cui la formazione e l’istruzione diventeranno più che mai le basi della potenza stessa di una nazione.

La Cina lo sta facendo in tutti i settori, anche nell’alta ristorazione delle sue principali città; per alcuni aspetti un universo nuovo nella cultura orientale, che offre tuttavia una prospettiva futura vincente. Per l’occasione abbiamo deciso di intervistare Gianluca Fusetto, Food & Beverage Director di 8 1/2 Otto e mezzo Bombana a Shanghai (Restaurant & Cocktail Bar, due stelle Michelin), e dal 2010 di Opera Bombana a Pechino (Italian Restaurant & Fresh Bakery), con esperienze precedenti a Londra, Sankt Moritz, Amburgo, Mainz, Milano ed Erbusco, nell’ambito dell’alta ristorazione e dell’hotellerie.

 

Gianluca Fusetto, Food & Beverage Director di 8 1/2 Otto e mezzo Bombana a Shanghai.

 

La ristorazione nelle grandi metropoli della Cina e dell’Europa: quali sono le differenze e/o le affinità?

Sono due mondi completamenti differenti, anche perché la mentalità cinese non possiede la cultura dell’ospitalità. La ristorazione è una cosa totalmente nuova per loro, ma le cose stanno cambiando in maniera esponenziale, migliorativa e veloce, soprattutto a Shanghai. C’è una smania di diventare professionisti – e professionali – davvero sorprendente, nelle varie accezioni: le forme di addestramento, i corsi di aggiornamento, le aperture di nuovi fine dining, la qualità dei prodotti importati, e soprattutto nell’interesse da parte della clientela cinese ad approcciare un nuovo tipo di cucina. Anche se, a dire il vero, l’apertura mentale è figlia della storia di Shanghai per l’evoluzione che ha avuto negli ultimi 100 anni.

Quali sono le motivazioni che spingono i giovani o meno giovani stranieri a venire a lavorare in questo ambito a Shanghai o Pechino?

Personalmente per me è stata una scelta ponderata, associata a una sfida personale, in quanto non sono scappato da alcuna situazione negativa. Dico questo perché ci sono sempre più persone che decidono di svolgere questa occupazione per necessità e non per volere.

E per i cinesi?

I cinesi che decidono di intraprendere una carriera in questo settore crescono notevolmente di numero, anche perché il governo ha un occhio di riguardo per questa tematica e la sta incentivando attraverso corsi di formazione professionale, di orientamento scolastico e di perfezionamento. Il loro fine è quello di ridurre moderatamente il numero di occupati stranieri a beneficio del loro popolo, e con tutta probabilità ce la faranno, anche perché bisogna sempre tenere presente che la loro capacità di assorbire conoscenza è efficace e sorprendente allo stesso tempo.

È ambìto, quindi, lavorare in Cina nella media e alta ristorazione?

Non come in altri comparti, o almeno non ancora, ma c’è una discreta attenzione, perché gli stipendi cominciano a essere piuttosto appetibili.

Quali sono i requisiti più importanti per intraprendere una carriera del genere?

Per quanto mi riguarda, ho notato che guardano con particolare attenzione proprio l’esperienza. Nel senso che, per esempio, dopo dieci anni di lavoro inizi a ricevere un mare di offerte, soprattutto in una città dinamica come Shanghai. Però il F&B è un mondo complicatissimo e altamente burocratizzato, dove occorre entrare nelle grazie degli alti poteri, come del resto in tutte le faccende nazionali. Noi siamo aperti da otto anni, e da otto anni ci reinventiamo quello che non ci siamo mai reinventati prima: è l’unico modo di sopravvivere in una città come questa, dove chiudono 40/50 ristoranti ogni mese (anche di alto rango) e ne riaprono magari 300/400. C’è una domanda incredibile all’interno di un business molto selettivo; c’è molta affluenza di clientela, ma paradossalmente puoi essere dimenticato con facilità. Quindi prendere una persona da un altro Paese, portarla qui e farla performare richiede un arduo lavoro per il tipo di cultura e regole differenti, e per un mercato esigente che vuole richieste assolutamente specifiche.

Differenze per quanto riguarda i colloqui di lavoro o i profili da ricercare?

No, sostanzialmente. Ogni posizione che si cerca ha la sua relativa job description, e diciamo pure che la selezione è di una precisione spaventosa. Nel mio caso lavoro a stretto contatto da sei anni con una corporate di Shanghai, che mi segnala esclusivamente profili ultra-specializzati. Inoltre noi chiediamo comunque ai candidati, o meglio ai futuri assunti, di farsi un giro per Shanghai o Pechino proprio per “respirare l’aria” cinese e, come si suol dire, impattare con un ritmo di vita che non è quello occidentale.

Differenze per quanto riguarda le attitudini e le ambizioni?

Ti posso dire che esiste (sempre parlando di Shanghai e Pechino) molto più interesse e desiderio nel fare una cosa nuova. Sicuramente la parte finanziaria gioca un ruolo molto importante, ma non fondamentale come si dice nell’immaginario comune. È il dinamismo la cosa che colpisce, ed è talmente forte che penso non ci sia da nessuna altra parte dell’emisfero. Noi italiani o europei abbiamo una libertà fisica e mentale che loro non hanno mai avuto, e che iniziano ad apprezzare soltanto adesso. La Cina rimane un Paese chiuso, che ha sempre negato o comunque complicato gli ingressi. Detto questo la ristorazione è un terreno fertile, ancora tanto esplorabile, continuamente controllata e regolata come tutte le altre attività, ma fa parte del potente motore di un’altrettanto solida macchina complessiva.

Consigli pratici per gli stranieri?

Meglio essere competenti nella mansione che parlare per esempio il mandarino, in quanto, ça va sans dire, la lingua internazionale rimane sempre l’inglese. La lingua locale non è la priorità né tantomeno una barriera, ma al contrario, a parer mio, può essere solo uno stimolo. Ripeto: è l’esperienza lavorativa ciò che conta qui, ancora di più che in altre parti del mondo.

Previsioni future degli scambi Italia-Cina, per il settore F&B?

L’Italia è un Paese importante nella cultura cinese. Secondo me abbiamo molte somiglianze e devo ammettere che siamo molto rispettati, perché ci conoscono bene e risultiamo tendenzialmente simpatici. La Francia è arrivata prima; noi probabilmente siamo i secondi, ma senza scadere nella retorica vedo un futuro roseo per noi, a patto di proseguire in un percorso di qualità, di coesione nella promozione, per dare un convinto messaggio di marketing e di presa di conoscenza dell’enorme potenziale d’esportazione non ancora espresso adeguatamente.

 

Foto di copertina: un interno di “8 1/2 Otto e mezzo Bombana” a Shanghai.

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