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<p>Dopo la crisi pandemica, gli italiani si sono riappropriati dei loro patrimoni tramite il turismo di prossimità. L&#8217;analisi di uno dei fenomeni turistici più irripetibili della storia recente.</p>


Numero 103 &#8211; Turisti per casa

Dopo la crisi pandemica, gli italiani si sono riappropriati dei loro patrimoni tramite il turismo di prossimità. L&#8217;analisi di uno dei fenomeni turistici più irripetibili della storia recente.

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<p>Riflessioni e articoli sull&#8217;edizione 2022 del Festival di Nobìlita.</p>


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Alberto De Toni

E’ Rettore e professore ordinario presso l’Università degli Studi di Udine. Insegna “Organizzazione della Produzione” e “Gestione dei Sistemi Complessi” nel corso di Laurea di Ingegneria Gestionale. Ha conseguito la laurea “magna cum laude” in Ingegneria Chimica e il dottorato di ricerca in Scienza dell’Innovazione Industriale presso l’Università di Padova. È stato Preside della Facoltà di Ingegneria, Presidente dell’Associazione Scientifica Italiana di Ingegneria Gestionale, Presidente della Commissione Nazionale del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) per la Riorganizzazione dell’Istruzione Tecnica e Professionale, Presidente dell’Agenzia per lo Sviluppo Economico della Montagna del Friuli Venezia Giulia, Vice Presidente di Area Science Park di Trieste. E’ membro del Comitato Nazionale per lo Sviluppo della Cultura Scientifica e Tecnologica del MIUR. È autore di oltre 280 pubblicazioni scientifiche nazionali ed internazionali. Le principali aree di ricerca sono Organizzazione della Produzione, Gestione dell’Innovazione e Gestione della Complessità.

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Numero 112 &#8211; Nobìlita

Riflessioni e articoli sull&#8217;edizione 2022 del Festival di Nobìlita.

Numero 112 - Nobìlita

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Numero 35 &#8211; Senza rete

Numero 35 - Senza rete

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<p>La povertà, in Italia, ha assunto una forma nuova e senza precedenti. In questo numero ne definiamo le caratteristiche, al netto di stipendi e sussidi.</p>


Numero 114 &#8211; Il silenzio degli indigenti

La povertà, in Italia, ha assunto una forma nuova e senza precedenti. In questo numero ne definiamo le caratteristiche, al netto di stipendi e sussidi.

Numero 114 - Il silenzio degli indigenti

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Numero 05 &#8211; Punti di riferimento

Numero 05 - Punti di riferimento

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<p>I manager sono sempre meno in ufficio, e sempre più in viaggio. Il <strong>travel management</strong> è una strategia competitiva che permette di gestire e ridurre i costi di viaggio e le spese di trasferta, ma tra le voci di costo non appare ancora il tempo. Il tempo del manager che viaggia e che deve organizzare il proprio lavoro, gestirlo, ottimizzarlo. &#8220;Non sono in ufficio, vedrò la mail quando rientro, tra un paio di giorni&#8221; non è più una risposta attendibile nel 2015. <strong>Formare manager preparati a lavorare anche in viaggio</strong>, anzi a sfruttare le opportunità che il viaggio dà è, non solo un&#8217;esigenza, ma un vero e proprio vantaggio competitivo. Oggi la tecnologia ci mette a disposizione tutto per lavorare nelle migliori condizioni possibili e non parliamo solo di smartphone, call e social network. Parliamo anche di Hub, possibilità di networking e perché no, di studio.</p>
<p>Un manager, in ufficio, non ha molto tempo per studiare e per formarsi su un libro o su una rivista durante una giornata di ordinaria amministrazione. Durante un volo intercontinentale sì. E anche durante un viaggio in treno, magari. <strong>Tutto sta ad organizzarsi.</strong> Non basta telefonare alla segretaria e fare la lista della spesa, non è questo il travel management. E nemmeno fare l&#8217;inoltro di mail allo stagista. Lo smartphone nuovo di zecca non serve a quello, in compenso permette al manager di sfruttare delle <strong>App</strong> che possono aumentare la sua performance e l&#8217;organizzazione della trasferta.</p>
<h2>Meglio Google Calendar o Calendario PocketLife?</h2>
<p>Prima tra tutte, una buona agenda. Le agende degli impegni sono sempre molto fitte e Google Calendar si confonde con impegni fissati da altri per noi. <strong>Calendario PocketLife</strong>, in questo senso, è molto più &#8220;pulita&#8221; perché non è integrata con altri (inutili) servizi.<br />
Un manager non dovrebbe mai fare a meno della working app <strong>Pocket</strong>: se accedere all’informazione utile è essenziale per chiunque lavori con i bit, saperla gestire, archiviare e recuperare al momento giusto è facile a dirsi, meno nella realtà quotidiana. Pocket è il centro su cui convergono le letture quotidiane, personali e professionali, testi lunghi e siti da approfondire. E spesso il momento giusto per approfondire è proprio il viaggio. Pocket consente l&#8217;utilizzo di tag, di parole chiave per archiviare i link di ogni tipo, in modo da avere tutto in ordine, al momento giusto, nonché di condividere queste informazioni con il nostro staff. <strong>Mai più link dispersi, articoli importanti dimenticati</strong> o tempo perso a cercare qualcosa da leggere per trasformare l’informazione in conoscenza. Stiamo parlando di business, per cui il tempo è un fattore chiave fondamentale.</p>
<h2>Evernote e gli appunti in viaggio, in cloud</h2>
<p><strong>Evernote</strong> serve invece a far confluire su questo servizio i link su cui lavorare, nell’immediato o in futuro. Il manager non si limita quindi a spedire gli articoli su Evernote, ma su Evernote aggiunge tag e note e li archivia in taccuini dedicati, divisi per macroargomenti (libri, lavoro, idee di business, HR, personale, progetti vari). In questo modo Pocket diventa il magazine personalizzato dal quale ritagliare link e informazioni che meritano di essere isolate dal flusso e gestite, mentre Evernote uno spazio condiviso nel quale lavorare con microstaff dedicati. <strong>Un vero e proprio ufficio, anche in viaggio</strong>. Questi due servizi sono gratuiti e alcuni hanno un servizio premium a pagamento. Al momento non consigliamo di aprire il portafogli, a meno che l’uso che se ne fa, soprattutto di Evernote, sia così intenso da superare i 60 Mb di archiviazione mensile gratuita.</p>
<h2>Wetransfer, l&#8217;alternativa a Google Drive</h2>
<p>Un&#8217;altra app di cui un manager non dovrebbe mai fare a meno è <strong>Wetransfer</strong>. La versione mobile permette di inviare e scaricare file molto pesanti oppure <strong>Google Drive</strong>, che applica la stessa filosofia di Evernote all&#8217;interno del macromondo Google, con i pro e i contro del caso. Se <strong>Skype</strong> è già conosciuta lo è meno <strong>Hangout </strong>di<strong> Google</strong> che, rispetto alla precedente, ha più banda, migliore qualità e la possibilità di andare in diretta su Youtube. In Italia Hangout è ancora poco sfruttata rispetto alle potenzialità che ha. Stesso discorso vale per le app di pagamento. Certo, resta più comodo far provvedere alla segretaria con bonifico, ma utilizzare <strong>Paypal</strong> o <strong>Hype</strong> consente di eliminare il contante, di avere sotto controllo le proprie spese e di velocizzare operazioni quali l&#8217;acquisto di biglietti online o la prenotazione di alberghi.</p>
<h2>Trenitalia, Skyscanner e Passbook per la gestione dei viaggi in modalità mobile</h2>
<p>Le prenotazioni via mobile sono destinate a salire vertiginosamente nel prossimo decennio e il mobile non solo influenzerà l’intera esperienza dei viaggiatori ma modificherà anche il modo in cui i travel manager gestiscono i viaggi aziendali. Viaggiatori e travel manager, in particolare, si aspettano che le prenotazioni via mobile aumentino significativamente, raggiungendo il 25% delle transazioni effettuate online entro il 2017. Per questo scaricare l&#8217;app di <strong>Trenitalia</strong> o <strong>Skyscanner</strong> è una priorità.<br />
Grazie a <strong>Passbook</strong> invece è possibile custodire in un unico posto virtuale tutti i biglietti, dal treno all&#8217;aereo fino alla prenotazione dell&#8217;albergo e al ticket per l&#8217;evento esclusivo. Si tratta di un&#8217;app che salva automaticamente tutti i biglietti.</p>
<h2>Dall&#8217;email alla mesaggistica istantanea: WhatsApp e Messenger di Facebook</h2>
<p>Diamo naturalmente per scontato che i manager abbiano la mail installata sullo smartphone e che abbiano sostituito il messaggio pre-impostato &#8220;Inviato da iOS/ Android&#8221; con un più utile &#8220;Inviato da dispositivo mobile, risponderò più dettagliatamente appena rientro in sede&#8221;, che sappiano quando poter velocizzare le comunicazione sostituendo la formalità (e la sacralità professionale) della mail con un messaggio su <strong>WhatsApp</strong> o su <strong>Messenger</strong> di Facebook, una delle chat con il tasso più veloce di risposta, utilissima per ottenere feedback immediati. A mali estremi, anche utilizzare l&#8217;applicazione &#8220;telefono&#8221; non è una cattiva idea.</p>
<h2>Slideshare e tutti i consigli finali</h2>
<p>Non sottovalutate l&#8217;importanza di <strong>Slideshare</strong> per condividere le presentazioni, anche con l&#8217;esterno.<br />
Ma soprattutto non dimenticate che il travel management è una filosofia di lavoro e di vita: significa aprirsi a nuove idee, a nuove contaminazioni, ad ambienti nuovi e ad incontri che possono renderci più produttivi. Se non soccombiamo allo stress da organizzazione. All&#8217;ansia di avere tutto sotto controllo quando ci sono strumenti che ci permettono di controllare e al tempo stesso di organizzare e pianificare. E se la rete non vi aiuta aprite un bel libro, respirate forte, oppure prendete un taccuino e una penna e guardate fuori dal finestrino del treno.<strong> Si possono prendere decisioni fondamentali anche senza wi-fi,</strong> e si può avere un&#8217;idea brillante anche senza 3G. Viaggiare è un&#8217;opportunità. L&#8217;importante è <strong>dominare gli strumenti</strong> a disposizione e non soccombere sotto il peso della tecnologia.</p>
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Working app da viaggio: uno stile di vita

<p>Si è appena conclusa la quarantanovesima edizione del <a href="http://www.vinitaly.com/" target="_blank" rel="noopener">Salone Internazionale del Vino e dei Distillati</a>, l&#8217;evento in fiera a Verona considerato il <strong>più importante dell&#8217;anno per il settore</strong>. Per raccontarlo con qualche numero, sono state 576.000 le bottiglie stappate nei quattro giorni del Vinitaly, per un totale di 2,8 tonnellate di tappi di sughero, 200.000 tonnellate di vetro e 130.000 bicchieri utilizzati. Tutto questo ha coinvolto 11.100 follower di Twitter all&#8217;account @VinitalyTasting e prodotto 116.000 like della pagina ufficiale di Vinitaly su Facebook, si legge in un comunicato stampa ufficiale.</p>
<p><strong>Ma al netto di tutta questa rappresentazione, che cos&#8217;è stato il Vinitaly 2015?<br />
</strong>Lo abbiamo chiesto a <a href="http://www.marketingdelvino.it/chi-e-slawka/" target="_blank" rel="noopener">Slawka G. Scarso</a>, una delle prime professioniste in Italia ad occuparsi di marketing del vino.</p>
<p>&#8220;I dati parlano di una crescita di affluenze, anche di buyer stranieri&#8221; &#8211; commenta Slawka &#8211; &#8220;Ma alla fine resta una regola fondamentale: il lavoro di una fiera si costruisce nel corso di tutto l’anno, chi ha lavorato bene, ben raccoglie.<br />
Anche se la situazione è migliorata rispetto al blackout di un paio d’anni fa, c’è ancora molto da migliorare a livello di infrastrutture. A seconda dell’operatore, in alcuni padiglioni entravi in un limbo. Anche il servizio di wifi a pagamento della fiera non era sempre affidabile. Ho visto tanti produttori rassegnati ad aggiornare i profili a inizio e fine giornata.</p>
<p>Poi però va sottolineato anche che ci sono alcuni elementi che non cambiano mai, vedi i ragazzi ubriachi, soprattutto la domenica, e gli ingorghi di auto all’uscita. Le partenze “intelligenti” qui sono più importanti che a ferragosto se non vuoi passare due ore a giocare a tetris per uscire dal parcheggio.</p>
<p><strong>Insomma, evento patinato, che forse ha dato poco spazio a fatti sostanziali, come ad esempio parlare del 2014 come un&#8217;annata negativa per molti produttori di vino. Giusto?<br />
</strong>&#8220;Le fiere offrono un’occasione di dialogo, un’occasione per poter comunicare cosa si è fatto. Questo diventa essenziale nelle annate complesse, per poter valorizzare gli sforzi fatti, magari scartando tante materie prime per poter garantire comunque la qualità&#8221;.</p>
<p><strong>E in rapporto agli altri mercati, come quello dell&#8217;olio e dei distillati?<br />
</strong>&#8220;Rispetto all’olio, sicuramente il vino è molto avanti, ci sono grandi potenzialità inesplorate, salvo per rari casi. Del resto l’olio subisce ancora più del vino l’effetto delle annate: se per molte zone l’annata 2014 è stata complessa, per l’olio è stata disastrosa&#8221;.</p>
<h2>Marketing, social media e mobile app  al Vinitaly 2015</h2>
<p>Uno degli aspetti rilevanti per il wine business del nostro tempo è che le cantine quest&#8217;anno pare si siano dimostrate  più hi-tech del solito: su 3439 imprese, il <strong>94% ha presentato un proprio sito Web</strong>, il <strong>96%</strong> dispone anche di una versione in lingua inglese o in altre lingue, sia europee che extraeuropee. Tra le applicazioni più interessanti, inoltre, è arrivato lo strumento anticontraffazione del prodotto da smartphone: le etichette di vino, infatti, saranno integrate con un&#8217;etichetta intelligente dotata di microchip che permetterà il controllo e il riconoscimento del prodotto.</p>
<p><strong>Ma qual è la presenza reale delle imprese produttrici di vino online?<br />
</strong>&#8220;Mi sembra di vedere che in generale ci sono più aziende che usano i social network, cosa che ovviamente apprezzo, sostiene ancora Slawka. &#8220;Al tempo stesso sono ancora in tanti a ricordarsi che esiste Facebook solo due volte l’anno: quando si vendemmia e quando c’è Vinitaly. Di strada da fare ce n’è parecchia ma sono positiva&#8221;.</p>
<p><strong>Chi meriterebbe una menzione speciale per il buon uso degli strumenti di social media marketing, invece?<br />
</strong>&#8220;Per fare degli esempi pratici e menzionare case histories di case vinicole che attraverso i social media costituiscono un buon esempio da seguire, ecco, soprattutto quelle a conduzione familiare, come Carbone Vini, Cascina I Carpini, Bele Casel, Cantine Barbera, perché sono la perfetta dimostrazione di come questi strumenti permettano di creare ottime opportunità anche a chi non ha budget significativi da investire nel marketing&#8221;.</p>
<p><strong>Quali sono le piattaforme di networking preferite da chi si occupa del marketing del vino?<br />
</strong>&#8220;Facebook, innanzitutto, permette di arrivare al consumatore finale, avendo una penetrazione più alta rispetto agli altri social network. Poi c’è Twitter che forse qualche anno fa ha avuto un vero boom nel vino – tanto che proprio lì sono nate le cosiddette degustazioni seriali, vale a dire degustazioni con un hashtag, create dal basso, che permettevano di scoprire vitigni e zone meno conosciuti e al tempo stesso offrivano la scusa per vedersi e conoscersi di persona, dopo tanti scambi di tweet e retweet. Anche Instagram è interessante, soprattutto perché attraverso le immagini permette di arrivare lontano, superando le barriere linguistiche. Poi c’è sempre Vinix che può rappresentare un ottimo modo di fare rete con altri operatori del settore, soprattutto per una piccola azienda&#8221;.</p>
<p><strong>Hai accennato a Instagram: quanto spazio pensi ci sia per il cosiddetto &#8220;visual marketing&#8221; nel settore del vino?<br />
</strong>&#8220;In tutta onestà, ancora poco. Anche per le etichette sono poche le aziende che partono da un vero e proprio studio della percezione dell’etichetta. Con la cantina dei Vignaioli del Morellino di Scansano, con cui collaboro, l’abbiamo fatto di recente, affidandoci a un’esperta al momento del restyling di etichette e logo, ma non è una scelta scontata. Al tempo stesso c’è un crescente interesse per il neuromarketing nel vino, branca che direi affine, quindi in futuro magari possiamo confidare in una maggiore attenzione a questi aspetti&#8221;.</p>
<h2>A proposito di eCommerce: dove comprare il vino online</h2>
<p>Stando a<strong> </strong>dati<strong> Coldiretti</strong>,<strong> </strong>anche quest&#8217;anno si registra un boom in termini di fatturato per quando riguarda l&#8217;esportazione dei vini italiani, con un record di 9,4 miliardi di euro, che corrisponde ad una crescita dell&#8217;1% rispetto all&#8217;anno precedente.<br />
In Italia il vino è un elemento integrante della cultura popolare ma, se il nostro è il secondo Paese produttore al mondo di vino, siamo tra gli ultimi a saperlo vendere online.</p>
<p><strong>Quali sono i limiti di uno sviluppo maggiore dell&#8217;eCommerce di vino nel nostro Paese?<br />
</strong>&#8220;L’ecommerce del vino, in Italia, è ancora di una piccolissima nicchia. Citando uno studio realizzato da Tannico.it e diffuso in questi giorni, «la penetrazione rispetto alle vendite totali del mercato è ancora limitata, pari allo 0.2%, contro una media mondiale che si attesta al 1.8%». Sarebbe bello poter facilitare la vendita online verso l’estero, ma problemi di accise rendono particolarmente difficoltoso aprire questo canale&#8221;.</p>
<p><strong>Da chi possiamo prendere esempio, in questo caso? </strong><br />
&#8220;Più che i siti di produttori singoli mi verrebbe da menzionare alcuni store online, o comunque progetti di ecommerce, che ritengo interessanti. Primo tra tutti Vinix Grassroots Market, nato da Vinix, Tannico, che avevo menzionato sopra, Doyouwine e anche Wineowine&#8221;.</p>
<p><em>[Credits immagine: <span class="Apple-style-span">Shazam for wine, </span>fastcompany.com]</em></p>


Se le strade del vino portano al marketing

<p><a href="http://www.informazionesenzafiltro.it/rubriche/open-space/" target="_blank" rel="noopener">In questa sezione di Senza Filtro</a>, ogni quindici giorni pubblicheremo il miglior articolo pervenuto in redazione su un tema di attualità che lanceremo di volta in volta.</p>
<p>Tirate fuori le vostre opinioni, commentate in massimo 2.000 battute e speditele entro cinque giorni dall’uscita del numero successivo del quindicinale alla mail: <em>senzafiltro@fiordirisorse.eu</em></p>
<p>Il tema lanciato da Nausica Robusto, vincitrice del <a href="http://www.informazionesenzafiltro.it/la-responsabilita-di-essere-ricchi/" target="_blank" rel="noopener">contest del numero 4</a>, non è stato vinto da alcun partecipante, quindi con il nuovo argomento rilanciamo la sfida interamente nelle vostre mani:</p>
<p><a href="http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2015/03/23/piu-ora-giorno-viaggio-per-andare-lavoro-per-italiani_iUfPThnMKu1Yj88kgT4QjO.html?refresh_ce" target="_blank" rel="noopener">Il 40% degli italiani impiega oltre un&#8217;ora al giorno nel tragitto di andata e ritorno tra casa e il posto di lavoro.</a> È quanto emerge da una ricerca Regus condotta, a livello internazionale, nello scorso mese di luglio su 22.000 manager e professionisti in 100 paesi.</p>
<p>Qualcuno, <strong>imbottigliato nel traffico</strong>, ha il tempo di ascoltare rassegnato il proprio <strong>programma radio preferito</strong>, qualcun altro tenta di evitare <strong>ritardi</strong> ma colleziona <strong>multe</strong>, o ancora c&#8217;è chi organizza il <strong>car sharing</strong> anche per risparmiare sulle spese, accompagnando i bambini a scuola o approfittando per svolgere altre commissioni. Non mancano di sicuro gli stakanovisti che iniziano a lavorare già in metropolitana, alla fermata dell&#8217;autobus o nei caffè, sperimentando momenti di <a href="http://www.informazionesenzafiltro.it/cera-una-volta-ma-forse-ce-ancora-lufficio/" target="_blank" rel="noopener">smart working </a>(magari pensando di cambiare lavoro).</p>
<p>Insomma, la nostra è una vita in viaggio, inevitabilmente, e al <strong>viaggio casa-lavoro</strong> dedichiamo <strong>almeno 300 ore l&#8217;anno</strong>.<br />
Avete tempo fino al 6 aprile per raccontarci la vostra storia. In bocca al lupo.</p>


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Tutto quello che succede mentre vado a lavoro

In questa sezione di Senza Filtro, ogni quindici giorni pubblicheremo il miglior articolo pervenuto in redazione su un tema di attualità che lanceremo di volta in volta. Tirate fuori le vostre opinioni, commentate in massimo 2.000 battute e speditele entro cinque giorni dall’uscita del numero successivo del quindicinale alla mail: senzafiltro@fiordirisorse.eu Il tema lanciato da [&hellip;]

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<p>Il responsabile della divisione interna di Walmart da un po’ di tempo distribuisce <strong>biglietti da visita</strong> con sopra scritto semplicemente Dave. In realtà si chiama David Cheesewright e la scelta di voler sembrare più amico, usando il diminutivo, risponde alla logica di imprimere familiarità a un brand utilizzando i suoi collaboratori. Tutt’altro genere, invece, la scelta fatta inizialmente da Marc Zuckerberg che fino al 2009 portava sempre con se’ due tipi di biglietti: uno, celebre e informale, con su scritto “I’m CEO, bitch”, da scambiare con amici e conoscenti e volutamente ispirato allo stile incisivo di Steve Jobs; l’altro con la sola scritta “CEO”, asciutto, da usare solo negli affari.</p>
<p>Conosco un imprenditore veneto che qualche anno fa, presentandosi, mi diede un suo biglietto da visita in formato francobollo, con tutti i dati necessari ma quasi illeggibili. Su un lato, questa scritta: “Le dimensioni ridotte di questo biglietto dipendono anche dai tuoi acquisti”.</p>
<p>In Asia i biglietti da visita sono quasi un’ossessione, al punto che nelle scuole materne capita a volte di vedere bambini con cards contenenti non solo i loro dati personali ma anche le informazioni sul lavoro dei genitori e, talvolta, persino dei nonni.<br />
Il senso è chiaro: abbiamo bisogno di oggetti che certifichino chi siamo e cosa facciamo ma ne abbiamo bisogno perché non abbiamo ancora capito che potremmo farne a meno. Ci servono ganci, specchi, modelli a cui somigliare purché siano già pronti e replicabili perché inventarne di nuovi costerebbe fatica. Ogni volta che se ne va un imprenditore anziano ma moderno, nel ricordarne il profilo già ci manca il suo stile, come se il modello fosse incapace di vivere senza il suo portavoce.</p>
<p>Nel lavoro sembrava impossibile dovessero finire certi <strong>status</strong>: il posto fisso, la carriera, le carte di credito, l’ufficio. Sembrava che senza quei paradigmi non potessimo descrivere chi eravamo.</p>
<p>In questo quinto numero di Senza Filtro abbiamo riletto i modelli che puntellavano interi sistemi di certezze e ci siamo accorti che, in fondo, non stiamo poi così male a rimodulare i paradigmi. Dai sindacati alle dimissioni, dall’ignoranza creativa all’onda del caos. Ricordando l’assassinio di Marco Biagi abbiamo cercato di ricostruire il momento nel quale il lavoro è stato mistificato da valore a merce. Dalla Russia troverete le impressioni sul Made in Italy di cui tanto ci vantiamo ma che per gli stranieri è spesso un’occasione persa. E se si parla di modelli commerciali, impossibile non raccontare la Cina dagli anni Ottanta ad oggi.</p>
<p><strong>Nuovi punti di riferimento</strong>, quindi. Spero sia finito il tempo delle mappe, andiamo oltre: le mappe sono rappresentazioni semplificate dello spazio e servono per andare da qui a lì. Non ci sono più dubbi, invece, che è il momento di andare da fuori a dentro e viceversa, perché i punti di riferimento da ricostruire hanno bisogno di un perché più che di un percorso. Le riforme del lavoro lo confermano.</p>
<p>Prendete anche voi il pallone Wilson ma mettetelo al centro e calciate, perché se lo usate come bussola o come oggetto di conforto rischierete di naufragare a vita: del resto è un pallone e come tale vuole essere trattato.<br />
Si ricostruiscono modelli ricominciando a dare il giusto nome alle cose.</p>


Editoriale 05. Punti di riferimento

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Rosanna Perrone

Giornalista e digital editor, è anche Consulente in Comunicazione e Marketing Digitale per agenzie e imprese in tutta Italia, dedicandosi inoltre alla Formazione nello stesso settore. Entro queste esperienze rientra anche l&#8217;attuale ruolo di Digital Consultant in Reputation Manager S.p.A., preceduto da un ruolo come Marketing Manager specializzata in eCommerce, e altri ruoli di responsabilità, come a DoLab School, la scuola di formazione per i professionisti del digitale di LUISS ENLABS, e per il MUSTer di FiordiRisorse, nel modulo in &#8220;Social Media e Cultura Digitale&#8221;. Lucana, classe 1984, InnAlumna, è laureata in Criminologia alla Facoltà di Scienze Politiche di Bologna e, a partire dall’analisi dell’inquinamento degli ecosistemi economici, ha iniziato ad occuparsi specificatamente di Economia dello Sviluppo &amp; Management per l’Innovazione e la Produzione. Professionista Inbound Marketing Certified da HubSpot e Project Manager certificato ISIPM, ama sviluppare progetti di design editoriale e sogna di portare la sua esperienza nel mondo della musica.

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Si è appena conclusa la quarantanovesima edizione del Salone Internazionale del Vino e dei Distillati, l&#8217;evento in fiera a Verona considerato il più importante dell&#8217;anno per il settore. Per raccontarlo con qualche numero, sono state 576.000 le bottiglie stappate nei quattro giorni del Vinitaly, per un totale di 2,8 tonnellate di tappi di sughero, 200.000 tonnellate di [&hellip;]

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<p>Tutto o quasi il bello di questo mondo è fatto in Italia. È un Paese fantastico proprio per la sua <strong>diversità nel fare e sviluppare prodotti</strong>, servizi, soluzioni che nessun altro al mondo potrebbe mai pensare di creare da zero. L&#8217;Italia è un paese che ci insegna tantissimo su come è possibile creare qualche cosa di valore praticamente partendo da zero per poi chiamare il tutto <strong>&#8220;Made in Italy&#8221;</strong> e ottenere le lodi come migliori prodotti al mondo. Eppure, c&#8217;è qualche cosa di strano in questo <strong>marchio del &#8220;fatto in Italia&#8221;</strong> perché funziona in modo sbagliato e in situazioni sbagliate quando parliamo di <strong>internazionalizzazione e commercio</strong> con tutto il mondo.</p>
<p>Io mi occupo di comunicazione, quella online che cresce a dismisura e sempre più aziende in Italia scoprono questa fantastica possibilità di ottenere visibilità in paesi che sono molto distanti attraverso pochi click. Il mercato ha potenzialità enormi soprattutto per costi che un&#8217;azienda deve sostenere. Se poi ci mettiamo la possibilità di vendere online attraverso un <strong>ecommerce</strong> interessa praticamente a <strong>tutte le PMI in Italia</strong>. Il mio mercato di riferimento è soprattutto l&#8217;<strong>Est europeo</strong>, tutto quello che un tempo era URSS. Lì vado a coltivare l&#8217;amore verso il prodotto italiano, vado a mostrare, educare le persone a capire meglio l&#8217;Italia non solo attraverso le <strong>canzoni di Albano</strong> (che amano moltissimo ) o i vecchi <strong>film di Celentano</strong>. Il prodotto italiano è visto molto bene, ma dopo diversi anni di lavoro in questo settore ti rendi conto come il concetto di &#8220;Made in Italy&#8221; funziona <strong>non come un bonus, non come un plus</strong> per un&#8217;azienda ma soprattutto come una grande scusa per non fare nulla in più. Lasciatemi chiarire un secondo questo mio concetto banale.</p>
<h2>È italiano: cioè?</h2>
<p>Nel 2015 qualsiasi campagna di comunicazione in cui a parlare siano Enti Pubblici, PA, politici (o tutti coloro che stanno in alto) inizia con &#8220;Il nostro Made in Italy&#8221;. Lo potete vedere dalle soluzioni presenti online su progetti come <strong>Expo 2015</strong>, <strong>VeryBello</strong> o tante altre cose piccole, ma che ti fanno capire come questo &#8220;Fatto in Italia&#8221; è un continuo rimbombare di concetti per TV, radio e stampa dove viene messo al primo posto il concetto di un prodotto realizzato in Italia ma senza andare oltre al semplice fatto che si tratti di un prodotto italiano. Che cosa comporta tutto questo? Cioè: in che modo il &#8220;Made in Italy&#8221; crea problemi allo stesso prodotto italiano fatto in Italia?<br />
È molto semplice. A livello di marketing, a livello di comunicazione ma anche durante una conversazione fra persone <strong>non si discute più di nulla, oltre al fatto che è &#8220;italiano&#8221;</strong> e basta. Sembra quasi che quando ci andiamo ad aprire verso il mondo ci dimentichiamo di dire qualche cosa in più su quello che viene fatto, oltre alla giustificazione di una produzione. Nella comunicazione, nel creare interesse non ci basiamo su niente altro che non sia il &#8220;Hey, sono Italiano e quindi&#8230;.&#8221;.<br />
Suona così per uno straniero quando va a leggere i prodotti, servizi, aziende online. Tutti hanno in prima pagina la descrizione dell&#8217;Italia, ma pochi riescono a trasmettere veramente cosa vuol dire essere, cosa vuol dire appartenere e creare un prodotto in Italia. Siamo quasi condizionati da tutto ciò, da questa scritta impressa sopra ogni cosa che passa nelle nostre mani.</p>
<p>Non vi nascondo che <strong>tutto questo funziona</strong>. Almeno, fino ad un certo punto funzionava prima di globalizzazione, prima dell&#8217; <strong>&#8220;Italian sound&#8221;</strong> e prima di copie contraffatte di ogni cosa. Italia funziona come marchio, ma sempre più persone vogliono andare oltre alla semplice dicitura che compare su un sito web. I clienti diventano sempre più attenti verso la scelta di un prodotto, di un macchinario, di un cibo speciale.</p>
<p>Nella comunicazione, e vi parlo di quella fra Italia e Russia online, il &#8220;Fatto in Italia&#8221; già inizia a stare stretto. Già inizia a creare qualche spaccatura nel concetto di &#8220;Italia&#8221;, perché in questi anni forse ci siamo dimenticati come raccontare un prodotto <strong>fatto da Voi con le Vostre mani e con le Vostre teste</strong>. E sempre meno persone credono al semplice concetto ma si basano sulle emozioni, sulla voglia di un&#8217;azienda di trovare una soluzione, sulla velocità nella creazione delle risposte immediate. Ecco: in un contesto globale, in un contesto web nel 2015 il mondo, quello russo per esempio, chiede anzi pretende dall&#8217;Italia delle risposte immediate per il loro business in modo da ottenere dei risultati immediati e quello che vedo è soprattutto la classica risposta del tipo &#8221; Ma noi siamo &#8220;Made in Italy, non ti basta?&#8221;. E <strong>non basta perché ci sono almeno altre cinque alternative</strong> da parte di cinesi, americani, tedeschi. Il mondo globale è anche questo e quando parliamo di online è ancora più veloce.</p>
<p>Il prodotto italiano per qualche verso è come se fosse uno scudo, <strong>come se fosse un monopolio</strong> che è illusorio in quanto il valore aggiunto è creato proprio sulla voglia e sulla qualità del prodotto stesso e non solo esclusivamente su concetti che conoscono tutti. La frase che suona oggi da parte di tante aziende è &#8220;Sono italiano ed è per questo che&#8230; tu russo devi acquistare un mio prodotto. Io non mi muovo oltre, perché sono Made in Italy. Ed è per questo che &#8230;..&#8221; Ed invece deve suonare per un cliente come &#8220;Добрый день, чем я могу вам помочь? (ciao, come posso aiutarla?) Sono italiano, sono bravo a fare determinate cose ed è per questo che posso essere una risorsa molto utile per te. Lasciami aiutarti in quello che hai bisogno&#8221;.</p>
<p>Questo comportamento è molto chiaro soprattutto nella comunicazione, forse perché pochi veramente si preoccupano di come un&#8217;azienda viene vista al estero, oppure <strong>pochi credono nella comunicazione</strong>, <strong>basta il prodotto</strong>. Ma sempre più spesso vedo clienti russi che acquistano dai cinesi prodotti italiani, sempre più persone lavorano con designer non italiani ma russi, perché quando non comunichi in modo giusto con loro trovano un&#8217;alternativa. Diversa, peggiore, di bassa qualità ma che comunica, che si racconta, che mostra come e perché.</p>
<p>Ricordatevi che essere <strong>&#8220;Made in Italy&#8221; è solo un biglietto da visita</strong> che deve essere confermato, verificato, dichiarato verso tutto il mondo. Non è una soluzione, ma semplicemente una prima impressione verso di voi.</p>
<p><em>[Credits immagine: riflessisrl.it]</em></p>


&#8220;Made in Italy&#8221; visto dalla Russia: e quindi?

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Zolotti

Stefania Zolotti

Direttrice responsabile di SenzaFiltro e giornalista con il debole per le relazioni e le persone. Studiosa e appassionata di geografie umane e di paesi. Con la laurea in giurisprudenza non ha mai intrapreso le classiche strade: l&#8217;unico ufficio legale in cui ha lavorato è stato quello di Altroconsumo a Milano dal 2001 al 2003, con una parentesi nella sede di Bolzano grazie al patentino di bilinguismo tedesco. Dal 2002 Collabora come freelance con la rivista Business People e dal 2023 con Artribune dove racconta storie italiane di teatri di periferia. &#8220;Sentimenti precisi&#8221; è il nome del progetto con cui dal 2021 gira l&#8217;Italia tenendo laboratori contro i blocchi della scrittura: lo fa per aziende, associazioni, scuole, singole persone e gruppi. Dal 2008 al 2017 Responsabile Comunicazione e Segretaria di direzione per una grande azienda pubblica del settore ambiente dove ha sviluppato progetti di green marketing e di educazione sostenibile. Dal 2012 contribuisce a creare e coordinare progetti per la business community FiordiRisorse, che è anche l&#8217;Associazione editrice di SenzaFiltro. Autrice del libro &#8220;Ti fai male&#8221; (2020), romanzo generazionale scritto inizialmente come ghostwriter. Ha lavorato per 20 anni come giornalista nel campo del vino e del cibo collaborando con le principali testate nazionali e pubblicando due libri: &#8220;Vino a doppio senso. Guida ironica per uomini e donne&#8221; (Gabrio Marinelli Editore, 2006) e &#8220;Il Bicchiere mezzo pieno. Liberarsi dagli esperti è il primo passo per bere bene&#8221; (Le Lettere, 2020). L&#8217;ultimo libro, di cui è curatrice, è &#8220;Coaching, maneggiare con cura&#8221; di Carlo Bisi (Edizioni FiordiRisorse, 2023). &nbsp; E-mail: stefania.z@fiordirisorse.eu

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Il responsabile della divisione interna di Walmart da un po’ di tempo distribuisce biglietti da visita con sopra scritto semplicemente Dave. In realtà si chiama David Cheesewright e la scelta di voler sembrare più amico, usando il diminutivo, risponde alla logica di imprimere familiarità a un brand utilizzando i suoi collaboratori. Tutt’altro genere, invece, la [&hellip;]

Editoriale 05. Punti di riferimento - Informazione senza filtro

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<p><em><strong>Pronti! Ai posti! Via!</strong></em></p>
<p>Era con queste parole che le mie due figlie iniziavano le loro gare di corsa. Dall’albero al muretto. Solo che bastavano pochi passi alla figlia minore, molto più atletica della maggiore essendo la primogenita votata ad un oculato risparmio delle energie, per creare un distacco incolmabile ed essere ormai vicina al muretto/traguardo. E regolarmente a questo punto la maggiore, nemmeno arrivata a metà del tragitto, gridava: “Cambio!” e trotterellava vittoriosa verso l’albero di partenza divenuto ora, unilateralmente, traguardo.</p>
<p>Mi ha sempre fatto sorridere questo sviluppo surreale delle competizioni tra le mie figlie e non avrei mai pensato di ritrovarlo nel mondo aziendale. Eppure lo scorso anno mi è successo tre volte. La prima mi sono davvero stupito. Un&#8217;azienda mi ha chiesto di realizzare un <strong>intervento per una convention straordinaria</strong>, organizzata per comunicare alle forze commerciali che il budget annuale, negoziato e concordato a inizio anno, veniva modificato unilateralmente, aumentandone sensibilmente la portata.</p>
<p>Quando mi è stato comunicato lo scopo della convention la prima reazione è stata di semplice sconcerto con l’impulso di verificare se fosse presente una telecamera nascosta, la seconda è stato un pensiero alla corsa delle mie figlie, poi è iniziata nella mia mente una sequenza di voci. Sono arrivati tutti da <strong>Herzberg</strong>, a <strong>Bandura</strong> da <strong>Maslow</strong> a <strong>Kottler</strong>, persino <strong>Taylor</strong> con il suo cottimo differenziale era nella mia testa a gridare con la stessa rabbia della mia figlia piccola: “Non si fa! Così non vale!”.</p>
<p>Tutto quello che avevo studiato e condiviso in tanti anni veniva contraddetto da questa pratica e mi sono sentito di comunicarlo al cliente. La risposta è stata laconica ma efficace: “Non abbiamo alternative!”. Così ho accettato questo primo mandato e mi sono presentato il giorno della convention pronto a toccare con mano le <strong>reazioni violente da parte della forza commerciale</strong>. Qui è arrivata la sorpresa più forte: non c’è stata nessuna reazione violenta, la convention si è svolta regolarmente in un clima né triste né rabbioso, semplicemente si respirava nell’aria una realistica presa d’atto. Lo stesso clima che ho ritrovato nelle convention di altre due aziende che poco dopo mi hanno richiesto di intervenire in situazioni analoghe.</p>
<p>Questi episodi mi sono sembrati in un primo momento un cambio di paradigma epocale, poi cercando di ampliare la prospettiva ho letto tre aspetti diversi che in fondo hanno ristrutturato il mio sconcerto. Il primo è che, più che di un cambio di paradigma, si tratta dell’evoluzione di un processo che era già iniziato quando le aziende hanno cominciato a chiedere sforzi straordinari rendendoli poi ordinari, utilizzandoli quindi come base per richiedere nuovi sforzi straordinari. Un <strong>processo che era appunto iniziato ai tempi del cottimo differenziale</strong> quando esisteva la dialettica tra chi rilevava i tempi cercando di tararsi sulla miglior prestazione e chi lavorava tenendo sempre un po’ di margine.</p>
<p>Poi c’è stato appunto il periodo in cui ai lavoratori venivano richiesti sforzi straordinari, ma venivano riconosciuti appunto in quanto straordinari e soprattutto erano a termine.<br />
Fino ai tempi nostri con lo straordinario che diventa ordinario, prodromo della possibilità di cambiare le regole a gioco avviato. La seconda considerazione è forse la più ovvia: evidentemente anche chi lavora riconosce che “Non abbiamo alternative!” e in momenti in cui il posto di lavoro non è garantito come non lo è la sopravvivenza dell’azienda <strong>diventa possibile accettare quello che fino a qualche tempo fa sarebbe stato inaccettabile</strong>. Infine una terza considerazione che contiene anche un minimo di ottimismo.</p>
<p>Non credo che tutte le aziende potrebbero proporre un cambio di obiettivo in corso d’opera. Possono farlo le aziende che hanno conquistato un adeguato livello di credibilità presso i propri collaboratori e nelle quali la rappresentazione interna è sufficientemente condivisa. Questo permette di rendere accettabili i cambiamenti, anche quelli che coinvolgono un livello logico diverso e quindi sono più estremi.<br />
E così mi si chiarisce perché le mie figlie hanno continuato per anni le loro sfide surreali.</p>


È giusto cambiare gli obiettivi in corsa?

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Markian Yurynets

Libero professionista, si occupa sopratutto di web marketing verso paesi dell&#8217; Est Europa in particolare Ucraina, Russia e tutto il territorio ex URSS. Motori di ricerca, Contenuti online, Localizzazioni, Strategie, piani di marketing, creatività sono il suo lavoro per tante aziende sul territorio che hanno trovato un metodo nuovo di comunicazione con i propri clienti. L&#8217; Italiano come terza lingua madre, ama i tortellini emiliani ed il freddo russo.

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Tutto o quasi il bello di questo mondo è fatto in Italia. È un Paese fantastico proprio per la sua diversità nel fare e sviluppare prodotti, servizi, soluzioni che nessun altro al mondo potrebbe mai pensare di creare da zero. L&#8217;Italia è un paese che ci insegna tantissimo su come è possibile creare qualche cosa [&hellip;]

&#8220;Made in Italy&#8221; visto dalla Russia: e quindi? - Informazione senza filtro

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<blockquote><p><em>“Parla come mangi. Alla tua bella immagine non credo. Non mi basta. Perché dovrei sceglierti? Voglio capire chi sei. Parla chiaro. Osa e sii sincero. Dimmi qualcosa di te. Fammi capire come sei. Perché dovrei sceglierti? Ho avuto già troppe fregature. Dimmi qualcosa di te che hai e che vorresti non avere. Qualcosa che hai in più degli altri. In tanti si propongono sai? Anche simili a te. Non ti scelgo se non capisco chi sei. Ne ho abbastanza di promesse, illusioni e belle parole. Voglio sapere chi sei o qui non andiamo avanti. Sono pronto a spendere per averti. Dimmi chi sei o non ti sceglierò.”</em></p></blockquote>
<p>La confezione, l’immagine e la presentazione spesso creano aspettative che il prodotto rappresentato non rispetta. L’abito non fa il monaco. Non più. L’ha fatto in passato. Ricordo prodotti che non tradivano le promesse. Poi piano piano alcune fregature si sono sommate nel tempo ed io, a dire il vero, non ne posso più di accorgermi troppo tardi di avere sbagliato l’acquisto. L’intenzionale presentazione abbagliante di un prodotto che appare bello quanto un miraggio e che nella realtà poi si dimostra essere ben altro (in peggio), mi porta a sbagliare l’acquisto.</p>
<p>Se poi invece di un prodotto parliamo di servizi, ad esempio di una compagnia telefonica che dovrebbe prendere le mie parole, i miei dati, le miei immagini, i video, il mio privato e il professionale, tutto insomma di me per “teletrasportarli”, perché dovrei fidarmi di lei? Perché dovrei scegliere un operatore telefonico piuttosto di un altro? Per offerte, minuti ed sms?</p>
<p>A mio avviso no, non solo per questo. <strong>Mi devo fidare di ciò che fa.</strong></p>
<p>Sono stato protagonista di un <a href="https://www.youtube.com/watch?v=JSWDo95hNR0" target="_blank" rel="noopener">breve film dal titolo “Papà,”</a> progettato e gestito da una squadra capitanata da <a href="https://twitter.com/iabicus" target="_blank" rel="noopener">Paolo Iabichino</a> dell’agenzia pubblicitaria Ogilvy &amp; Mather Italia.</p>
<p>In questo film la compagnia telefonica si mostra, spiazzando tutti, pronta a farsi da parte al momento opportuno, a togliersi di mezzo privilegiando essa stessa l’abbraccio reale a quello virtuale. Nobile intento. Sorprendente. <strong>Il valore affettivo sta prima di tutto. Stupefacente. Necessario.</strong></p>
<p>Mi sono bastati pochi minuti in una stanza con un riflettore bianco e caldissimo ed una telecamera puntati addosso. Dovevo, in quella stanza, immaginare che una persona a me cara si stava mostrando ai miei occhi, una persona che non vedevo da molto molto tempo, mio padre. Mi ci sono impegnato e me ne sono andato.</p>
<p>Dopo quel provino sono stato richiamato e così tutto è partito. Dovevo girare uno spot per una compagnia telefonica che ancora non sapevo quale fosse. C’era un gran segreto intorno. Ero appena atterrato in Sicilia per le vacanze, quando mi hanno richiamato. Vacanze rimandate. Mi sono accorto soltanto più in là che <strong>non stavo solo partendo per un lavoro</strong>, ma stavo lasciando una vecchia consapevolezza per raggiungerne una nuova. Questo spot mi ha aperto gli occhi su un mondo che ci circonda e che ci segue rimanendo, per assurdo, a noi distante: l’advertising.</p>
<p>Questo spot ha spostato i miei riferimenti, li ha rimescolati. Ha spostato il mio punto di vista. Ho nuovi riferimenti oggi e una nuova visione d’insieme. Ho studiato marketing all’università più di dieci anni fa e poi l’ho sviluppato per me stesso nel mio lavoro osservando i più grandi. Ho sempre visto tutta questa pubblicità intorno, l’ho sempre sentita, l’ho percepita sempre presente e cercavo di capirla. La sentivo costante, invadente e spesso non mi dava piacere.</p>
<p><strong>Passi da gigante ha fatto il marketing. </strong></p>
<p>Non ho la<strong> sensazione che l’umanità abbia fatto gli stessi passi</strong>, di certo non li ha fatti con la stessa rapidità. L’attitudine alla pubblicità è un talento, è un movimento sapiente, è una comunicazione che travalica le piattaforme, i canali, le modalità. Non ha limiti se non quelli dettati dalla legge e dall’etica. La pubblicità può essere molto utile o molto subdola. E’ una invenzione della mente umana, può dar vita a regimi dittatoriali, ma anche visibilità a uomini di pace. Non posso non citare il geniale <a href="https://www.youtube.com/watch?v=cRNKgjFBpjI" target="_blank" rel="noopener">spot  “Che mondo sarebbe…” del 2004 della compagnia telefonica TIM</a>, realizzato dall’agenzia di pubblicità Young e Rubicam Italia, sotto la direzione di Marco Lombardi, dove Gandhi tiene il suo discorso in diretta mondiale attraverso il web. Esplicativo, travolgente, utilissimo. Da brividi.</p>
<p>La pubblicità è fatta dagli uomini per gli uomini. Qualcosa però non torna. Si è forse evoluta lasciando l’umanità là ferma a guardare? Ha forse perso di vista l’essere umano? “Warning! Humans” dice <a href="https://twitter.com/nipalm" target="_blank" rel="noopener">Nicola Palmarini</a> e credo abbia ragione.</p>
<p>Bisogna fare attenzione lavorando nella comunicazione, perché si ha a che fare con esseri umani e con la loro sensibilità.</p>
<p>L’<strong>advertising è il mondo della comunicazione</strong> ed è una continua innovazione con un solido punto comune che resta fisso: la condivisione. Il vecchio passaparola oggi è un “passaimmagini”, un “passavideo”, un “passamessaggio”,  é un passaggio continuo e inarrestabile di informazioni. La condivisione è il combustibile necessario per arrivare all’obbiettivo finale.</p>
<p>L’advertising è una <strong>spinta alla condivisione</strong>. Ogni giorno, sottoposti a centinaia, migliaia di stimoli deviamo i nostri spostamenti, le nostre scelte e si risvegliano in noi bisogni nuovi mai percepiti fino a quel momento. E’ tutto così affascinante da far un po’ paura, visto che tutto questo si ripete continuo e constante. Ubriachi d’immagini, suoni, slogan, parole, gesti e video, cambiamo. Muscoli e cervello sono sempre quelli, ma noi cambiamo. Mentre si spostano le nostre attenzioni, piano piano anche noi ci spostiamo.</p>
<p>I punti di riferimento ci muovono, ci rigenerano, ci cambiano.<strong> Solo la stella polare non si sposta. </strong>Comunque se penso a ciò che pensavo e ci ripenso, non la penso più come lo pensavo. Ma tu pensa!</p>
<p>Non sarebbe bello se un giorno una marca di orologi arrivasse a pubblicizzare il suo prodotto suggerendo di chiuderlo nel cassetto per un po’, per non dover sempre dipendere dal tempo e potersi godere un pizzico di libertà? Non sarebbe anche bello se una compagnia di viaggi arrivasse a dire che il miglior viaggio è quello interiore e suggerisse quindi di viaggiare alla scoperta di noi stessi prima di partire?</p>
<p>A volte per comunicare davvero la tecnologia non è tutto, per comunicare davvero con qualcuno devi stare occhi negli occhi, non c’è smiley o videocall che tenga, devi spegnere il telefonino, chiudere il computer e connetterti con tutto il resto.</p>
<p>Tu e la tua vita.</p>


Fiducia e valori sono i nuovi punti di riferimento della pubblicità?

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Paolo-Vergnani

Paolo Vergnani

Psicologo e attore, Master in Alternative Dispute Resolution. Nel 1997 ha tenuto il primo spettacolo di Teatro d’impresa in Italia. Ha lavorato sulla gestione dei conflitti in diversi paesi tra cui Austria, Bosnia, Brasile, Ungheria, Vietnam, Iraq e Angola. Dal 1979 formatore su tematiche legate alla comunicazione interpersonale, la motivazione e la gestione delle crisi e dei conflitti. Ha affiancato dirigenti ed uomini politici sulle tematiche legate alla comunicazione in pubblico. E&#8217; presidente di Spell. Docente a contratto per dieci anni all&#8217;Università di Ferrara dove ha avuto anche la responsabilità scientifica del “Master sulla Gestione delle crisi e dei conflitti”.

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Pronti! Ai posti! Via! Era con queste parole che le mie due figlie iniziavano le loro gare di corsa. Dall’albero al muretto. Solo che bastavano pochi passi alla figlia minore, molto più atletica della maggiore essendo la primogenita votata ad un oculato risparmio delle energie, per creare un distacco incolmabile ed essere ormai vicina al [&hellip;]

È giusto cambiare gli obiettivi in corsa? - Informazione senza filtro

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<div>È stata annunciata, e dovrebbe essere imminente alla sua attuazione, una rivoluzione nei pagamenti on-line: in Italia, <strong>si potrà pagare con il Bancomat direttamente su Internet</strong>.</div>
<div>Dopo questa notizia dovremmo essere tutti contenti dell&#8217; opportunità ed invece io sono davvero deluso.</div>
<div>Deluso dell&#8217;ennesima notizia sensazionale che poi, in pratica, non cambierà di una virgola la situazione.</div>
<div></div>
<div>I primi annunci risalgono a comunicati stampa di Dicembre ai quali non è stato dato alcun seguito. Si ipotizzava come partenza il mese di Marzo 2015, le ultime indiscrezioni dicono Aprile 2015.</div>
<div>Ma la vera notizia a mio parere, è<strong> l&#8217;impossibilità di trovare informazioni su come integrare questo sistema di pagamento su un sito</strong>, come funzioni all&#8217;atto pratico, che costi abbia per un esercente.</div>
<div></div>
<div>Così, la scorsa settimana ho  provato a contattare il consorzio Bancomat, ho lasciato un messaggio nella solita segreteria multi-opzione, chiedendo di essere richiamato per ricevere qualche dettaglio in merito, ma neanche a dirlo non s&#8217;è fatto vivo nessuno.</div>
<div>Chiedendo alle banche, queste non sanno di cosa si tratti e rimango dunque in attesa di una fantomatica <em>documentazione tecnica. </em>La cosa ancor più deprimente è che <strong>il sistema viene descritto come semplice ed immediato</strong> nell&#8217;ultimo comunicato stampa diffuso.</div>
<div></div>
<div>Proviamo a seguire la procedura, così come descritta:</div>
<div>1) Assicurarsi che la propria carta bancomat appartenga al circuito che offre il servizio di pagamento online.</div>
<div>2) Chiedere alla banca di attivarlo (mancano le modalità, ma questo pare essere un dettaglio trascurabile).</div>
<div>3) Scegliere sul sito dove si sta acquistando l&#8217;apposita modalità di pagamento con Bancomat (che se non si trova la documentazione son curioso di vedere in quanti lo proporranno).</div>
<div>4) Una volta arrivati sul sito per il pagamento scegliere la propria banca.</div>
<div>5) Solo a quel punto si arriverà sulla schermata di autenticazione, e bisognerà inserire dei dati identificativi (che non è il PIN, attenzione, saranno altri ma non so ancora quali).</div>
<div>6) Fatto questo si procede con l&#8217;autorizzazione al pagamento.</div>
<div>7) Finalmente l&#8217;ordine potrà essere confermato allo shop (se tutto va bene).</div>
<div></div>
<div>Sette passaggi, 7 &#8230; se tutto va bene. E questa sarebbe la<strong> procedura semplice che abiliterà gli Italiani agli acquisti online?</strong></div>
<div>La miopia con la quale è stato strutturato questo servizio, guardando solo ai profitti generati per gli istituti e dimenticandosi degli utenti, è sconcertante.</div>
<div> In Italia sono due gli ostacoli insormontabili per la diffusione degli acquisti online:</div>
<div>1) La fiducia</div>
<div>2) La cultura nell&#8217;utilizzo di Internet.</div>
<div>Sono questi i punti da risolvere per far decollare il settore delle vendite on-line che ora è al 3,5% sul totale volume d&#8217;affari commerciale nel 2014.</div>
<div>In Francia siamo al 7%, in Gemania al 9% in UK al 15%. Ne abbiamo di strada da fare.</div>
<div>
<h2>I limiti dell&#8217;eCommerce in Italia</h2>
<p>Gli Italiani non si fidano ad acquistare online perché hanno paura. La carta di credito la hanno, ma non la usano perché non si fidano. In quanti<strong> </strong>hanno fatto una prepagata appositamente, non sapendo che comunque<strong> con le carte &#8220;normali&#8221; si è più tutelati. </strong>La dimostrazione che il vero problema dell&#8217;utilizzo della rete è squisitamente culturale.</p>
</div>
<div></div>
<div>L&#8217;<strong>utente medio Italiano non conosce i suoi diritti</strong> di base, a differenza degli altri utenti Europei. Un Tedesco sa benissimo come funziona il reso e che è un suo pieno diritto.</div>
<div>Gli utenti nel nostro paese pensano che il reso sia una cortesia offerta dal venditore.</div>
<div> Se risolviamo il problema culturale prima, le transazioni aumenteranno di conseguenza, i modi per pagare gli ordini ci sono già ma bisogna guidare gli utenti ad utilizzarli correntemente.</div>
<div>Il 34% delle transazioni online sono fatte con Paypal, il 21% una carta prepagata, il 20% una carta di credito (<a href="http://www.consorzionetcomm.it/Consorzio_Netcomm/Notizie/NET-Retail-Oltre-100-Milioni-Di-Nuove-Esperienze-DAcquisto-Online-Nel-2014" target="_blank" rel="noopener">fonte dati ricerca Netcomm/Human Highway 2014</a>) . Poi ci sono tutti gli altri metodi di pagamento.  Ergo, non è il sistema di pagamento l&#8217;urgenza da risolvere adesso.</div>
<div></div>
<div>Tornando ai bancomat, ben venga ci sia la possibilità di usarlo per i pagamenti on line, ma da qui a un anno quanti saranno i venditori che lo proporranno ai loro clienti e, soprattutto, quanto sarà utilizzato dagli acquirenti?</div>


Bancomat e Internet: l&#8217;annuncio c&#8217;è, la cultura manca

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<p><em>“Parla come mangi. Alla tua bella immagine non credo. Non mi basta. Perché dovrei sceglierti? Voglio capire chi sei. Parla chiaro. Osa e sii sincero. Dimmi qualcosa di te. Fammi capire come sei. Perché dovrei sceglierti? Ho avuto già troppe fregature. Dimmi qualcosa di te che hai e che vorresti non avere. Qualcosa che hai in più degli altri. In tanti si propongono sai? Anche simili a te. Non ti scelgo se non capisco chi sei. Ne ho abbastanza di promesse, illusioni e belle parole. Voglio sapere chi sei o qui non andiamo avanti. Sono pronto a spendere per averti. Dimmi chi sei o non ti sceglierò.”</em></p>
</blockquote>
<p>La confezione, l’immagine e la presentazione spesso creano aspettative che il prodotto rappresentato non rispetta. L’abito non fa il monaco. Non più. L’ha fatto in passato. Ricordo prodotti che non tradivano le promesse. Poi piano piano alcune fregature si sono sommate nel tempo ed io, a dire il vero, non ne posso più di accorgermi troppo tardi di avere sbagliato l’acquisto. L’intenzionale presentazione abbagliante di un prodotto che appare bello quanto un miraggio e che nella realtà poi si dimostra essere ben altro (in peggio), mi porta a sbagliare l’acquisto.</p>
<p>Se poi invece di un prodotto parliamo di servizi, ad esempio di una compagnia telefonica che dovrebbe prendere le mie parole, i miei dati, le miei immagini, i video, il mio privato e il professionale, tutto insomma di me per “teletrasportarli”, perché dovrei fidarmi di lei? Perché dovrei scegliere un operatore telefonico piuttosto di un altro? Per offerte, minuti ed sms?</p>
<p>A mio avviso no, non solo per questo. <strong>Mi devo fidare di ciò che fa.</strong></p>
<p>Sono stato protagonista di un <a href="https://www.youtube.com/watch?v=JSWDo95hNR0" target="_blank" rel="noopener">breve film dal titolo “Papà,”</a> progettato e gestito da una squadra capitanata da <a href="https://twitter.com/iabicus" target="_blank" rel="noopener">Paolo Iabichino</a> dell’agenzia pubblicitaria Ogilvy &amp; Mather Italia.</p>
<p>In questo film la compagnia telefonica si mostra, spiazzando tutti, pronta a farsi da parte al momento opportuno, a togliersi di mezzo privilegiando essa stessa l’abbraccio reale a quello virtuale. Nobile intento. Sorprendente. <strong>Il valore affettivo sta prima di tutto. Stupefacente. Necessario.</strong></p>
<p>Mi sono bastati pochi minuti in una stanza con un riflettore bianco e caldissimo ed una telecamera puntati addosso. Dovevo, in quella stanza, immaginare che una persona a me cara si stava mostrando ai miei occhi, una persona che non vedevo da molto molto tempo, mio padre. Mi ci sono impegnato e me ne sono andato.</p>
<p>Dopo quel provino sono stato richiamato e così tutto è partito. Dovevo girare uno spot per una compagnia telefonica che ancora non sapevo quale fosse. C’era un gran segreto intorno. Ero appena atterrato in Sicilia per le vacanze, quando mi hanno richiamato. Vacanze rimandate. Mi sono accorto soltanto più in là che <strong>non stavo solo partendo per un lavoro</strong>, ma stavo lasciando una vecchia consapevolezza per raggiungerne una nuova. Questo spot mi ha aperto gli occhi su un mondo che ci circonda e che ci segue rimanendo, per assurdo, a noi distante: l’advertising.</p>
<p>Questo spot ha spostato i miei riferimenti, li ha rimescolati. Ha spostato il mio punto di vista. Ho nuovi riferimenti oggi e una nuova visione d’insieme. Ho studiato marketing all’università più di dieci anni fa e poi l’ho sviluppato per me stesso nel mio lavoro osservando i più grandi. Ho sempre visto tutta questa pubblicità intorno, l’ho sempre sentita, l’ho percepita sempre presente e cercavo di capirla. La sentivo costante, invadente e spesso non mi dava piacere.</p>
<p><strong>Passi da gigante ha fatto il marketing. </strong></p>
<p>Non ho la<strong> sensazione che l’umanità abbia fatto gli stessi passi</strong>, di certo non li ha fatti con la stessa rapidità. L’attitudine alla pubblicità è un talento, è un movimento sapiente, è una comunicazione che travalica le piattaforme, i canali, le modalità. Non ha limiti se non quelli dettati dalla legge e dall’etica. La pubblicità può essere molto utile o molto subdola. E’ una invenzione della mente umana, può dar vita a regimi dittatoriali, ma anche visibilità a uomini di pace. Non posso non citare il geniale <a href="https://www.youtube.com/watch?v=cRNKgjFBpjI" target="_blank" rel="noopener">spot  “Che mondo sarebbe…” del 2004 della compagnia telefonica TIM</a>, realizzato dall’agenzia di pubblicità Young e Rubicam Italia, sotto la direzione di Marco Lombardi, dove Gandhi tiene il suo discorso in diretta mondiale attraverso il web. Esplicativo, travolgente, utilissimo. Da brividi.</p>
<p>La pubblicità è fatta dagli uomini per gli uomini. Qualcosa però non torna. Si è forse evoluta lasciando l’umanità là ferma a guardare? Ha forse perso di vista l’essere umano? “Warning! Humans” dice <a href="https://twitter.com/nipalm" target="_blank" rel="noopener">Nicola Palmarini</a> e credo abbia ragione.</p>
<p>Bisogna fare attenzione lavorando nella comunicazione, perché si ha a che fare con esseri umani e con la loro sensibilità.</p>
<p>L’<strong>advertising è il mondo della comunicazione</strong> ed è una continua innovazione con un solido punto comune che resta fisso: la condivisione. Il vecchio passaparola oggi è un “passaimmagini”, un “passavideo”, un “passamessaggio”,  é un passaggio continuo e inarrestabile di informazioni. La condivisione è il combustibile necessario per arrivare all’obbiettivo finale.</p>
<p>L’advertising è una <strong>spinta alla condivisione</strong>. Ogni giorno, sottoposti a centinaia, migliaia di stimoli deviamo i nostri spostamenti, le nostre scelte e si risvegliano in noi bisogni nuovi mai percepiti fino a quel momento. E’ tutto così affascinante da far un po’ paura, visto che tutto questo si ripete continuo e constante. Ubriachi d’immagini, suoni, slogan, parole, gesti e video, cambiamo. Muscoli e cervello sono sempre quelli, ma noi cambiamo. Mentre si spostano le nostre attenzioni, piano piano anche noi ci spostiamo.</p>
<p>I punti di riferimento ci muovono, ci rigenerano, ci cambiano.<strong> Solo la stella polare non si sposta. </strong>Comunque se penso a ciò che pensavo e ci ripenso, non la penso più come lo pensavo. Ma tu pensa!</p>
<p>Non sarebbe bello se un giorno una marca di orologi arrivasse a pubblicizzare il suo prodotto suggerendo di chiuderlo nel cassetto per un po’, per non dover sempre dipendere dal tempo e potersi godere un pizzico di libertà? Non sarebbe anche bello se una compagnia di viaggi arrivasse a dire che il miglior viaggio è quello interiore e suggerisse quindi di viaggiare alla scoperta di noi stessi prima di partire?</p>
<p>A volte per comunicare davvero la tecnologia non è tutto, per comunicare davvero con qualcuno devi stare occhi negli occhi, non c’è smiley o videocall che tenga, devi spegnere il telefonino, chiudere il computer e connetterti con tutto il resto.</p>
<p>Tu e la tua vita.</p>


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Andrea Gherpelli

Libero professionista, attore, regista, creativo ed Ingegnere Gestionale, nato a Correggio. La crescita della sua attività artistica è fin da bambino, direttamente proporzionale alla passione per la matematica e le scienze. Nell’anno 2000 all’età di 24 anni si laurea con successo in Ingegneria Gestionale mentre in contemporanea supera la selezione alla scuola professionale per attori di Beatrice Bracco a Roma. Decide di non perdere questa occasione e proprio a Roma inizia la sua formazione professionale d’attore. Vince i primi provini ed intraprende così la sua carriera senza mai smettere di insegnare matematica e fisica. Ad oggi ha lavorato per grandi produzioni Rai, Sky, Mediaset, BBC, Fuji Film. Di recente è stato protagonista insieme a Pierfrancesco Favino della fiction Rai in due puntate “Qualunque cosa succeda” dedicata alla storia dell’avvocato Giorgio Ambrosoli ed è anche protagonista di un fortunato spot istituzionale Wind dal titolo “Papà,” firmato Ogilvy &amp; Mather Italia.  Scrive con passione e legge Tiziano Terzani per bisogno.

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