Gli sponsor mandano in corto circuito il Concertone del Primo Maggio

Anche quest’anno non sembra esserci una grande coerenza fra i messaggi lanciati dal palco e chi quel palco lo paga.

01.05.2024
Il Concertone del Primo maggio e la protesta di Greenpeace contro gli sponsor poco etici: un palloncino giallo con su scritto "ENI inquina anche la musica"

C’è qualcosa che non torna in questo Concertone del Primo maggio.

Ho iniziato a notare qualcosa di strano lo scorso anno quando, prima consultando il sito dell’evento e poi ascoltando i presentatori ringraziare gli sponsor, mi è sembrato di assistere a un corto circuito senza precedenti.

Il Concertone del Primo maggio è per antonomasia la festa in cui i tre principali sindacati per un giorno intero coinvolgono soprattutto (ma non solo) i giovanissimi in una riflessione comune sui temi più importanti dell’attualità del lavoro, attraverso la voce di personaggi dello spettacolo e dei cantanti più “ingaggianti” del momento.

Un momento di musica che è da sempre l’occasione per esprimere il dissenso dei lavoratori e l’impegno della società civile rispetto al numero crescente di incidenti sul lavoro, il caporalato e lo sfruttamento, i salari bassi, i cervelli in fuga e la disoccupazione, che trovano un pubblico vastissimo in ascolto fra una canzone e un’altra, fra una poesia e un monologo. Per un momento – importante – un popolo intero si riconosce negli stessi valori, negli stessi diritti.

Lo scorso anno, gli sponsor del Concertone sono stati i tre brand più importanti del food delivery: Glovo, Deliveroo, Just Eat. Almeno due di questi, si può dire senza pericolo di essere contraddetti, fanno parte di un modello di business continuamente contestato per la spregiudicatezza con cui viene operato, per l’uso sconsiderato e penalizzante degli algoritmi, per la mancanza di tutele e di diritti con cui vengono trattati i rider.

Non credo sia necessario citare le decine di sentenze espresse in forma definitiva dai tribunali di tutta Italia in cui si parla senza mezzi termini di caporalato. Fra l’altro lo scorso anno era il primo anno dopo la pandemia in cui si rappresentava nuovamente il Concertone in piazza, e uno degli sponsor era l’azienda che durante la pandemia era stata multata da un tribunale per non aver provveduto alla sicurezza dei propri rider, costringendoli a procurarsi in proprio mascherine e disinfettanti.

Direi che, come testimonial di un mondo del lavoro da migliorare, non si sarebbe potuto scegliere sponsor meno rappresentativi. Ma se gli incidenti di percorso possono capitare, perseverare è diabolico.

Fra i main sponsor di quest’anno ci sono Banca Intesa ed ENI (con il nuovo brand “green” che stranamente fatica a decollare).

Nell’anno in cui si conteggia il giro di boa della guerra in Ucraina e l’inizio di una seconda guerra ancor più sanguinaria a cui sicuramente verrà fatto un accenno dal palco, nell’anno in cui si inizia finalmente a fare i conti con i fenomeni che hanno portato le Persone a dimettersi, a non accettare più qualsiasi condizione, a chiedere spazio e benessere personale, ad avere più attenzione a comportamenti etici, il Concertone è gentilmente offerto da Banca Intesa, una banca che investe in armi e in territori di guerra,

Per non parlare dell’ultima trovata. La notizia è di questi giorni: Banca Intesa offre ai deputati un interesse di quasi il 6% sui conti bancari, come ha raccontato Bruno Perini in un altro articolo di approfondimento su questo giornale. Credo che nessun lavoratore italiano goda di un trattamento così speciale dalla sua banca, nemmeno i correntisti più fedeli e i risparmiatori più rigorosi.

Un gesto del genere ha tutta l’aria di un regalo non del tutto gratuito.
Non è un segreto infatti, per chi segue queste vicende, che Banca Intesa (insieme ad Unicredit, altra grande investitrice “nel settore bellico”) da tempo stiano facendo pressioni sul Governo per la cancellazione dell’articolo 185 sulla trasparenza degli investimenti degli istituti bancari in armamenti. (Per maggiori informazioni: https://www.banchearmate.org/il-governo-vuole-cancellare-la-lista-delle-banche-armate/)

Sul lato della transazione ecologica, aumentano i finanziamenti sui combustibili fossili e Banca Intesa fa scena muta sulle sue responsabilità, 

Riporta un sito di informazione etica:

La principale banca italiana, occupata il 24 aprile nell’ennesima assemblea degli azionisti a porte chiuse, sembra voler mettere sotto il tappeto il suo coinvolgimento nella crisi climatica, derivante da un munifico sostegno al comparto fossile – 81,6 miliardi di dollari dall’Accordo di Parigi ad oggi – che nel solo 2023 ha fatto registrare 8,6 miliardi di dollari di investimenti e 7,5 miliardi di dollari di finanziamenti. Per quanto riguarda le compagnie che continuano a espandere il settore oil&gas, le cifre disponibili raccontano di 986 milioni di dollari nel 2022 e 1,5 miliardi nel 2023. L’aumento del 52% nell’arco di un anno è dettato dal maggiore impegno preso nei confronti del gigante fossile italiano, ENI, che ha beneficiato dell’intera cifra stanziata nel 2023. Rendendo l’istituto di credito torinese il secondo finanziatore mondiale del cane a sei zampe dopo UniCredit.

Alla faccia della tanto sbandierata “sostenibilità” che va bene su tutto, ecco trovato anche il punto di contatto fra gli sponsor del Concertone, che almeno rispetto ai propri valori non si può dire che diano prova di incoerenza. Nonostante le campagne pubblicitarie milionarie a sostegno della crisi climatica e della “transizione ecologica”, secondo Greenpeace – che sta portando avanti la prima “climate litigation” italiana – ENI (o Plenitude, che dir si voglia) “è una delle aziende italiane più inquinanti al mondo in termini di emissioni di gas serra e il maggior emettitore di CO2 in Italia. E mentre promette di investire in energie rinnovabili, continua a investire pesantemente in gas e petrolio”, con impatti universalmente riconosciuti su alcuni dei diritti individuali come i diritti alla vita, al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e alla salute.

Non che all’estero ENI abbia dato riprova di maggiore attenzione, come hanno testimoniato a suo tempo Altraeconomia e Amnesty International riguardo ai fatti in Libia e in Nigeria, dove gli interessi economici e politici sono stati di gran lunga messi davanti alla cura delle Persone e dell’ambiente.

Insomma, quest’anno peggio di così non si poteva. C’è da chiedersi seriamente se in quanto utenti, lavoratori, cittadini, genitori, figli, siamo davvero disposti ad accettare di essere continuamente disinformati o poco attenti rispetto a questo genere di incoerenza così sfacciatamente operata da aziende con capitali immensi.

Ma la domanda che ognuno di noi deve fare – utenti, lavoratori, cittadini, genitori, figli – ai sindacati che organizzano un concerto a favore dei diritti del lavoro è questa: “Sarete capaci, il giorno dopo, di sedervi dall’altro lato del tavolo di coloro che ieri hanno pagato il vostro concerto e prendere una posizione a tutela dei diritti delle centinaia di migliaia di lavoratori di quelle e di tutte le altre aziende?

 

 

 

Photo credits: greenpeace.it, foto di Francesco Alesi

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