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Numero 84 &#8211; Le segretarie non chiedono

Numero 84 - Le segretarie non chiedono

Numero 84 - Le segretarie non chiedono - Informazione senza filtro

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Numero 08 &#8211; Tutti all&#8217;Expo

Numero 08 - Tutti all'Expo

Numero 08 - Tutti all'Expo - Informazione senza filtro

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<p>Il PNRR li chiama &#8220;borghi&#8221;, e spesso lo fa anche la politica. Noi no. Al di là dei luoghi da cartolina e delle trappole per turisti dove la vita locale si è estinta da tempo, facciamo una tara di falsa coscienza e buoni sentimenti riguardo i piccoli Comuni italiani.</p>


Numero 111 &#8211; Non chiamateli borghi

Il PNRR li chiama &#8220;borghi&#8221;, e spesso lo fa anche la politica. Noi no. Al di là dei luoghi da cartolina e delle trappole per turisti dove la vita locale si è estinta da tempo, facciamo una tara di falsa coscienza e buoni sentimenti riguardo i piccoli Comuni italiani.

Numero 111 - Non chiamateli borghi

Numero 111 - Non chiamateli borghi - Informazione senza filtro

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Numero 53 &#8211; Paradossi del lavoro

Numero 53 - Paradossi del lavoro

Numero 53 - Paradossi del lavoro - Informazione senza filtro

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<p>Il <strong>mensile 116 </strong>è un collage, un album, un archivio vivo, è <em>SenzaFiltro </em>che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo <strong>il punto su ognuno dei cavalli</strong>, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, giornalisti e redattori, da cosa veniamo.</p>


Numero 116 &#8211; Cavalli di battaglia

Il mensile 116 è un collage, un album, un archivio vivo, è SenzaFiltro che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo il punto su ognuno dei cavalli, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, [&hellip;]

Numero 116 - Cavalli di battaglia

Numero 116 - Cavalli di battaglia - Informazione senza filtro

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Il <strong>mensile 116 </strong>è un collage, un album, un archivio vivo, è <em>SenzaFiltro </em>che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo <strong>il punto su ognuno dei cavalli</strong>, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, giornalisti e redattori, da cosa veniamo.

La dimensione lavorativa fatica ad accogliere la diversità nell'ambito dell'orientamento, con le piccole e medie imprese che discriminano più delle grandi. L'analisi di un'indagine ISTAT-UNAR e le testimonianze di chi l'ha provato sulla sua pelle

L'orientamento sessuale disorienta il lavoro: una persona su cinque subisce discriminazioni

Non è chiaro se si tratti di pudore in una società che ha eretto come modelli vincenti i ricchi, mettendo, i <strong>poveri</strong> in una sorta di <strong>oblio fatto di invisibilità</strong>, <strong>stigma sociale</strong> da parte di chi non è povero (o ha paura di diventarlo), e di senso di vergogna da parte di chi invece la povertà la vive e, spesso la subisce.

Se da una parte, secondo il ventunesimo rapporto <em>L’anello debole</em> redatto dalla Caritas italiana, <strong>la povertà si eredita</strong>, è lo stesso presidente <strong>Carlo Redaelli</strong> ad affermare come sia cambiato l’identikit delle persone in stato di indigenza che si ritrovano a dover chiedere aiuto: “Nei nostri centri arrivano i figli e i nipoti di quelli che venivano una volta. Per <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-mismatch-allitaliana-che-ha-fermato-lascensore-sociale-i-meriti-dei-padri-ricadono-sui-figli/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">uscire dalla povertà in Italia</a></strong> occorrono <strong>cinque generazioni</strong>, nei Paesi del Nord Europa due”.

La fotografia della nuova povertà sta tutta qui: il passaggio di consegne tra anziani e giovani che se ne sono scambiati il testimone.
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<h2 id="h-poverta-assoluta-i-giovani-superano-gli-anziani-il-passaggio-di-testimone-che-non-volevamo">Povertà assoluta, i giovani superano gli anziani: il passaggio di testimone che non volevamo</h2>
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Dal 2005 a oggi la povertà, oltre a essere triplicata passando dagli 1,9 milioni di individui del 2005 ai circa <strong>5,6 milioni in povertà assoluta nel 2021</strong>, secondo lo studio dell’ISTAT <em>Povertà in Italia</em> pubblicato lo scorso mese di giugno, ha fatto altresì registrare un’inversione di tendenza per certi versi drammatica. Il risultato è che dal 2005 a oggi abbiamo assistito a un ricambio generazionale all’incontrario, con gli anziani che non hanno lasciato in consegna ai <strong>giovani</strong> il lavoro e il futuro, bensì il <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/poveri-ragazzi-i-giovani-ereditano-il-primato-dellindigenza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">primato della povertà assoluta</a></strong>.

In questo è evidente come anche il <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/povero-lavoro-o-lavoro-povero/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">lavoro povero</a></strong> abbia rappresentato per i giovani un’ulteriore zavorra che li ha portati a star peggio degli individui più anziani, ormai in pensione. E quindi anche il meccanismo semplicistico con cui tendiamo a credere che per un anziano che va in pensione c’è un giovane che entra nel mondo del lavoro è divenuto anacronistico e non supportato dai dati, che ci dicono esattamente l’opposto.

Ci ritroviamo tra paradosso e stortura. Non aiuta il fatto che la stessa ISTAT, attraverso il suo report <em>Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni</em> per il 2021, certifichi come il nostro Paese stia invecchiando sempre di più, senza soluzione di continuità. <strong>L’età media in Italia</strong>, infatti, passa dai 43 anni del 2011 ai <strong>46</strong> del 2021.

Quale Paese a invecchiamento costante potrebbe accettare che la povertà assoluta rimanga in capo ai giovani senza invertire la tendenza, anche in maniera radicale, pensando anche a qualcosa di diverso dalle ricette tradizionali proposte da qualche economista di punta?

Mantenendo il focus sui giovani, è chiaro che se detengono la povertà assoluta risulta davvero difficile meravigliarsi del fatto poi che il nostro Paese nel <strong>2050</strong> potrebbe arrivare ad avere – secondo i dati illustrati dall’ISTAT agli Stati Generali della Natalità presentati lo scorso mese di maggio – anche <strong>cinque milioni di abitanti in meno</strong>.
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<h2 id="h-prima-di-pensare-alla-denatalita-dovremmo-tutelare-le-famiglie-il-rdc-e-la-commissione-saraceno">Prima di pensare alla denatalità, dovremmo tutelare le famiglie: il RdC e la commissione Saraceno</h2>
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A questo punto, le grida di dolore che giungono da più parti sulla necessità di arrestare il crollo delle nascite, al fine di garantire un futuro sostenibile all’Italia, sembrano stridere con la triste realtà dei fatti; soprattutto ai giovani. Da Papa Francesco al Presidente della Repubblica, passando per i politici di ogni schieramento nelle varie dichiarazioni sul crollo delle nascite nel nostro Paese, stracciarsi le vesti serve a poco.<strong> Emergenza sociale</strong>, povertà per tutti, famiglie senza figli, dramma della <strong>denatalità</strong> sono solo alcune delle dichiarazioni un tanto al chilo che leggiamo non appena viene pubblicato qualche altro dato sulla crescita zero del nostro Paese.

Il paradosso è tutto qui: se le <strong>famiglie senza figli</strong> sono la <strong>nuova povertà</strong> che (ci) spaventa così tanto, mi chiedo come sia possibile che le stesse famiglie italiane, con molti figli e in situazione di povertà assoluta, siano state addirittura <strong>lasciate fuori</strong> dalla possibilità di usufruire del <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reddito-di-cittadinanza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Reddito di Cittadinanza</a></strong>, come aveva <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/chiara-saraceno-rdc-da-riformare-orlando-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">dichiarato a <em>SenzaFiltro</em> la sociologa Chiara Saraceno</a>.

“Per quanto riguarda il Reddito, poi, la scala di equivalenza è squilibrata a sfavore dei minorenni, che contano la metà degli adulti. Ciò fa sì che <strong>famiglie numerose</strong> <strong>abbiano più difficoltà ad accedere al sussidio</strong>, perché la soglia di accesso è più generosa per i nuclei con soli adulti rispetto a quelli con minorenni.”

La studiosa era stata chiamata dall’ex ministro del lavoro <strong>Andrea Orlando</strong> a presiedere l’<strong>Osservatorio sul Reddito di Cittadinanza</strong>, dove aveva fatto presente anche questa anomalia. In seguito, ha denunciato che tutte le istanze e le <strong>migliorie proposte</strong> sono state <strong>ignorate</strong>.
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<h2 id="h-il-diritto-al-lavoro-che-in-italia-non-abbiamo-mai-tutelato">Il diritto al lavoro che in Italia non abbiamo mai tutelato</h2>
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Ora se dei giovani e della povertà che li attanaglia <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-114/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">abbiamo scritto</a>, senza dimenticare che molti di essi – tre milioni – sono anche NEET, andrebbe analizzata anche la questione di genere che vede le <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gender-pay-gap-quello-che-alle-donne-non-pagano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>donne</strong></a> subire lo stigma della povertà.

Considerando come le caratteristiche della povertà risiedano in primis nella <strong>mancanza di lavoro</strong>, specie se si considerano i bassi tassi di occupazione delle donne, spesso costrette a lavorare part time o a lasciare il lavoro, si evidenzia il bisogno di un sistema di <strong>welfare </strong>e di protezione sociale che provi per una volta a importare le best practice tipiche dei Paesi nordici.

Se molti nel nostro Paese non hanno mai potuto toccare con mano una vera conciliazione tra famiglia e lavoro, come possiamo gridare allo scandalo per la bassa natalità che contraddistingue il nostro Paese se non ammettendo il fatto che <strong>la povertà sta intaccando il tessuto sociale italiano</strong> <strong>nel profondo</strong>, e rischia di travolgere tutto con una sorta di effetto domino?

Occorre agire e invertire la tendenza, combattendo contro i dati – impietosi – che vengono snocciolati su povertà, giovani, donne e invecchiamento di un Paese che sembra a volte cullarsi fin troppo sul benessere degli anziani, chiudendo gli occhi davanti ad una generazione che non vede futuro se non scegliendo di andarsene altrove.

Non è più tempo per le riflessioni. Occorre che la <strong>politica</strong> agisca concretamente per consentire ai giovani, alle donne di questo Paese di vedere davvero agito l’articolo 4 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Occorre legiferare, sul serio, con provvedimenti lungimiranti e concreti. Dicono che la nostra Costituzione sia una delle più belle del mondo, ma se la facciamo rimanere lettera morta la bellezza serve a poco, se non a provare a nascondere la mancanza di sostanza.

Si parlava di povertà, non a caso: neanche questo possiamo (più) permettercelo.
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/generazioni/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Generazioni</a></strong>.</em></p>

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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, “<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>“, e il reportage “<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>“.</em></p>


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<em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em>

<em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. </em>
<p class="has-text-align-center"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sottoscrivi-sf/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Sottoscrivi SenzaFiltro</a></p>

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<strong><em>In copertina foto di Manuel Alvarez da Pixabay</em></strong>

Molto vecchi, poco giovani e comunque poveri. Ritratto degli italiani del 2050

<p>In campo musicale internazionale la chiamano <em>signature song</em>, è il <strong>cavallo di battaglia</strong>, il pezzo che marca l’artista; ai concerti, se non lo canta, è delusione assicurata. Quello che non sempre si racconta è che molti cavalli di battaglia musicali sono stati creati a tavolino dalle case discografiche per legare i fan a quell’artista, per strutturare e consolidare nel tempo fama e carriera del musicista o della band, per aumentare le vendite. Il lato oscuro del cavallo di battaglia è che, se te lo giochi male, diventa una gabbia all’infinito.&nbsp;</p>
<p>Fra tutti i cavalli a disposizione del condottiero, quello addestrato per la battaglia era il migliore: l’origine dell’espressione sta tutta qui.</p>
<p>Nel <strong>giornalismo </strong>è un’altra storia da quando questo mestiere ha smesso di raccontare il Paese se non scendendo a <strong>compromessi</strong>. L’altra azione nobile che il giornalismo ha smesso di esercitare da tempo è l’azione della <strong>memoria</strong>: se dimentichi i fatti, i momenti storici, le ragioni del presente e le cause del passato, a poco vale scrivere notizie. </p>
<p>I cavalli di battaglia, nel giornalismo, sono atteggiamenti rari per due ragioni: la prima è che per stare addosso a un tema o a un’inchiesta, e farlo per lungo tempo, così da monitorare gli sviluppi o i passi di lato, servono <strong>soldi</strong>; la seconda è che serve <strong>pulizia nella linea editoriale</strong>, indipendenza. Nella maggior parte dei casi il giornalismo italiano va in carenza di ossigeno su entrambi i fronti.</p>
<p><strong>Questo editoriale è l’ultimo che firmo, questo mensile è l’ultimo che leggete</strong>: da gennaio parte una <strong>seconda vita di <em>SenzaFiltro </em>fatta di</strong> <strong>attualità quotidiana </strong>e <strong>reportage</strong>. Negli otto anni con cui abbiamo generato un giornale come questo, l’unica certezza che non ci ha mai tolto la mano sulla spalla è stata la consapevolezza di vivere un piccolo miracolo italiano; l’unica incertezza, altrettanto piena, è stata il non sapere mai &#8211; e non sapere ancora &#8211; fin dove saremmo arrivati.</p>
<p>Noi i cavalli di battaglia non ce li siamo creati a tavolino: alcuni ci sono proprio venuti a sbattere, tanto erano imbizzarriti dentro un mercato del lavoro convulso e opaco, altri ce li siamo andati prima a cercare e poi a badare.</p>
<p><strong>Perseveranza </strong>e <strong>fermezza</strong>: così spiegherei come i mensili di <em>SenzaFiltro </em>hanno raccontato <strong>la cultura del lavoro in questi otto anni</strong>, facendo giornalismo serio dove regnava un buco enorme che non prendeva in considerazione le persone mentre parlava di lavoro.&nbsp;</p>
<p>Quando nel 2015 tutti andavano di corsa verso una <strong>logica digitale mal compresa e mal usata</strong>, e lo facevano con articoli brevissimi perché sembrava che meno scrivevi più i lettori ti leggevano, noi andammo a passo di salmone. Articoli lunghi, approfondimenti, desiderio di essere letti abituando le persone a vincere le inerzie. Oggi, grazie al vantaggio capitalizzato, ci permettiamo di andare oltre.</p>
<p>La vita dei salmoni è legata al ciclo riproduttivo: diventano adulti in mare e, dopo una media di cinque anni trascorsi in quelle acque, risalgono i fiumi per deporvi le uova e garantire alla prole acque ben ossigenate e particolarmente dolci. Ritrovano la strada grazie al proprio olfatto, usano come bussola il magnete terreste, percorrono al contrario rapide e cascate, non cedono finché non mettono in sicurezza le uova. Ci somiglia molto, questo processo generativo del salmone.</p>
<p>Anche noi negli ultimi anni abbiamo messo in sicurezza molti temi legati al lavoro, purtroppo mai felici. I nostri cavalli di battaglia si chiamano <strong>rider </strong>e <strong>food delivery</strong>, <strong>Reddito di Cittadinanza</strong>, <strong>navigator</strong>, <strong>sessismo</strong>, <strong>imprese che non trovano lavoratori</strong>, <strong>discriminazioni </strong>e <strong>inclusioni</strong>, <strong>giovani</strong>, <strong>over 50</strong>, <strong>scuola</strong>, <strong>salute mentale</strong>, <strong>sanità</strong>, <strong>precariato</strong>, <strong>cultura </strong>e <strong>mestieri invisibili</strong>, <strong>povertà</strong>, <strong>grandi crisi aziendali</strong>, <strong>salari</strong>, <strong>whistleblowing</strong>, <strong>Sud</strong>, <strong>libri</strong>, <strong>caporalato</strong>, <strong>partite IVA</strong>, <strong>ipocrisia delle emergenze</strong>.</p>
<p>Abbiamo puntato su ognuno di questi cavalli, anno dopo anno, e attraverso loro siamo riusciti a documentare l’Italia zoppa del lavoro.&nbsp;</p>
<p>Il <strong>mensile 116 </strong>è un collage, un album, un archivio vivo, è <em>SenzaFiltro </em>che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo <strong>il punto su ognuno dei cavalli</strong>, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, giornalisti e redattori, da cosa veniamo.</p>
<p>Il primo editoriale della storia di <em>SenzaFiltro </em>parlava di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/le-promesse-da-mantenere/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">promesse da mantenere</a>:&nbsp;</p>
<p><em>La sfida di un nuovo giornale sta nel coraggio dell’impegno che si assume.</em></p>
<p><em>C’è chi con il lavoro deve mantenerci una famiglia o solo se stesso.</em></p>
<p><em>C’è chi con il lavoro deve mantenere la calma.</em></p>
<p><em>C’è chi con il lavoro deve mantenere i tempi.</em></p>
<p><em>Ma le promesse, nel lavoro, chi le mantiene?</em></p>
<p>Noi abbiamo dato il massimo ogni mese, per otto anni, per mantenere le nostre promesse. <strong>Continueremo con ancora più maturità</strong>.</p>
<p>I mensili che si chiudono non lasciano buchi, ma allargano uno spazio per farci entrare altro, qualcosa in più. Intorno a noi sono cambiati intanto i tempi, le fisionomie e i ritmi dei lettori, la qualità dell’informazione, la fiducia nei giornali.&nbsp;</p>
<p>I nostri cavalli di battaglia non saranno mai in gabbia, <strong>il nostro giornalismo sarà sempre brado</strong>.&nbsp;</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/rubriche/editoriali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Editoriali</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />
<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
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zolotti

Zolotti

Stefania Zolotti

Direttrice responsabile di SenzaFiltro e giornalista con il debole per le relazioni e le persone. Studiosa e appassionata di geografie umane e di paesi. Con la laurea in giurisprudenza non ha mai intrapreso le classiche strade: l&#8217;unico ufficio legale in cui ha lavorato è stato quello di Altroconsumo a Milano dal 2001 al 2003, con una parentesi nella sede di Bolzano grazie al patentino di bilinguismo tedesco. Dal 2002 Collabora come freelance con la rivista Business People e dal 2023 con Artribune dove racconta storie italiane di teatri di periferia. &#8220;Sentimenti precisi&#8221; è il nome del progetto con cui dal 2021 gira l&#8217;Italia tenendo laboratori contro i blocchi della scrittura: lo fa per aziende, associazioni, scuole, singole persone e gruppi. Dal 2008 al 2017 Responsabile Comunicazione e Segretaria di direzione per una grande azienda pubblica del settore ambiente dove ha sviluppato progetti di green marketing e di educazione sostenibile. Dal 2012 contribuisce a creare e coordinare progetti per la business community FiordiRisorse, che è anche l&#8217;Associazione editrice di SenzaFiltro. Autrice del libro &#8220;Ti fai male&#8221; (2020), romanzo generazionale scritto inizialmente come ghostwriter. Ha lavorato per 20 anni come giornalista nel campo del vino e del cibo collaborando con le principali testate nazionali e pubblicando due libri: &#8220;Vino a doppio senso. Guida ironica per uomini e donne&#8221; (Gabrio Marinelli Editore, 2006) e &#8220;Il Bicchiere mezzo pieno. Liberarsi dagli esperti è il primo passo per bere bene&#8221; (Le Lettere, 2020). L&#8217;ultimo libro, di cui è curatrice, è &#8220;Coaching, maneggiare con cura&#8221; di Carlo Bisi (Edizioni FiordiRisorse, 2023). &nbsp; E-mail: stefania.z@fiordirisorse.eu

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Editoriale 116. Cavalli di battaglia

In campo musicale internazionale la chiamano signature song, è il cavallo di battaglia, il pezzo che marca l’artista; ai concerti, se non lo canta, è delusione assicurata. Quello che non sempre si racconta è che molti cavalli di battaglia musicali sono stati creati a tavolino dalle case discografiche per legare i fan a quell’artista, per [&hellip;]

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seven


<p>In campo musicale internazionale la chiamano <em>signature song</em>, è il <strong>cavallo di battaglia</strong>, il pezzo che marca l’artista; ai concerti, se non lo canta, è delusione assicurata. Quello che non sempre si racconta è che molti cavalli di battaglia musicali sono stati creati a tavolino dalle case discografiche per legare i fan a quell’artista, per strutturare e consolidare nel tempo fama e carriera del musicista o della band, per aumentare le vendite. Il lato oscuro del cavallo di battaglia è che, se te lo giochi male, diventa una gabbia all’infinito.&nbsp;</p>



<p>Fra tutti i cavalli a disposizione del condottiero, quello addestrato per la battaglia era il migliore: l’origine dell’espressione sta tutta qui.</p>



<p>Nel <strong>giornalismo </strong>è un’altra storia da quando questo mestiere ha smesso di raccontare il Paese se non scendendo a <strong>compromessi</strong>. L’altra azione nobile che il giornalismo ha smesso di esercitare da tempo è l’azione della <strong>memoria</strong>: se dimentichi i fatti, i momenti storici, le ragioni del presente e le cause del passato, a poco vale scrivere notizie. </p>



<p>I cavalli di battaglia, nel giornalismo, sono atteggiamenti rari per due ragioni: la prima è che per stare addosso a un tema o a un’inchiesta, e farlo per lungo tempo, così da monitorare gli sviluppi o i passi di lato, servono <strong>soldi</strong>; la seconda è che serve <strong>pulizia nella linea editoriale</strong>, indipendenza. Nella maggior parte dei casi il giornalismo italiano va in carenza di ossigeno su entrambi i fronti.</p>



<p><strong>Questo editoriale è l’ultimo che firmo, questo mensile è l’ultimo che leggete</strong>: da gennaio parte una <strong>seconda vita di <em>SenzaFiltro </em>fatta di</strong> <strong>attualità quotidiana </strong>e <strong>reportage</strong>. Negli otto anni con cui abbiamo generato un giornale come questo, l’unica certezza che non ci ha mai tolto la mano sulla spalla è stata la consapevolezza di vivere un piccolo miracolo italiano; l’unica incertezza, altrettanto piena, è stata il non sapere mai &#8211; e non sapere ancora &#8211; fin dove saremmo arrivati.</p>



<p>Noi i cavalli di battaglia non ce li siamo creati a tavolino: alcuni ci sono proprio venuti a sbattere, tanto erano imbizzarriti dentro un mercato del lavoro convulso e opaco, altri ce li siamo andati prima a cercare e poi a badare.</p>



<p><strong>Perseveranza </strong>e <strong>fermezza</strong>: così spiegherei come i mensili di <em>SenzaFiltro </em>hanno raccontato <strong>la cultura del lavoro in questi otto anni</strong>, facendo giornalismo serio dove regnava un buco enorme che non prendeva in considerazione le persone mentre parlava di lavoro.&nbsp;</p>



<p>Quando nel 2015 tutti andavano di corsa verso una <strong>logica digitale mal compresa e mal usata</strong>, e lo facevano con articoli brevissimi perché sembrava che meno scrivevi più i lettori ti leggevano, noi andammo a passo di salmone. Articoli lunghi, approfondimenti, desiderio di essere letti abituando le persone a vincere le inerzie. Oggi, grazie al vantaggio capitalizzato, ci permettiamo di andare oltre.</p>



<p>La vita dei salmoni è legata al ciclo riproduttivo: diventano adulti in mare e, dopo una media di cinque anni trascorsi in quelle acque, risalgono i fiumi per deporvi le uova e garantire alla prole acque ben ossigenate e particolarmente dolci. Ritrovano la strada grazie al proprio olfatto, usano come bussola il magnete terreste, percorrono al contrario rapide e cascate, non cedono finché non mettono in sicurezza le uova. Ci somiglia molto, questo processo generativo del salmone.</p>



<p>Anche noi negli ultimi anni abbiamo messo in sicurezza molti temi legati al lavoro, purtroppo mai felici. I nostri cavalli di battaglia si chiamano <strong>rider </strong>e <strong>food delivery</strong>, <strong>Reddito di Cittadinanza</strong>, <strong>navigator</strong>, <strong>sessismo</strong>, <strong>imprese che non trovano lavoratori</strong>, <strong>discriminazioni </strong>e <strong>inclusioni</strong>, <strong>giovani</strong>, <strong>over 50</strong>, <strong>scuola</strong>, <strong>salute mentale</strong>, <strong>sanità</strong>, <strong>precariato</strong>, <strong>cultura </strong>e <strong>mestieri invisibili</strong>, <strong>povertà</strong>, <strong>grandi crisi aziendali</strong>, <strong>salari</strong>, <strong>whistleblowing</strong>, <strong>Sud</strong>, <strong>libri</strong>, <strong>caporalato</strong>, <strong>partite IVA</strong>, <strong>ipocrisia delle emergenze</strong>.</p>



<p>Abbiamo puntato su ognuno di questi cavalli, anno dopo anno, e attraverso loro siamo riusciti a documentare l’Italia zoppa del lavoro.&nbsp;</p>



<p>Il <strong>mensile 116 </strong>è un collage, un album, un archivio vivo, è <em>SenzaFiltro </em>che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo <strong>il punto su ognuno dei cavalli</strong>, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, giornalisti e redattori, da cosa veniamo.</p>



<p>Il primo editoriale della storia di <em>SenzaFiltro </em>parlava di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/le-promesse-da-mantenere/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">promesse da mantenere</a>:&nbsp;</p>



<p><em>La sfida di un nuovo giornale sta nel coraggio dell’impegno che si assume.</em></p>



<p><em>C’è chi con il lavoro deve mantenerci una famiglia o solo se stesso.</em></p>



<p><em>C’è chi con il lavoro deve mantenere la calma.</em></p>



<p><em>C’è chi con il lavoro deve mantenere i tempi.</em></p>



<p><em>Ma le promesse, nel lavoro, chi le mantiene?</em></p>



<p>Noi abbiamo dato il massimo ogni mese, per otto anni, per mantenere le nostre promesse. <strong>Continueremo con ancora più maturità</strong>.</p>



<p>I mensili che si chiudono non lasciano buchi, ma allargano uno spazio per farci entrare altro, qualcosa in più. Intorno a noi sono cambiati intanto i tempi, le fisionomie e i ritmi dei lettori, la qualità dell’informazione, la fiducia nei giornali.&nbsp;</p>



<p>I nostri cavalli di battaglia non saranno mai in gabbia, <strong>il nostro giornalismo sarà sempre brado</strong>.&nbsp;</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/rubriche/editoriali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Editoriali</a></strong>.</em></p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p>Ci mancava solo la <strong>crisi energetica</strong> per il <strong>settore industriale</strong>. Il rincaro dei prezzi del gas e dell’elettricità ha toccato tutte le famiglie italiane, le attività e le imprese, ma in questo caso il vecchio adagio “mal comune mezzo gaudio” non è così applicabile. C’è chi stava male prima della crisi energetica, cioè le aziende i cui <strong>fascicoli</strong> sono da mesi sul tavolo del <strong>Mise</strong> (ministero dello Sviluppo Economico), ma in alcuni casi anche da anni, e che talvolta sono state toccate in modo più pesante dalla crisi figlia della speculazione.</p>



<p>Molte di queste sono le cosiddette <strong>aziende energivore</strong>, cioè quelle che hanno bisogno di più energia di altre per motivi legati al tipo di produzione. Tra queste spicca il <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/piero-gnudi-presidente-nomisma-acciaio-italiano-in-crisi-la-politica-puo-solo-facilitare-la-vendita-delle-aziende/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">settore dell’acciaio</a></strong>, quello che in Italia una volta portava il marchio Marcegaglia e che oggi lega il proprio nome ad Acciaierie Italia, meglio conosciuta come ILVA, società di fatto partecipata da Cassa Depositi e Prestiti e che da tempo ormai si regge su soldi pubblici.</p>



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<h2 id="h-crisi-aziendali-l-acciaio-maledetto-di-sanac-e-ilva">Crisi aziendali, l’acciaio maledetto di SANAC e ILVA</h2>



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<p><em>SenzaFiltro</em> nel febbraio 2020 decise di dare il via a un <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/osservatorio-crisi-aziendali-vi-teniamo-docchio/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">osservatorio delle crisi aziendali</a>, scoprendo una serie di storie aziendali che avevano meno eco sulle pagine della stampa nazionale.</p>



<p>L’idea era quella di raccontare chi non aveva voce se non per mano di qualche giornale locale, andando a <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage-109-aziende-sullorlo-di-una-crisi-di-nervi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>conoscere i protagonisti</strong>, <strong>operai</strong> e <strong>dirigenti</strong></a>, che spesso lavoravano senza sapere quale sarebbe stato il loro futuro. Tra queste scegliemmo la <strong>SANAC</strong>, una società di Massa Carrara, specializzata nella produzione di <strong>refrattari</strong>. Si tratta di una produzione fondamentale per il settore acciaio.</p>



<p><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sanac-sedotta-e-abbandonata-ancora-in-bilico-la-sorella-minore-dellilva/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">SANAC</a> fa parte dell&#8217;indotto dell’<strong>ex ILVA</strong>, o almeno ne faceva parte, perché si arrivò al blocco delle richieste delle forniture. La <strong>trattativa a tre</strong> (ministero, sindacato e nuova proprietà di ILVA) è stata lunga e complessa, ed è ancora in corso. Decidemmo di seguirne le evoluzioni con cadenza mensile, e quando sembrava ormai vicina una soluzione arrivò proprio la crisi energetica a complicare le cose: per costruire forni refrattari ci vuole tanto calore; l’impennata dei prezzi ha messo in ginocchio il settore e, di nuovo, la SANAC.</p>



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<h2 id="h-schivare-la-crisi-con-le-riconversioni-portvesme-cambia-produzione">Schivare la crisi con le riconversioni: Portvesme cambia produzione</h2>



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<p>C&#8217;è chi fino a prima della crisi energetica <strong>stava bene</strong> e non di pensava nemmeno a finire con altre società in difficoltà sul tavolo di un ministero.</p>



<p>È il caso della <strong>Portvesme</strong>, che è stata addirittura costretta a <strong>riconvertire</strong> la sua produzione. La società, che ha <strong>1.300 dipendenti</strong>, negli ultimi due anni ha subito perdite che si aggirano attorno ai cento milioni di euro l’anno, ma si stimava potessero andare oltre.</p>



<p>Si è così deciso di <strong>chiudere la linea del piombo</strong> a inizio 2023, ma si investirà su altri impianti per evitare che la produzione si fermi. Gli impianti a zinco e piombo verranno riconvertiti per produrre materiali che siano più appetibili su scala mondiale. La capogruppo Glencore ha allo studio la possibilità di investire su una linea di litio e di riconvertire l’impianto al piombo in uno di trasformazione di solfuri di nickel.</p>



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<h2 id="h-price-cap-per-il-gas-le-aziende-si-aspettavano-di-piu">Price cap per il gas: le aziende si aspettavano di più</h2>



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<p>Intanto l’Unione europea ha approvato il <strong>price cap</strong>, il cosiddetto tetto al gas che dovrebbe limitare il costo dell&#8217;energia.</p>



<p>Il parto è stato lungo e non ha visto tutti concordi. L’Olanda, Stato dove si trova la cosiddetta “borsa del gas”, assieme all’Austria si è astenuta, mentre l’Ungheria ha votato contro. La Germania, che mise il carro davanti ai buoi già in autunno, quando finanziò a pioggia la propria industria con contributi per l&#8217;energia, alla fine ha votato. Il tetto è <strong>180 euro al megawattora</strong>.</p>



<p>La notizia è stata meno dirompente di quanto si pensasse; mentre il Governo festeggiava la grande conquista, le borse e il mondo delle imprese hanno reagito in modo <strong>tiepido</strong>. <strong>Assolombarda</strong> ha parlato di un tetto troppo alto, <strong>Confagricoltura</strong> ne ha stigmatizzato i ritardi e il think tank <strong>Bruegel</strong>, con sede a Bruxelles, ha subito parlato di una soluzione che non risolve da sola la crisi. Insomma, la luce in fondo al tunnel è ancora lontana, e i <strong>21 miliardi</strong> che compongono la buona parte della prima <strong>manovra</strong> del <strong>governo Meloni</strong> sembrano una goccia nel mare. C’è molto altro da fare prima di arrivare a una soluzione.</p>



<p>Intanto l’Italia si trova non solo nella condizione di vedere messi a rischio tanti posti di lavoro, ma anche di perdere quel che rimane di uno degli asset fondamentali di ogni nazione, cioè la produzione dell’acciaio. Investitori all’orizzonte non se ne vedono, per il momento, e sembra chiaro che l’unico modo che il Paese ha di essere traghettato fuori dalla crisi del settore è quello di affidarsi ai fondi pubblici, che già da tempo, grazie anche alla cassa integrazione, stanno svolgendo questo ruolo.</p>



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<h2 id="h-ogni-tanto-un-lieto-fine-il-caso-di-saga-coffee">Ogni tanto, un lieto fine: il caso di SaGa Coffee</h2>



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<p>Chi dovrà farsi carico di questa situazione è senza dubbio il nuovo ministro del Welfare e del Lavoro <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/lettera-ministra-lavoro-marina-calderone/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Marina Elvira Calderone</a></strong>, che si trova a gestire i dossier di molte realtà italiane, alcune anche di primo piano.</p>



<p>I numeri dei cassintegrati e delle aziende in crisi, indotto compreso, non sono certo confortanti, ma una cosa in un anno di osservazione è balzata all’occhio: a fronte di società che hanno problemi ormai endemici e che si trascinano nel tempo (SANAC e Italtel, su tutti) ci siamo accorti di come <strong>molte delle crisi aziendali</strong> che abbiamo raccontato un anno fa <strong>si sono risolte</strong>.</p>



<p>Il caso più eclatante è senza dubbio quello della <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/le-lavoratrici-di-saga-coffee-si-salvano-da-sole/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">SaGa Coffee</a></strong> di Gaggio Montano, azienda di macchine per caffè che rischiava di chiudere soltanto perché si trovava in un luogo impervio, anche se dava lavoro a due o tre paesini piuttosto isolati sull’Appennino bolognese. Proprio pochi giorni dopo la nostra mattinata trascorsa con le operaie della fabbrica del bolognese è arrivata la firma dell’accordo sindacale che ha salvato i posti di lavoro, e anche l’economia dei piccoli centri montani.</p>



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<h2 id="h-il-ruolo-del-governo-nel-futuro-prossimo-delle-aziende-in-crisi">Il ruolo del Governo nel futuro prossimo delle aziende in crisi</h2>



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<p>I prossimi mesi saranno decisivi per molte altre realtà; solo nel mese di ottobre nell’elenco dei tavoli di crisi del ministero ne sono entrate altre due. La lista rischia di allungarsi e l’attenzione da parte del Governo deve rimanere alta, perché al di fuori dei grandi tavoli rimangono molte <strong>piccole realtà</strong> che sono costrette a ricorrere alla <strong>cassa integrazione</strong> con una serie di problematiche che spesso rimangono a livello territoriale.</p>



<p>La crescita dell’<strong>inflazione</strong> rischia di impattare ancora sul costo delle materie prime, e la <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/russia/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">guerra russo-ucraina</a></strong> va a pesare anche sulla bilancia commerciale italiana, che, stando agli ultimi dati forniti da ISTAT, per la prima volta dopo molto tempo ha <strong>dati negativi</strong> sia per quanto riguarda le <strong>importazioni</strong> che le <strong>esportazioni</strong>.</p>



<p>Il lungo inverno delle aziende italiane sembra quindi non finire, e il lavoro da fare per il nuovo governo è ancora lungo, nonostante anche gli interventi a sostegno che nei mesi scorsi sono stati messi in campo, tra gli altri, da Cassa Depositi e Prestiti, per porre un freno alle difficoltà economiche delle imprese italiane.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/crisi-aziendali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Crisi aziendali</a></strong>.</em></p>



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<p><strong><em>In copertina le lavoratrici della SaGa Coffee di Gaggio Montano, foto di Lara Mariani</em></strong></p>



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Crisi aziendali? Il Governo farebbe prima a intitolargli un ministero

<p>Non è chiaro se si tratti di pudore in una società che ha eretto come modelli vincenti i ricchi, mettendo, i <strong>poveri</strong> in una sorta di <strong>oblio fatto di invisibilità</strong>, <strong>stigma sociale</strong> da parte di chi non è povero (o ha paura di diventarlo), e di senso di vergogna da parte di chi invece la povertà la vive e, spesso la subisce.</p>
<p>Se da una parte, secondo il ventunesimo rapporto <em>L’anello debole</em> redatto dalla Caritas italiana, <strong>la povertà si eredita</strong>, è lo stesso presidente <strong>Carlo Redaelli</strong> ad affermare come sia cambiato l’identikit delle persone in stato di indigenza che si ritrovano a dover chiedere aiuto: “Nei nostri centri arrivano i figli e i nipoti di quelli che venivano una volta. Per <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-mismatch-allitaliana-che-ha-fermato-lascensore-sociale-i-meriti-dei-padri-ricadono-sui-figli/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">uscire dalla povertà in Italia</a></strong> occorrono <strong>cinque generazioni</strong>, nei Paesi del Nord Europa due”.</p>
<p>La fotografia della nuova povertà sta tutta qui: il passaggio di consegne tra anziani e giovani che se ne sono scambiati il testimone.</p>
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<h2 id="h-poverta-assoluta-i-giovani-superano-gli-anziani-il-passaggio-di-testimone-che-non-volevamo">Povertà assoluta, i giovani superano gli anziani: il passaggio di testimone che non volevamo</h2>
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<p>Dal 2005 a oggi la povertà, oltre a essere triplicata passando dagli 1,9 milioni di individui del 2005 ai circa <strong>5,6 milioni in povertà assoluta nel 2021</strong>, secondo lo studio dell’ISTAT <em>Povertà in Italia</em> pubblicato lo scorso mese di giugno, ha fatto altresì registrare un’inversione di tendenza per certi versi drammatica. Il risultato è che dal 2005 a oggi abbiamo assistito a un ricambio generazionale all’incontrario, con gli anziani che non hanno lasciato in consegna ai <strong>giovani</strong> il lavoro e il futuro, bensì il <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/poveri-ragazzi-i-giovani-ereditano-il-primato-dellindigenza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">primato della povertà assoluta</a></strong>.</p>
<p>In questo è evidente come anche il <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/povero-lavoro-o-lavoro-povero/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">lavoro povero</a></strong> abbia rappresentato per i giovani un’ulteriore zavorra che li ha portati a star peggio degli individui più anziani, ormai in pensione. E quindi anche il meccanismo semplicistico con cui tendiamo a credere che per un anziano che va in pensione c’è un giovane che entra nel mondo del lavoro è divenuto anacronistico e non supportato dai dati, che ci dicono esattamente l’opposto.</p>
<p>Ci ritroviamo tra paradosso e stortura. Non aiuta il fatto che la stessa ISTAT, attraverso il suo report <em>Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni</em> per il 2021, certifichi come il nostro Paese stia invecchiando sempre di più, senza soluzione di continuità. <strong>L’età media in Italia</strong>, infatti, passa dai 43 anni del 2011 ai <strong>46</strong> del 2021.</p>
<p>Quale Paese a invecchiamento costante potrebbe accettare che la povertà assoluta rimanga in capo ai giovani senza invertire la tendenza, anche in maniera radicale, pensando anche a qualcosa di diverso dalle ricette tradizionali proposte da qualche economista di punta?</p>
<p>Mantenendo il focus sui giovani, è chiaro che se detengono la povertà assoluta risulta davvero difficile meravigliarsi del fatto poi che il nostro Paese nel <strong>2050</strong> potrebbe arrivare ad avere – secondo i dati illustrati dall’ISTAT agli Stati Generali della Natalità presentati lo scorso mese di maggio – anche <strong>cinque milioni di abitanti in meno</strong>.</p>
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<h2 id="h-prima-di-pensare-alla-denatalita-dovremmo-tutelare-le-famiglie-il-rdc-e-la-commissione-saraceno">Prima di pensare alla denatalità, dovremmo tutelare le famiglie: il RdC e la commissione Saraceno</h2>
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<p>A questo punto, le grida di dolore che giungono da più parti sulla necessità di arrestare il crollo delle nascite, al fine di garantire un futuro sostenibile all’Italia, sembrano stridere con la triste realtà dei fatti; soprattutto ai giovani. Da Papa Francesco al Presidente della Repubblica, passando per i politici di ogni schieramento nelle varie dichiarazioni sul crollo delle nascite nel nostro Paese, stracciarsi le vesti serve a poco.<strong> Emergenza sociale</strong>, povertà per tutti, famiglie senza figli, dramma della <strong>denatalità</strong> sono solo alcune delle dichiarazioni un tanto al chilo che leggiamo non appena viene pubblicato qualche altro dato sulla crescita zero del nostro Paese.</p>
<p>Il paradosso è tutto qui: se le <strong>famiglie senza figli</strong> sono la <strong>nuova povertà</strong> che (ci) spaventa così tanto, mi chiedo come sia possibile che le stesse famiglie italiane, con molti figli e in situazione di povertà assoluta, siano state addirittura <strong>lasciate fuori</strong> dalla possibilità di usufruire del <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reddito-di-cittadinanza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Reddito di Cittadinanza</a></strong>, come aveva <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/chiara-saraceno-rdc-da-riformare-orlando-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">dichiarato a <em>SenzaFiltro</em> la sociologa Chiara Saraceno</a>.</p>
<p>“Per quanto riguarda il Reddito, poi, la scala di equivalenza è squilibrata a sfavore dei minorenni, che contano la metà degli adulti. Ciò fa sì che <strong>famiglie numerose</strong> <strong>abbiano più difficoltà ad accedere al sussidio</strong>, perché la soglia di accesso è più generosa per i nuclei con soli adulti rispetto a quelli con minorenni.”</p>
<p>La studiosa era stata chiamata dall’ex ministro del lavoro <strong>Andrea Orlando</strong> a presiedere l’<strong>Osservatorio sul Reddito di Cittadinanza</strong>, dove aveva fatto presente anche questa anomalia. In seguito, ha denunciato che tutte le istanze e le <strong>migliorie proposte</strong> sono state <strong>ignorate</strong>.</p>
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<h2 id="h-il-diritto-al-lavoro-che-in-italia-non-abbiamo-mai-tutelato">Il diritto al lavoro che in Italia non abbiamo mai tutelato</h2>
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<p>Ora se dei giovani e della povertà che li attanaglia <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-114/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">abbiamo scritto</a>, senza dimenticare che molti di essi – tre milioni – sono anche NEET, andrebbe analizzata anche la questione di genere che vede le <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gender-pay-gap-quello-che-alle-donne-non-pagano/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>donne</strong></a> subire lo stigma della povertà.</p>
<p>Considerando come le caratteristiche della povertà risiedano in primis nella <strong>mancanza di lavoro</strong>, specie se si considerano i bassi tassi di occupazione delle donne, spesso costrette a lavorare part time o a lasciare il lavoro, si evidenzia il bisogno di un sistema di <strong>welfare </strong>e di protezione sociale che provi per una volta a importare le best practice tipiche dei Paesi nordici.</p>
<p>Se molti nel nostro Paese non hanno mai potuto toccare con mano una vera conciliazione tra famiglia e lavoro, come possiamo gridare allo scandalo per la bassa natalità che contraddistingue il nostro Paese se non ammettendo il fatto che <strong>la povertà sta intaccando il tessuto sociale italiano</strong> <strong>nel profondo</strong>, e rischia di travolgere tutto con una sorta di effetto domino?</p>
<p>Occorre agire e invertire la tendenza, combattendo contro i dati – impietosi – che vengono snocciolati su povertà, giovani, donne e invecchiamento di un Paese che sembra a volte cullarsi fin troppo sul benessere degli anziani, chiudendo gli occhi davanti ad una generazione che non vede futuro se non scegliendo di andarsene altrove.</p>
<p>Non è più tempo per le riflessioni. Occorre che la <strong>politica</strong> agisca concretamente per consentire ai giovani, alle donne di questo Paese di vedere davvero agito l’articolo 4 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.</p>
<p>Occorre legiferare, sul serio, con provvedimenti lungimiranti e concreti. Dicono che la nostra Costituzione sia una delle più belle del mondo, ma se la facciamo rimanere lettera morta la bellezza serve a poco, se non a provare a nascondere la mancanza di sostanza.</p>
<p>Si parlava di povertà, non a caso: neanche questo possiamo (più) permettercelo.</p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
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<p><strong><em>In copertina foto di Manuel Alvarez da Pixabay</em></strong></p>


dilieto

DiLieto

Norman Di Lieto

Ha due passioni: la Moda e il Giornalismo che sono diventati anche la sua attività professionale. Ha lavorato per Fratelli Rossetti, Loro Piana, Trussardi e Gucci. Si è laureato – lavorando a tempo pieno – alla Facoltà di Comunicazione in Relazioni Pubbliche e Pubblicità all’Università Iulm di Milano con una Tesi sulle Relazioni con i media nelle aziende della moda. Si è specializzato in Comunicazione per gli addetti stampa alla Scuola di Comunicazione Iulm di Milano. È stato cultore della materia in Comunicazione d’impresa all’Università di Modena e Reggio Emilia e all’Università E-campus di Novedrate e capo-redattore di Flipmagazine, giornale on line internazionale. Contributor in manuali di comunicazione d’impresa editi da Laterza e dal Sole 24Ore. Ha conseguito un Master in marketing dei beni di lusso alla Business School del Sole 24Ore. Ha seguito a Parigi dal 2012 al 2017 le Relazioni sociali del Gruppo Kering, player mondiale del Lusso. Nel 2017 è stato Addetto stampa per Open Corporation &#8211; progetto sulla trasparenza delle Aziende Multinazionali ideato da Filcams Cgil e cofinanziato dalla Commissione europea. Nel 2018 ha seguito come Consulente un nuovo Brand del Lusso viaggiando tra Milano e Pechino. Nello stesso anno ha ideato, insieme al suo Team, una Start-Up &#8211; selezionata tra le finaliste da Speed Mi Up &#8211; incubatore di Start-Up fondato da Università Bocconi e Camera di Commercio di Milano con il supporto del Comune di Milano. Dal 2019 si occupa di Ufficio stampa come freelance ed è moderatore di dibattiti pubblici. Tra il 2020 e il 2022 ha coordinato per SenzaFiltro, prima la rubrica Zona Franca per poi occuparsi dei mensili del giornale, fino alla fine del 2022. Ha collaborato con Massimo Fini. E&#8217; giornalista pubblicista e ha scritto un Romanzo: &#8220;Di Tanto Amore&#8221;.

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I giovani hanno ereditato dagli anziani il primato nella povertà, ma la denatalità minaccia di intaccare anche welfare e pensioni in un&#8217;Italia dall&#8217;ascensore sociale bloccato: le notizie degli ultimi mesi che SenzaFiltro ha dato prima di tutti. Ma non era una profezia.

Molto vecchi, poco giovani e comunque poveri. Ritratto degli italiani del 2050 - Informazione senza filtro

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<p>Il destino dei giovani non si trasmette col sangue.</p>



<p>La frase che ispira il titolo a questo pezzo è di <strong>Giuseppe Finocchio</strong>, ventuno anni, studente universitario. Una frase che potrebbe stare sulla copertina di un best seller e vivere in eterno di ristampe. All’<strong>Università per Stranieri di Siena </strong>fa un corso turistico per l’imprenditoria, studia spagnolo e portoghese. Qui ci è arrivato da Alberobello.</p>



<p>Quando la pronuncia stiamo già parlando da un quarto d’ora: siamo noi e due sue colleghe di studi, li ho invitati a collegarci su Google Meet per conoscerli più a fondo, anche dagli occhi; e poi sentirli solo al telefono, uno alla volta, non mi sarebbe bastato. Ormai mi conosco. Mentre pronuncia quella frase a me viene un sussulto: io alla sua età non sarei stata capace di dirla, pur pensandola, e chissà quanti ieri e oggi come me.</p>



<p><strong>Miriana Ciminello</strong> studia coreano e giapponese, l’inglese come lingua base, il sogno di lavoro per adesso l’ha appoggiato in Corea, meglio se legato all’arte. Lei è calabrese, di Polistena, ventitré anni: con Giuseppe si incrocia solo alle lezioni di Storia dell’arte contemporanea.</p>



<p><strong>Arianna Giachini</strong> di anni ne ha venti, studia spagnolo e inglese, ma il primo anno è stata anche a contatto con una professoressa di cinese che le è servita per conoscere un mondo e un modo diverso da quello europeo. Viene da Poggibonsi.</p>



<p>Sono tra gli studenti del corso universitario di Storia dell’arte contemporanea che hanno allestito la mostra <strong>“</strong><strong>Sguardi plurali sull</strong><strong>’</strong><strong>Italia plurale</strong>”, inaugurata da pochi giorni. Il cappello è un progetto didattico chiamato La Straniera | Il laboratorio delle mostre: uno spazio di incontro aperto alla presentazione di libri, progetti espositivi e iniziative culturali incentrati sulla missione profonda dell’Ateneo, che sta <strong>nel far parlare le culture tra culture</strong>.</p>



<p>Al centro della mostra c’è una raccolta di testimonianze e racconti visivi sul quotidiano di fotografi under 35, nati all’estero o in Italia da genitori di origini straniere: giovani che vivono o hanno vissuto un’esperienza di migrazione sulla pelle propria o della propria famiglia e che hanno scelto di puntare macchina e obiettivo proprio sugli <strong>immaginari collettivi legati alla migrazione</strong>.&nbsp;</p>



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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/gruppo-di-lavoro-mostra-1-scaled.jpg"><img width="740" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/gruppo-di-lavoro-mostra-1-740x1024.jpg" alt="" class="wp-image-53344" /></a><figcaption class="wp-element-caption">Il gruppo di studenti di Storia dell&#8217;arte contemporanea dell&#8217;Università per Stranieri di Siena <br>durante l&#8217;allestimento della mostra &#8220;Sguardi plurali sull&#8217;Italia plurale&#8221;</figcaption></figure></div>


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<p>Il rettore della Università per Stranieri di Siena <strong><a href="https://youtu.be/XTHG2_a3DZ0" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Tomaso Montanari</a></strong> non cede di un millimetro sul suo mandato, inventa, innesta, protegge il sacro della diversità a ogni passo e gli studenti gliene sono grati oggi, ancor di più lo saranno domani. A guidarli nell’allestimento della mostra, e in tutte le fasi preparatorie, c’è <strong>Caterina Toschi</strong>, docente di&nbsp;Storia&nbsp;dell’arte contemporanea e di Storia della fotografia. Un modo per farli sentire studenti e professionisti al tempo stesso, simulando presente e futuro.</p>



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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/mostra.png"><img width="1024" height="674" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/mostra-1024x674.png" alt="" class="wp-image-53345" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-una-generazione-senza-paura-delle-diversita-presenti-e-passate">Una generazione senza paura delle diversità, presenti e passate</h2>



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<p>“Cosa vi colpisce di questa mostra, cosa vi ha detto?”.</p>



<p>Lo chiedo a tutti e tre ma Arianna interviene d’istinto, ha bisogno di dirmelo subito che “<strong>Non ci siamo solo noi in Italia</strong>. Esistono e convivono diverse etnie e diverse culture, ma non tutti lo capiscono, lo sentono. Noi giovani siamo già molto diversi dai nostri genitori, ce ne accorgiamo. Spero che questo processo continui sempre così, verso un’apertura spontanea con l’altro, diffusa in modo naturale”.</p>



<p>“Soprattutto nella nostra Università per Stranieri questo messaggio dell’<strong>includere una diversità, una differenza da noi</strong>, si rafforza ogni giorno e nemmeno ce ne rendiamo conto”. Miriana è orgogliosa del posto in cui studia. “C’è chi magari non ce l’ha proprio di natura, questa resistenza, ma stando qui si affievolisce anche in chi arriva con una iniziale distanza da persone provenienti da culture esterne. <strong>La nostra generazione non ce l’ha, però, questa paura</strong>”.</p>



<p>Arianna e Giuseppe fanno sì con la testa anche loro, li vedo a video, e non serve una parola in più. Sanno alla perfezione che le famiglie da cui arrivano giocano carte pesanti, ma altrettanto bene sanno di poter passare la mano davanti al loro gioco, sanno di poter aspettare altre carte o cercarsele da soli.</p>



<p>“Mio padre mi racconta da quando sono piccolo che lui, già a otto anni, metteva le forchette al ristorante di mio nonno.<strong> I nostri genitori</strong> crescevano ancora dentro famiglie che li consideravano<strong> potenziali forze lavoro</strong>, il futuro era già programmato, poche vie di scelta e di fuga. <strong>Ma</strong> <strong>il destino non è qualcosa che si manda col sangue</strong> e la nostra generazione lo sa, per fortuna lo ha capito.”</p>



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<h2 id="h-i-giovani-secondo-senzafiltro-nobilita-e-come-se-non-ci-fosse-un-domani">I giovani secondo <em>SenzaFiltro</em>: Nobìlita e <em>Come se (non) ci fosse un domani</em></h2>



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<p>Quando parli coi giovani ti chiedi quanto siano stretti i numeri dentro cui i nostri tempi continuano a sacrificarli in nome delle classifiche e dei dati da sputare come ossi. Alla <strong>politica</strong> e al <strong>giornalismo</strong> interessa poco delle vite che vivono o dei lavori che sognano, la <strong>scuola</strong> arranca tra burocrazia e PCTO, ma perdendo pezzi della sua vocazione maestra, che sarebbe quella di <strong>offrire loro un via per conoscere sé stessi</strong>.</p>



<p>Quando a inizio 2022 iniziammo a lavorare sul numero cartaceo di <em>SenzaFiltro</em> dedicato ai <strong>giovani</strong> e al rapporto che hanno con la <strong>formazione</strong> e col <strong>lavoro</strong>, il titolo che ci venne d’istinto fu <strong><em><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-113/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Come se (non) ci fosse un domani</a></em></strong>, mettendo tra parentesi il <em>non </em>e portando un messaggio costruttivo nonostante la debolezza del sistema<em>.</em></p>



<p>Abbiamo lavorato per mesi a fianco degli studenti universitari guidati dal professor <strong>Lucio Zanca</strong>, ideatore e fondatore del progetto <strong>Spoilerbox</strong> per i ragazzi che si affacciano al mercato. Riunioni di redazione con loro, tante riunioni di redazione, per capire senza mezze misure cosa non sapessero del mercato del lavoro, cosa non conoscessero delle normative e dei contatti, cosa non avessero in testa quando pensano a un colloquio di selezione, come non fossero capaci di distinguere un posto fisso da una vita da freelance, cosa non sapessero dei salari. La premessa era stata una sola con questi quindici studenti: farli sentire <strong>liberi di chiedere</strong>, qualsiasi domanda, soprattutto le più ingenue.</p>



<p>La verità è che <strong>l’Italia ha smesso da anni di voler restare giovane</strong>. I giovani li fa entrare a fatica nel mercato del lavoro, li illude che il <strong>Next Generation EU</strong> sia il salvavita sul loro futuro quando invece c’è solo un grande inganno dietro il nome: per gli under 35 è stato infatti stanziato appena l’<strong>8% dei fondi del piano</strong>, con lo scopo di aumentare l’occupazione di tre punti percentuali entro il 2026; per non parlare delle quattro parole con cui li stordiamo da anni: digitalizzazione, innovazione, competitività, rivoluzione verde.</p>



<p>Abbiamo spalmato il futuro dei giovani qua e là dentro gli assi del <strong>PNRR</strong> senza una cultura del lavoro effettiva e al Paese è bastato per applaudire. Se ne riparla tra una decina d’anni.</p>



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<h2 id="h-i-giovani-come-li-guardiamo-e-come-si-guardano-loro">I giovani come li guardiamo, e come si guardano loro</h2>



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<p>L’idea che mi sono fatta col giornalismo di <em>SenzaFiltro</em>, in questi otto anni, è che i giovani chiedono tempo al lavoro anche perché non sanno come chiedere spazio: la società li continua a espellere e loro – poca capacità di combattere, poco linguaggio, poca autostima – finiscono per <strong>sognare o l’estero o i soldi</strong>, comunque sia un surrogato di ciò che vorrebbero e dovrebbero essere.</p>



<p>In questi anni abbiamo tracciato la loro <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gianni-aversano-e-il-test-ai-nuovi-alunni-del-liceo-cosa-ti-fa-paura-labbandono-prof/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">paura di abbandono</a>, la loro <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/poveri-ragazzi-i-giovani-ereditano-il-primato-dellindigenza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">estrema povertà economica</a>, la loro <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/generazione-covid-giovani-traditi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">salute mentale</a> funambola e precaria; abbiamo parlato di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/neet-rimasti-indietro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">NEET</a>, di abbandonati, di abbandono.</p>



<p>Riapro la newsletter che avevo ricevuto dall’Università per Stranieri di Siena e mi accorgo che mi erano sfuggite le due righe finali sulla notizia di lancio della mostra: “Col proposito di riflettere su come l’immaginario collettivo intorno ai temi dell’appartenenza e dell’alterità sia il frutto di come ci guardiamo”. È quello che ho capito grazie a Miriana, Arianna, Giorgio, e a chi come loro si ostina a voler essere giovane a vent’anni, anche se l’Italia li butta fuori o <strong>li fa sentire inutili come i vecchi</strong>; i vecchi come categoria gerarchica e dello spirito, non i vecchi all’anagrafe.</p>



<p>Questi giovani hanno bisogno di <strong>guardarsi</strong>. Certo non bastano le loro buone idee a cambiare il Paese, il vivere fluidi, l’essere nomadi, l’inclusione del diverso come dote naturale; però a me sembrano già grandi doti per spostare gli architravi culturali del lavoro, sottotraccia, lentamente, aspettando Godot al ministero del Lavoro.</p>



<p></p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/generazioni/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Generazioni</a></strong>.</em></p>



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<p><strong><em>Foto di Alexander Grey da Pexels</em></strong></p>



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Il destino dei giovani non si trasmette col sangue

<p>Ci mancava solo la <strong>crisi energetica</strong> per il <strong>settore industriale</strong>. Il rincaro dei prezzi del gas e dell’elettricità ha toccato tutte le famiglie italiane, le attività e le imprese, ma in questo caso il vecchio adagio “mal comune mezzo gaudio” non è così applicabile. C’è chi stava male prima della crisi energetica, cioè le aziende i cui <strong>fascicoli</strong> sono da mesi sul tavolo del <strong>Mise</strong> (ministero dello Sviluppo Economico), ma in alcuni casi anche da anni, e che talvolta sono state toccate in modo più pesante dalla crisi figlia della speculazione.</p>
<p>Molte di queste sono le cosiddette <strong>aziende energivore</strong>, cioè quelle che hanno bisogno di più energia di altre per motivi legati al tipo di produzione. Tra queste spicca il <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/piero-gnudi-presidente-nomisma-acciaio-italiano-in-crisi-la-politica-puo-solo-facilitare-la-vendita-delle-aziende/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">settore dell’acciaio</a></strong>, quello che in Italia una volta portava il marchio Marcegaglia e che oggi lega il proprio nome ad Acciaierie Italia, meglio conosciuta come ILVA, società di fatto partecipata da Cassa Depositi e Prestiti e che da tempo ormai si regge su soldi pubblici.</p>
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<h2 id="h-crisi-aziendali-l-acciaio-maledetto-di-sanac-e-ilva">Crisi aziendali, l’acciaio maledetto di SANAC e ILVA</h2>
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<p><em>SenzaFiltro</em> nel febbraio 2020 decise di dare il via a un <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/osservatorio-crisi-aziendali-vi-teniamo-docchio/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">osservatorio delle crisi aziendali</a>, scoprendo una serie di storie aziendali che avevano meno eco sulle pagine della stampa nazionale.</p>
<p>L’idea era quella di raccontare chi non aveva voce se non per mano di qualche giornale locale, andando a <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage-109-aziende-sullorlo-di-una-crisi-di-nervi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>conoscere i protagonisti</strong>, <strong>operai</strong> e <strong>dirigenti</strong></a>, che spesso lavoravano senza sapere quale sarebbe stato il loro futuro. Tra queste scegliemmo la <strong>SANAC</strong>, una società di Massa Carrara, specializzata nella produzione di <strong>refrattari</strong>. Si tratta di una produzione fondamentale per il settore acciaio.</p>
<p><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sanac-sedotta-e-abbandonata-ancora-in-bilico-la-sorella-minore-dellilva/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">SANAC</a> fa parte dell&#8217;indotto dell’<strong>ex ILVA</strong>, o almeno ne faceva parte, perché si arrivò al blocco delle richieste delle forniture. La <strong>trattativa a tre</strong> (ministero, sindacato e nuova proprietà di ILVA) è stata lunga e complessa, ed è ancora in corso. Decidemmo di seguirne le evoluzioni con cadenza mensile, e quando sembrava ormai vicina una soluzione arrivò proprio la crisi energetica a complicare le cose: per costruire forni refrattari ci vuole tanto calore; l’impennata dei prezzi ha messo in ginocchio il settore e, di nuovo, la SANAC.</p>
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<h2 id="h-schivare-la-crisi-con-le-riconversioni-portvesme-cambia-produzione">Schivare la crisi con le riconversioni: Portvesme cambia produzione</h2>
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<p>C&#8217;è chi fino a prima della crisi energetica <strong>stava bene</strong> e non di pensava nemmeno a finire con altre società in difficoltà sul tavolo di un ministero.</p>
<p>È il caso della <strong>Portvesme</strong>, che è stata addirittura costretta a <strong>riconvertire</strong> la sua produzione. La società, che ha <strong>1.300 dipendenti</strong>, negli ultimi due anni ha subito perdite che si aggirano attorno ai cento milioni di euro l’anno, ma si stimava potessero andare oltre.</p>
<p>Si è così deciso di <strong>chiudere la linea del piombo</strong> a inizio 2023, ma si investirà su altri impianti per evitare che la produzione si fermi. Gli impianti a zinco e piombo verranno riconvertiti per produrre materiali che siano più appetibili su scala mondiale. La capogruppo Glencore ha allo studio la possibilità di investire su una linea di litio e di riconvertire l’impianto al piombo in uno di trasformazione di solfuri di nickel.</p>
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<h2 id="h-price-cap-per-il-gas-le-aziende-si-aspettavano-di-piu">Price cap per il gas: le aziende si aspettavano di più</h2>
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<p>Intanto l’Unione europea ha approvato il <strong>price cap</strong>, il cosiddetto tetto al gas che dovrebbe limitare il costo dell&#8217;energia.</p>
<p>Il parto è stato lungo e non ha visto tutti concordi. L’Olanda, Stato dove si trova la cosiddetta “borsa del gas”, assieme all’Austria si è astenuta, mentre l’Ungheria ha votato contro. La Germania, che mise il carro davanti ai buoi già in autunno, quando finanziò a pioggia la propria industria con contributi per l&#8217;energia, alla fine ha votato. Il tetto è <strong>180 euro al megawattora</strong>.</p>
<p>La notizia è stata meno dirompente di quanto si pensasse; mentre il Governo festeggiava la grande conquista, le borse e il mondo delle imprese hanno reagito in modo <strong>tiepido</strong>. <strong>Assolombarda</strong> ha parlato di un tetto troppo alto, <strong>Confagricoltura</strong> ne ha stigmatizzato i ritardi e il think tank <strong>Bruegel</strong>, con sede a Bruxelles, ha subito parlato di una soluzione che non risolve da sola la crisi. Insomma, la luce in fondo al tunnel è ancora lontana, e i <strong>21 miliardi</strong> che compongono la buona parte della prima <strong>manovra</strong> del <strong>governo Meloni</strong> sembrano una goccia nel mare. C’è molto altro da fare prima di arrivare a una soluzione.</p>
<p>Intanto l’Italia si trova non solo nella condizione di vedere messi a rischio tanti posti di lavoro, ma anche di perdere quel che rimane di uno degli asset fondamentali di ogni nazione, cioè la produzione dell’acciaio. Investitori all’orizzonte non se ne vedono, per il momento, e sembra chiaro che l’unico modo che il Paese ha di essere traghettato fuori dalla crisi del settore è quello di affidarsi ai fondi pubblici, che già da tempo, grazie anche alla cassa integrazione, stanno svolgendo questo ruolo.</p>
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<h2 id="h-ogni-tanto-un-lieto-fine-il-caso-di-saga-coffee">Ogni tanto, un lieto fine: il caso di SaGa Coffee</h2>
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<p>Chi dovrà farsi carico di questa situazione è senza dubbio il nuovo ministro del Welfare e del Lavoro <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/lettera-ministra-lavoro-marina-calderone/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Marina Elvira Calderone</a></strong>, che si trova a gestire i dossier di molte realtà italiane, alcune anche di primo piano.</p>
<p>I numeri dei cassintegrati e delle aziende in crisi, indotto compreso, non sono certo confortanti, ma una cosa in un anno di osservazione è balzata all’occhio: a fronte di società che hanno problemi ormai endemici e che si trascinano nel tempo (SANAC e Italtel, su tutti) ci siamo accorti di come <strong>molte delle crisi aziendali</strong> che abbiamo raccontato un anno fa <strong>si sono risolte</strong>.</p>
<p>Il caso più eclatante è senza dubbio quello della <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/le-lavoratrici-di-saga-coffee-si-salvano-da-sole/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">SaGa Coffee</a></strong> di Gaggio Montano, azienda di macchine per caffè che rischiava di chiudere soltanto perché si trovava in un luogo impervio, anche se dava lavoro a due o tre paesini piuttosto isolati sull’Appennino bolognese. Proprio pochi giorni dopo la nostra mattinata trascorsa con le operaie della fabbrica del bolognese è arrivata la firma dell’accordo sindacale che ha salvato i posti di lavoro, e anche l’economia dei piccoli centri montani.</p>
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<h2 id="h-il-ruolo-del-governo-nel-futuro-prossimo-delle-aziende-in-crisi">Il ruolo del Governo nel futuro prossimo delle aziende in crisi</h2>
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<p>I prossimi mesi saranno decisivi per molte altre realtà; solo nel mese di ottobre nell’elenco dei tavoli di crisi del ministero ne sono entrate altre due. La lista rischia di allungarsi e l’attenzione da parte del Governo deve rimanere alta, perché al di fuori dei grandi tavoli rimangono molte <strong>piccole realtà</strong> che sono costrette a ricorrere alla <strong>cassa integrazione</strong> con una serie di problematiche che spesso rimangono a livello territoriale.</p>
<p>La crescita dell’<strong>inflazione</strong> rischia di impattare ancora sul costo delle materie prime, e la <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/russia/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">guerra russo-ucraina</a></strong> va a pesare anche sulla bilancia commerciale italiana, che, stando agli ultimi dati forniti da ISTAT, per la prima volta dopo molto tempo ha <strong>dati negativi</strong> sia per quanto riguarda le <strong>importazioni</strong> che le <strong>esportazioni</strong>.</p>
<p>Il lungo inverno delle aziende italiane sembra quindi non finire, e il lavoro da fare per il nuovo governo è ancora lungo, nonostante anche gli interventi a sostegno che nei mesi scorsi sono stati messi in campo, tra gli altri, da Cassa Depositi e Prestiti, per porre un freno alle difficoltà economiche delle imprese italiane.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/crisi-aziendali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Crisi aziendali</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
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<p><strong><em>In copertina le lavoratrici della SaGa Coffee di Gaggio Montano, foto di Lara Mariani</em></strong></p>
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Andrea Ballone

Lavora come giornalista da più di vent&#8217;anni. Collabora con Oggi, La Stampa e La Provincia Pavese. In passato ha scritto articoli per l&#8217;Espresso, il Sole 24 Ore e il Mondo. Si occupa di lavoro, scuola, pubblica amministrazione, volontariato, ambiente e criminalità organizzata. Su questo tema ha scritto anche il libro &#8220;Pizza, sangue e videopoker&#8221;, in collaborazione con l&#8217;associazione antimafia Libera, nel quale si ricostruisce l&#8217;ascesa di alcuni clan criminali nel Nord Italia.

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Andrea Ballone - Informazione senza filtro

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#crisiaziendali - Informazione senza filtro

I prezzi dell&#8217;energia e la guerra le hanno peggiorate o ne hanno aperte di nuove: l&#8217;Italia è un Paese in cui crisi non è sinonimo di opportunità. Alcuni dei casi più significativi tra quelli che abbiamo seguito e una previsione su ciò che ci aspetta in futuro.

Crisi aziendali? Il Governo farebbe prima a intitolargli un ministero - Informazione senza filtro

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<p>Questo articolo è composto da 1.753 parole, che poi corrispondono a 11.120 battute, spazi inclusi. L’utente medio impiegherebbe poco meno di 9 minuti per leggerlo; il punto è che non lo farà. Non per intero, non fino alla fine.</p>



<p>I <strong>tempi di lettura degli articoli</strong> sono una preoccupazione nuova nelle redazioni dei giornali, un regalo del digitale derivato dagli analytics e da tutte le micro-cabale che servono a divinare le prestazioni dei contenuti online: se un pezzo con poche visualizzazioni è un buco nell’acqua, uno con bassi tempi di consultazione è una potenziale catastrofe che adombra la capacità di autrici e autori di coinvolgere il pubblico, e quella degli editor di valorizzare i contenuti. Senza lettori è difficile fare giornalismo, del resto.</p>



<p>Un brutto cliente, i lettori. In fuga perenne, sempre distratti da qualche altro contenuto – consultato su schermi sempre più piccoli – e con un budget di attenzione ristretto che è difficile quantificare in minuti, decine di secondi, forse ancora meno. <strong>Ma che cosa volete, voi lettori? </strong>Volete effettivamente qualcosa, oppure aspettate solo di essere circuiti da una sfilza di accorgimenti testuali semplificativi? Insomma, è vero quel che si dice di voi? Abbiamo raccolto qualche dato per trovare delle risposte.</p>



<p>Per inciso, <strong>questo è più o meno il punto in cui l’utente medio smetterebbe di leggere</strong>. Arrivederci a lui.</p>



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<h2 id="h-il-tempo-di-lettura-degli-italiani-si-stava-meglio-quando-si-stava-offline">Il tempo di lettura degli italiani. Si stava meglio quando si stava offline</h2>



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<p><strong>I lettori di giornali stanno aumentando</strong>, pare. Da qualche tempo la stampa italiana festeggia una tenue tendenza positiva confermata dal secondo ciclo di dati Audipress 2022, che registrano un aumento della “readership su carta” dell’1,2% per i quotidiani, dello 0,9% per i settimanali e del 4% per i mensili. Questo porta il numero di italiani che consultano un titolo di stampa a 32,2 milioni su 53, pari al 60,7% della popolazione adulta; tra questi figurano <strong>6,5 milioni di lettori digitali</strong>, in aumento del 9% sulla rilevazione precedente.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine1.png"><img width="602" height="339" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine1.png" alt="" class="wp-image-53346" /></a><figcaption class="wp-element-caption"><em>Fonte: dati Audipress 2022/II</em></figcaption></figure></div>


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<p>Questo dato, tuttavia, nulla dice del <strong>tempo</strong> che quei lettori investono a consultare le pubblicazioni. Per farsene un’idea occorre incrociarlo con altre informazioni.</p>



<p>Il<strong> tempo trascorso sul web </strong>dall’utenza globale a ottobre 2022 ha raggiunto le 6 ore e 37 minuti pro capite al giorno, come testimonia tra gli altri l’aggregatore <em>datareportal.com</em>; il <strong>dato</strong> <strong>italiano</strong> è più basso, con 6 ore e 1 minuto, entrambe cifre in lieve flessione rispetto al periodo precedente.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/daily-time-internet.png"><img width="1024" height="576" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/daily-time-internet-1024x576.png" alt="" class="wp-image-53478" /></a><figcaption class="wp-element-caption"><em>Fonte: datareport.com su dati di GWI</em></figcaption></figure>



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<p>Per scendere ancora più nel dettaglio occorre fare riferimento all’ultimo rapporto Audiweb relativo alle abitudini dell’utenza italiana, che sempre a ottobre ha trascorso in media <strong>1 ora e 13 minuti al mese</strong> <strong>su siti di informazione</strong> di vario genere.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine3.png"><img width="602" height="415" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine3.png" alt="" class="wp-image-53350" /></a></figure></div>


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<p>Una volta tradotto su base quotidiana il dato diventa brutale: gli italiani hanno dedicato <strong>2 minuti e 35 secondi</strong> <strong>al giorno</strong> alla lettura di notizie online. Il tempo di leggere 470 parole, più o meno come se l’articolo si interrompesse in questo punto e non ne leggeste altri fino a domani. E c’è di peggio, perché confrontando i dati con quegli degli <strong>anni precedenti</strong> si nota una <strong>diminuzione</strong> piuttosto costante nei tempi di lettura così ricavati. Rispetto al 2019, per dirne una, abbiamo perso 1 minuto e 23 secondi di consultazione al giorno.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Valente.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Valente.png" alt="" class="wp-image-53356" /></a></figure></div>


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<p>A onor del vero, però, il consumo di testi informativi da parte dei lettori digitali è molto più frammentario di quanto postulato nell’esempio precedente. Se ne trova conferma negli stessi dati Audiweb: i tempi di <strong>permanenza nelle homepage</strong> dei siti di informazione sono dalle tre alle quattro volte superiori rispetto a quelli nelle pagine interne, il che, con buona probabilità, è dovuto all’abitudine degli utenti di <strong>leggere i titoli</strong> senza aprire gli articoli corrispondenti – o comunque leggendone una parte esigua.</p>



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<h2 id="h-a-spizzichi-e-bocconi-non-lettura-ma-skimming">A spizzichi e bocconi: non lettura, ma <em>skimming</em></h2>



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<p>La nuova pratica di lettura appena descritta ha un nome e un indirizzo: si chiama <strong><em>skimming</em></strong> e si sta ricavando uno spazio sempre più rilevante nel circuito neurale deputato alla ricezione dei testi, al punto che c’è chi sostiene stia diventando in assoluto il modo di leggere più comune, non solo sui formati digitali.</p>



<p>Si tratta di una <strong>strategia di decodificazione </strong>che porta a saltare da una riga all’altra a caccia di parole chiave e ancore testuali che permettano di cogliere il <strong>senso generale dello scritto</strong>, con gli occhi che disegnano tracciati a forma di F o di Z sulla pagina. La tendenza è confermata da diversi studi condotti nell’ultimo decennio con l’ausilio di dispositivi di tracciamento oculare: gli utenti dedicano fino all’80% del tempo di visualizzazione alla parte sinistra della pagina, con particolare attenzione a ciò che è collocato al di sopra dell’orizzonte di scorrimento. Un’abitudine mutuata dalla tendenza dei sistemi di scrittura occidentali a procedere nella lettura partendo in alto e a sinistra.</p>



<p>Il punto è che, a differenza di quanto è avvenuto per il linguaggio orale, non esiste una zona del cervello dedicata in modo specifico alla ricezione della scrittura: per leggere (e scrivere) utilizziamo aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti e delle forme, che poi raffineremmo al discernimento delle lettere con un meccanismo che il neuroscienziato Stanislas Dehaene ha definito “riciclaggio neuronale”. Un utilissimo strabismo dell’evoluzione, quindi, che deriva dagli stimoli dell’ambiente circostante, e a quell’ambiente si conforma.</p>



<p>Il <strong>formato di scrittura digitale</strong> è un contesto ambientale del tutto nuovo, con il suo tentativo incompossibile di rappresentarsi attraverso strutture derivate dai supporti cartacei, e la maggiore fatica causata dalla lettura su schermo. Lo skimming altro non sarebbe che un adattamento a condizioni di lettura differenti, con una ricchezza di stimoli informativi priva di precedenti nella storia dell’umanità.</p>



<p>Su questo stato di cose si innestano le recenti riflessioni della neuroscienziata <strong>Maryanne Wolf</strong>, che nel 2018 ha firmato per il <em>Guardian</em> un articolo intitolato <a href="https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/aug/25/skim-reading-new-normal-maryanne-wolf" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><em>Skim reading is the new normal. The effect on society is profound</em></a>. Ironia della sorte, nonostante il titolo dica già molto del contenuto, è stato il pezzo più letto dell’anno tra quelli pubblicati dal giornale statunitense.</p>



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<h2 id="h-quant-e-profonda-la-carta-quant-e-profondo-il-digitale">Quant’è profonda la carta, quant’è profondo il digitale</h2>



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<p>Una “nuova normalità”, quindi, con un “<strong>profondo effetto</strong>” <strong>cognitivo</strong> e <strong>sociale</strong>. Quanto profondo, viene da chiedersi?</p>



<p>Parecchio. Nel suo articolo, Wolf cita la <strong>progressiva perdita</strong> della capacità di affrontare testi complessi e della modalità di “<strong>lettura profonda</strong>”, che finora siamo stati in grado di sviluppare solo tramite la lettura su carta; uno degli strumenti basilari per l’esercizio di astrazione e pensiero critico, cruciali per comprendere l’articolazione della vita comunitaria, oltre che per darvi un apporto positivo.</p>



<p>Gli studiosi e le studiose che hanno analizzato il cambiamento in corso sono diversi, e giungono spesso a conclusioni di inquietante omogeneità. La linguista <strong>Naomi Baron</strong>, nel suo recente <em>Come leggere. Carta, schermo o audio?</em> (Cortina 2022), definisce la <strong>lettura su carta</strong> un procedimento verticale, adatto a esercitare maggiore prensione sui testi, e ritiene la <strong>lettura digitale</strong> più indicata per gestire grandi quantità di informazioni in modalità multitasking, anche a scopo di confronto – lo stesso procedimento che si attiva al momento di raffrontare prodotti su un e-commerce.</p>



<p>Inoltre, la ricerca che ha affrontato le differenze nell’<strong>apprendimento scolastico tra supporti cartacei e digitali</strong> (tra tutti, gli studi di Mangen e van der Weel e di Ben-Yehudah ed Eshet-Alkalai) ha evidenziato maggiori difficoltà nella comprensione dei secondi.</p>



<p>Se si parla di <strong>qualità della lettura</strong>, i vantaggi della <strong>carta</strong> sembrerebbero innegabili. È in questo senso che la sua decadenza a favore dei medium virtuali è una cattiva notizia per tutti, e in special modo per il mondo dell’informazione.</p>



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<h2 id="h-non-solo-fake-news-ma-falsi-lettori">Non solo fake news, ma falsi lettori</h2>



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<p>Il <strong>giornalismo</strong> ha una forte influenza sui <strong>lettori</strong>, ma è vero anche il contrario, specie in quest’epoca in cui le dinamiche del rapporto sono misurabili con metriche sempre più precise. Forse in passato è stato uno scambio che ha respirato pulito; oggi no. In questo momento storico riescono più che altro a <strong>farsi danno a vicenda</strong>.</p>



<p>I <strong>giornalisti</strong> non hanno reagito bene a un cambiamento di medium che li avrebbe voluti in prima fila a sciogliere le briglie o a mordere il freno, ma comunque a tenere le redini. Così riescono a stare su due poli opposti, e allo stesso tempo in un limbo: o impervi al cambiamento, illeggibili alla prova del digitale, oppure così preoccupati all’idea di non essere appetibili online da inseguire una pletora di scaramanzie virtuali per assicurarsi qualche lettore e pochi minuti del suo tempo. SEO, ottimizzazioni, callide iuncture 4.0 per scoprire in anticipo le carte e mostrare tutta e subito la mercanzia agli utenti, ai motori di ricerca, agli algoritmi.</p>



<p>Hanno ragione? In parte sì. A terrorizzarli ci sono gli alfieri dei nuovi linguaggi, che intercedono nelle udienze con i lettori e levano i peccati dal corpo del testo, minacciandoli con lo spettro dell’estinzione se non si adattano a un mondo in cui <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/articolo-scritto-robot-gpt-3/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">hanno cominciato a scrivere articoli anche le intelligenze artificiali</a>. O con grafici che rivelano come l’attenzione di chi legge abbia un crollo verticale già dopo le prime 200 parole.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine4.gif"><img width="600" height="482" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine4.gif" alt="" class="wp-image-53351" /></a><figcaption class="wp-element-caption"><em>Fonte: Harald Weinreich, Hartmut Obendorf, Eelco Herder e Matthias Mayer: “Not Quite the Average: An Empirical Study of Web Use”. Elaborazione di nnggroup.com.</em></figcaption></figure></div>


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<p>Dall’altra parte ci sono i <strong>lettori</strong>, che per molti versi stanno dando la prova più bassa di sé da quando l’accesso alla lettura è divenuto democratico. Sempre più abulici. Attratti dai contenuti d’impatto, blanditi dalla paratassi. Via via meno capaci di distinguere i fatti dalle opinioni, i titoli dai clickbait. I giornali li inseguono con pezzi che promettono di arrivare subito al succo e addirittura riportano i tempi di lettura non come avviso, ma come promessa di non distrarli troppo dalle altre distrazioni.</p>



<p><em>SenzaFiltro </em>è stata la prima testata a parlare di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/damilano-lespresso-i-pesci-grandi-e-piccoli-i-falsi-lettori/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>falsi lettori</strong></a>, non solo di fake news. Non è una dichiarazione a effetto, è un problema concreto, l’anello fortunatamente debole nel circolo vizioso che sta mandando fuori giri buona parte dell’informazione e del sistema editoriale che la tiene in piedi. In questo senso, <strong>cari lettori, chi vi vuol bene smette di inseguirvi</strong>. Il biennio appena trascorso ha mostrato il bisogno che abbiamo di un’informazione lenta e di qualità, di bocconi ruminati più che ingollati, anche solo per evitare gli alimenti poco salutari.</p>



<p>È la prima volta nella storia dell’evoluzione umana che a una transizione nel supporto di scrittura consegue un cambiamento simile nelle abitudini e nelle possibilità di lettura. In attesa che sviluppiamo il cervello “bi-letterato” in cui sperano le neuroscienze, c’è un’altra soluzione: adesso che abbiamo imparato a <strong>scrivere per il web</strong>, dobbiamo <strong>reimparare a leggere</strong> come facevamo prima che esistesse. Bastano pochi minuti ogni giorno. Di questi tempi sono già qualcosa di rivoluzionario.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/informazione/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Informazione</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



<p class="has-text-align-center"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sottoscrivi-sf/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Sottoscrivi SenzaFiltro</a></p>



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<p><em>In copertina foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay</em></p>


Quarto potere, anzi potere 4.0. Il tempo di lettura degli italiani online

<p>Il destino dei giovani non si trasmette col sangue.</p>
<p>La frase che ispira il titolo a questo pezzo è di <strong>Giuseppe Finocchio</strong>, ventuno anni, studente universitario. Una frase che potrebbe stare sulla copertina di un best seller e vivere in eterno di ristampe. All’<strong>Università per Stranieri di Siena </strong>fa un corso turistico per l’imprenditoria, studia spagnolo e portoghese. Qui ci è arrivato da Alberobello.</p>
<p>Quando la pronuncia stiamo già parlando da un quarto d’ora: siamo noi e due sue colleghe di studi, li ho invitati a collegarci su Google Meet per conoscerli più a fondo, anche dagli occhi; e poi sentirli solo al telefono, uno alla volta, non mi sarebbe bastato. Ormai mi conosco. Mentre pronuncia quella frase a me viene un sussulto: io alla sua età non sarei stata capace di dirla, pur pensandola, e chissà quanti ieri e oggi come me.</p>
<p><strong>Miriana Ciminello</strong> studia coreano e giapponese, l’inglese come lingua base, il sogno di lavoro per adesso l’ha appoggiato in Corea, meglio se legato all’arte. Lei è calabrese, di Polistena, ventitré anni: con Giuseppe si incrocia solo alle lezioni di Storia dell’arte contemporanea.</p>
<p><strong>Arianna Giachini</strong> di anni ne ha venti, studia spagnolo e inglese, ma il primo anno è stata anche a contatto con una professoressa di cinese che le è servita per conoscere un mondo e un modo diverso da quello europeo. Viene da Poggibonsi.</p>
<p>Sono tra gli studenti del corso universitario di Storia dell’arte contemporanea che hanno allestito la mostra <strong>“</strong><strong>Sguardi plurali sull</strong><strong>’</strong><strong>Italia plurale</strong>”, inaugurata da pochi giorni. Il cappello è un progetto didattico chiamato La Straniera | Il laboratorio delle mostre: uno spazio di incontro aperto alla presentazione di libri, progetti espositivi e iniziative culturali incentrati sulla missione profonda dell’Ateneo, che sta <strong>nel far parlare le culture tra culture</strong>.</p>
<p>Al centro della mostra c’è una raccolta di testimonianze e racconti visivi sul quotidiano di fotografi under 35, nati all’estero o in Italia da genitori di origini straniere: giovani che vivono o hanno vissuto un’esperienza di migrazione sulla pelle propria o della propria famiglia e che hanno scelto di puntare macchina e obiettivo proprio sugli <strong>immaginari collettivi legati alla migrazione</strong>.&nbsp;</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/gruppo-di-lavoro-mostra-1-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="740" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/gruppo-di-lavoro-mostra-1-740x1024.jpg" alt="" class="wp-image-53344" /></a><figcaption class="wp-element-caption">Il gruppo di studenti di Storia dell&#8217;arte contemporanea dell&#8217;Università per Stranieri di Siena <br />durante l&#8217;allestimento della mostra &#8220;Sguardi plurali sull&#8217;Italia plurale&#8221;</figcaption></figure>
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<p>Il rettore della Università per Stranieri di Siena <strong><a href="https://youtu.be/XTHG2_a3DZ0" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Tomaso Montanari</a></strong> non cede di un millimetro sul suo mandato, inventa, innesta, protegge il sacro della diversità a ogni passo e gli studenti gliene sono grati oggi, ancor di più lo saranno domani. A guidarli nell’allestimento della mostra, e in tutte le fasi preparatorie, c’è <strong>Caterina Toschi</strong>, docente di&nbsp;Storia&nbsp;dell’arte contemporanea e di Storia della fotografia. Un modo per farli sentire studenti e professionisti al tempo stesso, simulando presente e futuro.</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/mostra.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="674" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/mostra-1024x674.png" alt="" class="wp-image-53345" /></a></figure>
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<h2 id="h-una-generazione-senza-paura-delle-diversita-presenti-e-passate">Una generazione senza paura delle diversità, presenti e passate</h2>
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<p>“Cosa vi colpisce di questa mostra, cosa vi ha detto?”.</p>
<p>Lo chiedo a tutti e tre ma Arianna interviene d’istinto, ha bisogno di dirmelo subito che “<strong>Non ci siamo solo noi in Italia</strong>. Esistono e convivono diverse etnie e diverse culture, ma non tutti lo capiscono, lo sentono. Noi giovani siamo già molto diversi dai nostri genitori, ce ne accorgiamo. Spero che questo processo continui sempre così, verso un’apertura spontanea con l’altro, diffusa in modo naturale”.</p>
<p>“Soprattutto nella nostra Università per Stranieri questo messaggio dell’<strong>includere una diversità, una differenza da noi</strong>, si rafforza ogni giorno e nemmeno ce ne rendiamo conto”. Miriana è orgogliosa del posto in cui studia. “C’è chi magari non ce l’ha proprio di natura, questa resistenza, ma stando qui si affievolisce anche in chi arriva con una iniziale distanza da persone provenienti da culture esterne. <strong>La nostra generazione non ce l’ha, però, questa paura</strong>”.</p>
<p>Arianna e Giuseppe fanno sì con la testa anche loro, li vedo a video, e non serve una parola in più. Sanno alla perfezione che le famiglie da cui arrivano giocano carte pesanti, ma altrettanto bene sanno di poter passare la mano davanti al loro gioco, sanno di poter aspettare altre carte o cercarsele da soli.</p>
<p>“Mio padre mi racconta da quando sono piccolo che lui, già a otto anni, metteva le forchette al ristorante di mio nonno.<strong> I nostri genitori</strong> crescevano ancora dentro famiglie che li consideravano<strong> potenziali forze lavoro</strong>, il futuro era già programmato, poche vie di scelta e di fuga. <strong>Ma</strong> <strong>il destino non è qualcosa che si manda col sangue</strong> e la nostra generazione lo sa, per fortuna lo ha capito.”</p>
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<h2 id="h-i-giovani-secondo-senzafiltro-nobilita-e-come-se-non-ci-fosse-un-domani">I giovani secondo <em>SenzaFiltro</em>: Nobìlita e <em>Come se (non) ci fosse un domani</em></h2>
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<p>Quando parli coi giovani ti chiedi quanto siano stretti i numeri dentro cui i nostri tempi continuano a sacrificarli in nome delle classifiche e dei dati da sputare come ossi. Alla <strong>politica</strong> e al <strong>giornalismo</strong> interessa poco delle vite che vivono o dei lavori che sognano, la <strong>scuola</strong> arranca tra burocrazia e PCTO, ma perdendo pezzi della sua vocazione maestra, che sarebbe quella di <strong>offrire loro un via per conoscere sé stessi</strong>.</p>
<p>Quando a inizio 2022 iniziammo a lavorare sul numero cartaceo di <em>SenzaFiltro</em> dedicato ai <strong>giovani</strong> e al rapporto che hanno con la <strong>formazione</strong> e col <strong>lavoro</strong>, il titolo che ci venne d’istinto fu <strong><em><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-113/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Come se (non) ci fosse un domani</a></em></strong>, mettendo tra parentesi il <em>non </em>e portando un messaggio costruttivo nonostante la debolezza del sistema<em>.</em></p>
<p>Abbiamo lavorato per mesi a fianco degli studenti universitari guidati dal professor <strong>Lucio Zanca</strong>, ideatore e fondatore del progetto <strong>Spoilerbox</strong> per i ragazzi che si affacciano al mercato. Riunioni di redazione con loro, tante riunioni di redazione, per capire senza mezze misure cosa non sapessero del mercato del lavoro, cosa non conoscessero delle normative e dei contatti, cosa non avessero in testa quando pensano a un colloquio di selezione, come non fossero capaci di distinguere un posto fisso da una vita da freelance, cosa non sapessero dei salari. La premessa era stata una sola con questi quindici studenti: farli sentire <strong>liberi di chiedere</strong>, qualsiasi domanda, soprattutto le più ingenue.</p>
<p>La verità è che <strong>l’Italia ha smesso da anni di voler restare giovane</strong>. I giovani li fa entrare a fatica nel mercato del lavoro, li illude che il <strong>Next Generation EU</strong> sia il salvavita sul loro futuro quando invece c’è solo un grande inganno dietro il nome: per gli under 35 è stato infatti stanziato appena l’<strong>8% dei fondi del piano</strong>, con lo scopo di aumentare l’occupazione di tre punti percentuali entro il 2026; per non parlare delle quattro parole con cui li stordiamo da anni: digitalizzazione, innovazione, competitività, rivoluzione verde.</p>
<p>Abbiamo spalmato il futuro dei giovani qua e là dentro gli assi del <strong>PNRR</strong> senza una cultura del lavoro effettiva e al Paese è bastato per applaudire. Se ne riparla tra una decina d’anni.</p>
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<h2 id="h-i-giovani-come-li-guardiamo-e-come-si-guardano-loro">I giovani come li guardiamo, e come si guardano loro</h2>
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<p>L’idea che mi sono fatta col giornalismo di <em>SenzaFiltro</em>, in questi otto anni, è che i giovani chiedono tempo al lavoro anche perché non sanno come chiedere spazio: la società li continua a espellere e loro – poca capacità di combattere, poco linguaggio, poca autostima – finiscono per <strong>sognare o l’estero o i soldi</strong>, comunque sia un surrogato di ciò che vorrebbero e dovrebbero essere.</p>
<p>In questi anni abbiamo tracciato la loro <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gianni-aversano-e-il-test-ai-nuovi-alunni-del-liceo-cosa-ti-fa-paura-labbandono-prof/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">paura di abbandono</a>, la loro <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/poveri-ragazzi-i-giovani-ereditano-il-primato-dellindigenza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">estrema povertà economica</a>, la loro <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/generazione-covid-giovani-traditi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">salute mentale</a> funambola e precaria; abbiamo parlato di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/neet-rimasti-indietro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">NEET</a>, di abbandonati, di abbandono.</p>
<p>Riapro la newsletter che avevo ricevuto dall’Università per Stranieri di Siena e mi accorgo che mi erano sfuggite le due righe finali sulla notizia di lancio della mostra: “Col proposito di riflettere su come l’immaginario collettivo intorno ai temi dell’appartenenza e dell’alterità sia il frutto di come ci guardiamo”. È quello che ho capito grazie a Miriana, Arianna, Giorgio, e a chi come loro si ostina a voler essere giovane a vent’anni, anche se l’Italia li butta fuori o <strong>li fa sentire inutili come i vecchi</strong>; i vecchi come categoria gerarchica e dello spirito, non i vecchi all’anagrafe.</p>
<p>Questi giovani hanno bisogno di <strong>guardarsi</strong>. Certo non bastano le loro buone idee a cambiare il Paese, il vivere fluidi, l’essere nomadi, l’inclusione del diverso come dote naturale; però a me sembrano già grandi doti per spostare gli architravi culturali del lavoro, sottotraccia, lentamente, aspettando Godot al ministero del Lavoro.</p>
</p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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<p><strong><em>Foto di Alexander Grey da Pexels</em></strong></p>
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Prima di parlare di loro, dovremmo lasciarli parlare: i giovani hanno molto da dirci sul mondo del lavoro, al di fuori dai recinti in cui si sono rinchiuse le generazioni precedenti. Il loro futuro non può stare tra gli stanziamenti di un piano di ripresa: intervistiamo alcuni dei partecipanti alla mostra “Sguardi plurali sull’Italia plurale” dell&#8217;Università per Stranieri di Siena.

Il destino dei giovani non si trasmette col sangue - Informazione senza filtro

https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/foto-Zolotti-scaled-1.jpg


<p>A Giulio Tremonti è stato rimproverato a più riprese di aver detto che <strong>con la cultura non si mangia</strong>, ma lui ha sempre protestato di non aver mai pronunciato quella frase. Sarà vero, ma io sono persuaso però che l’abbia almeno pensata, e che con lui l’abbia pensata la maggioranza di coloro che hanno avuto responsabilità di governo in Italia negli ultimi decenni.</p>



<p>Opinioni, si potrebbe obiettare, che restano tali e non fanno male a nessuno. E invece no, non è così, perché pensare che con la cultura non si mangia fa malissimo. Non è solo sbagliato, ma è anche indice di una <strong>grave stortura nel modello di sviluppo</strong> che – quasi indipendentemente dal tipo di schieramento – ha segnato il governo del Paese, e del quale portiamo le inevitabili conseguenze. Vediamo perché.</p>



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<h2 id="h-chi-piu-legge-piu-cresce-il-pil-e-anche-questione-di-cultura">Chi più legge, più cresce: il PIL è anche questione di cultura</h2>



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<p>C’è un primo <strong>indice</strong>, internazionalmente riconosciuto, che dovrebbe tener presente chiunque si ponga il problema di dare nuovo slancio all’economia italiana, ed è quello che lega <strong>progresso economico</strong> e <strong>sviluppo intellettuale</strong>.</p>



<p>Anche se non molti sembrano accorgersene, la <strong>crescita del PIL</strong> è direttamente proporzionale agli indici di <strong>crescita culturale</strong>. Nei Paesi dove si legge di più, dove si investe di più nella distribuzione del sapere, dove si persegue l’aggiornamento culturale della classe dirigente, il prodotto interno cresce più che altrove. In questa direzione l’Italia è tragicamente indietro, agli ultimi posti tra i membri della Comunità europea.</p>



<p>Ma c’è un altro indicatore, altrettanto significativo, che lega la produttività di un sistema economico al <strong>livello di scolarizzazione</strong>. E anche qui siamo pericolosamente arretrati. I numeri dell’abbandono scolastico sono, in Italia, più alti che altrove, e la percentuale di laureati, a livello europeo, superiore solo a quella della Romania.</p>



<p>Credo che sia intuitivo come, in Paesi che promuovono e sostengono lo studio e la scuola pubblica dal punto di vista economico, il capitale intellettuale e l’intelligenza collettiva permettano <strong>maggiore competitività</strong>. Conoscenza e scolarizzazione sono gli strumenti coi quali si progetta meglio, si registrano più brevetti, si razionalizzano le strutture produttive, si immaginano modelli di coinvolgimento nell’uso dei beni comuni e nel rispetto per il patrimonio collettivo.</p>



<p>Avere coscienza dell’importanza di <strong>uscire dalla dimensione familistica</strong>, dall’impresa individuale, dai piccoli e grandi egoismi che condizionano il progresso, è la condizione necessaria perché il Paese si modernizzi; perché cresca la consapevolezza della necessità di contribuire a ridurre l’evasione fiscale e di limitare la propensione all’illegalità diffusa, che purtroppo fanno dell’Italia uno dei Paesi dove più alto è l’indice di <strong>corruzione</strong> tra le maggiori economie mondiali.</p>



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<h2 id="h-il-ruolo-della-letteratura-nel-sistema-economico">Il ruolo della letteratura nel sistema economico</h2>



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<p>Forse meno facile da intuire è perché l’indice di lettura vada di pari passo con la crescita economica. Eppure è così, perché il <strong>modello di società che legge</strong> ha, semplicemente, più fantasia, sguardo più lungo, meno pregiudizi, <strong>maggiore apertura mentale</strong>. Non parlo soltanto della saggistica, che pure dovrebbe essere alla base dell’educazione permanente di chiunque abbia responsabilità sociali, ma anche della <strong>letteratura</strong>, <strong>del romanzo</strong>.</p>



<p>Qui mi piacerebbe sapere che cosa pensano i Tremonti, i ministri dell’Economia e del Lavoro, passati e presenti. Perché sono certo che storcerebbero il naso, direbbero che la letteratura è intrattenimento, distrazione, che non produce né conoscenza né ricchezza.</p>



<p>E invece sbagliano. Perché leggere un romanzo può, sì, intrattenere, ma anche <strong>farci</strong> <strong>riflettere sul sistema in cui viviamo</strong>, sulle nostre contraddizioni, sul nostro carattere e sulla nostra capacità di vita sociale. Un romanzo può aprirci gli occhi e, senza che ce ne rendiamo nemmeno conto, può farci capire quanto sia limitato il nostro sguardo sul mondo. Perché la letteratura ci permette di viaggiare all’estero più di quanto potremo mai fare di persona nella nostra vita. Ci permette di conoscere posti, culture, tradizioni ed espressioni artistiche che non immaginiamo nemmeno. Come ha detto Umberto Eco, chi non legge vive una vita sola, chi legge ne può vivere mille.</p>



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<h2 id="h-il-romanzo-come-strumento-di-indagine-antropologica">Il romanzo come strumento di indagine antropologica</h2>



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<p>Gli <strong>economisti</strong> tendono a considerare la <strong>cultura</strong>, e tanto più la <strong>letteratura</strong>, <strong>fatti sovrastrutturali</strong>, che non possono incidere sui livelli macroeconomici. Un errore che hanno fatto, nel tempo, tanto i pensatori liberali quanto quelli di scuola marxista. Questo perché hanno continuato a pensare l’economia come un meccanismo legato al possesso di risorse finanziarie o materiali, mentre la forza lavoro è stata considerata solo come massa, senza immaginare che anche la <strong>psicologia</strong> – degli operai come degli imprenditori – può determinare fenomeni economici di vasta portata.</p>



<p>Non è un caso che nessun economista sia stato in grado di <strong>immaginare le crisi</strong> che si sono abbattute sui sistemi economici nella modernità. <strong>Se avessero letto qualche romanzo in più</strong>, si sarebbero accorti che la sensibilità e l’intuito degli scrittori hanno a più riprese immaginato che la globalizzazione avrebbe prodotto uno choc economico di livello mondiale, che si sarebbe protratto per un lungo periodo. L’avevano intuito anche scrittori che vengono considerati di basso consumo giovanile, come Salgari o Verne. Quelle intuizioni vengono dal fatto che <strong>la letteratura guarda alla persona</strong>, e in questo modo coglie propensioni che possono diventare generali.</p>



<p>Il romanzo spesso permette di riflettere su atteggiamenti individuali che sono sintomi di malesseri e di contraddizioni che hanno rilievo mondiale.</p>



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<h2 id="h-un-mondo-di-individui-tratteggiati-in-prosa">Un mondo di individui tratteggiati in prosa</h2>



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<p>Ecco, credo che qui sia il nodo per cui <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/tag/librisenzafiltro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">leggere libri</a> è sinonimo di capacità di <strong>affrontare la complessità del mondo contemporaneo</strong>. Perché la scienza tende a considerare i sistemi economici come modelli chiusi, e a indagarne i meccanismi di funzionamento senza considerare l’essere umano.</p>



<p>La <strong>letteratura</strong> invece <strong>ci parla dell’individuo</strong>, della sua sostanza intima, delle sue convinzioni e dei suoi sentimenti. E la modernità ha dato spazio all’individualità come non era mai successo prima. Questo ha fatto in modo che i processi personali di crescita psicologica e di partecipazione politica incidessero anche sulla <strong>dimensione macroeconomica</strong>, cosa che gli economisti non hanno mai preso in considerazione. Gli scrittori, invece sì.</p>



<p>È per questo che, alle volte, è nei romanzi, nella letteratura, che troviamo lo sguardo profondo, che va lontano, e che permette di immaginare <strong>le più originali risposte ai problemi del presente</strong>.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/cultura/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Cultura</a></strong> e i numeri di Quinta di Copertina, il periodico di SenzaFiltro sui libri (<a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/287642409?accessId=a9af96" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#1</a>, <a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/294574844?accessId=bb46a9" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#2</a>, <a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/305194547?accessId=510ad2&amp;fbclid=IwAR31bvsxQtOKFV8EMPxT5CWCpXqVxSH207FSrnsXqsCCKxu9zGTVTgEwOjs" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#3</a> e <a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/428140048?accessId=92966d&amp;fbclid=IwAR27oesHLg6M7EOhGy-fZDQUK5Kb6st-t1PQfqHNB-30z3ZF98gSAHmI2G0" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#4</a>).</em></p>



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<p><strong><em>In copertina foto di Marisa Sias da Pixabay</em></strong></p>


Il romanzo che fa bene al PIL

<p>Questo articolo è composto da 1.753 parole, che poi corrispondono a 11.120 battute, spazi inclusi. L’utente medio impiegherebbe poco meno di 9 minuti per leggerlo; il punto è che non lo farà. Non per intero, non fino alla fine.</p>
<p>I <strong>tempi di lettura degli articoli</strong> sono una preoccupazione nuova nelle redazioni dei giornali, un regalo del digitale derivato dagli analytics e da tutte le micro-cabale che servono a divinare le prestazioni dei contenuti online: se un pezzo con poche visualizzazioni è un buco nell’acqua, uno con bassi tempi di consultazione è una potenziale catastrofe che adombra la capacità di autrici e autori di coinvolgere il pubblico, e quella degli editor di valorizzare i contenuti. Senza lettori è difficile fare giornalismo, del resto.</p>
<p>Un brutto cliente, i lettori. In fuga perenne, sempre distratti da qualche altro contenuto – consultato su schermi sempre più piccoli – e con un budget di attenzione ristretto che è difficile quantificare in minuti, decine di secondi, forse ancora meno. <strong>Ma che cosa volete, voi lettori? </strong>Volete effettivamente qualcosa, oppure aspettate solo di essere circuiti da una sfilza di accorgimenti testuali semplificativi? Insomma, è vero quel che si dice di voi? Abbiamo raccolto qualche dato per trovare delle risposte.</p>
<p>Per inciso, <strong>questo è più o meno il punto in cui l’utente medio smetterebbe di leggere</strong>. Arrivederci a lui.</p>
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<h2 id="h-il-tempo-di-lettura-degli-italiani-si-stava-meglio-quando-si-stava-offline">Il tempo di lettura degli italiani. Si stava meglio quando si stava offline</h2>
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<p><strong>I lettori di giornali stanno aumentando</strong>, pare. Da qualche tempo la stampa italiana festeggia una tenue tendenza positiva confermata dal secondo ciclo di dati Audipress 2022, che registrano un aumento della “readership su carta” dell’1,2% per i quotidiani, dello 0,9% per i settimanali e del 4% per i mensili. Questo porta il numero di italiani che consultano un titolo di stampa a 32,2 milioni su 53, pari al 60,7% della popolazione adulta; tra questi figurano <strong>6,5 milioni di lettori digitali</strong>, in aumento del 9% sulla rilevazione precedente.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine1.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="602" height="339" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine1.png" alt="" class="wp-image-53346" /></a><figcaption class="wp-element-caption"><em>Fonte: dati Audipress 2022/II</em></figcaption></figure>
</div>
<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p>Questo dato, tuttavia, nulla dice del <strong>tempo</strong> che quei lettori investono a consultare le pubblicazioni. Per farsene un’idea occorre incrociarlo con altre informazioni.</p>
<p>Il<strong> tempo trascorso sul web </strong>dall’utenza globale a ottobre 2022 ha raggiunto le 6 ore e 37 minuti pro capite al giorno, come testimonia tra gli altri l’aggregatore <em>datareportal.com</em>; il <strong>dato</strong> <strong>italiano</strong> è più basso, con 6 ore e 1 minuto, entrambe cifre in lieve flessione rispetto al periodo precedente.</p>
<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/daily-time-internet.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="576" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/daily-time-internet-1024x576.png" alt="" class="wp-image-53478" /></a><figcaption class="wp-element-caption"><em>Fonte: datareport.com su dati di GWI</em></figcaption></figure>
<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p>Per scendere ancora più nel dettaglio occorre fare riferimento all’ultimo rapporto Audiweb relativo alle abitudini dell’utenza italiana, che sempre a ottobre ha trascorso in media <strong>1 ora e 13 minuti al mese</strong> <strong>su siti di informazione</strong> di vario genere.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine3.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="602" height="415" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine3.png" alt="" class="wp-image-53350" /></a></figure>
</div>
<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>
<p>Una volta tradotto su base quotidiana il dato diventa brutale: gli italiani hanno dedicato <strong>2 minuti e 35 secondi</strong> <strong>al giorno</strong> alla lettura di notizie online. Il tempo di leggere 470 parole, più o meno come se l’articolo si interrompesse in questo punto e non ne leggeste altri fino a domani. E c’è di peggio, perché confrontando i dati con quegli degli <strong>anni precedenti</strong> si nota una <strong>diminuzione</strong> piuttosto costante nei tempi di lettura così ricavati. Rispetto al 2019, per dirne una, abbiamo perso 1 minuto e 23 secondi di consultazione al giorno.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Valente.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Valente.png" alt="" class="wp-image-53356" /></a></figure>
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<p>A onor del vero, però, il consumo di testi informativi da parte dei lettori digitali è molto più frammentario di quanto postulato nell’esempio precedente. Se ne trova conferma negli stessi dati Audiweb: i tempi di <strong>permanenza nelle homepage</strong> dei siti di informazione sono dalle tre alle quattro volte superiori rispetto a quelli nelle pagine interne, il che, con buona probabilità, è dovuto all’abitudine degli utenti di <strong>leggere i titoli</strong> senza aprire gli articoli corrispondenti – o comunque leggendone una parte esigua.</p>
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<h2 id="h-a-spizzichi-e-bocconi-non-lettura-ma-skimming">A spizzichi e bocconi: non lettura, ma <em>skimming</em></h2>
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<p>La nuova pratica di lettura appena descritta ha un nome e un indirizzo: si chiama <strong><em>skimming</em></strong> e si sta ricavando uno spazio sempre più rilevante nel circuito neurale deputato alla ricezione dei testi, al punto che c’è chi sostiene stia diventando in assoluto il modo di leggere più comune, non solo sui formati digitali.</p>
<p>Si tratta di una <strong>strategia di decodificazione </strong>che porta a saltare da una riga all’altra a caccia di parole chiave e ancore testuali che permettano di cogliere il <strong>senso generale dello scritto</strong>, con gli occhi che disegnano tracciati a forma di F o di Z sulla pagina. La tendenza è confermata da diversi studi condotti nell’ultimo decennio con l’ausilio di dispositivi di tracciamento oculare: gli utenti dedicano fino all’80% del tempo di visualizzazione alla parte sinistra della pagina, con particolare attenzione a ciò che è collocato al di sopra dell’orizzonte di scorrimento. Un’abitudine mutuata dalla tendenza dei sistemi di scrittura occidentali a procedere nella lettura partendo in alto e a sinistra.</p>
<p>Il punto è che, a differenza di quanto è avvenuto per il linguaggio orale, non esiste una zona del cervello dedicata in modo specifico alla ricezione della scrittura: per leggere (e scrivere) utilizziamo aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti e delle forme, che poi raffineremmo al discernimento delle lettere con un meccanismo che il neuroscienziato Stanislas Dehaene ha definito “riciclaggio neuronale”. Un utilissimo strabismo dell’evoluzione, quindi, che deriva dagli stimoli dell’ambiente circostante, e a quell’ambiente si conforma.</p>
<p>Il <strong>formato di scrittura digitale</strong> è un contesto ambientale del tutto nuovo, con il suo tentativo incompossibile di rappresentarsi attraverso strutture derivate dai supporti cartacei, e la maggiore fatica causata dalla lettura su schermo. Lo skimming altro non sarebbe che un adattamento a condizioni di lettura differenti, con una ricchezza di stimoli informativi priva di precedenti nella storia dell’umanità.</p>
<p>Su questo stato di cose si innestano le recenti riflessioni della neuroscienziata <strong>Maryanne Wolf</strong>, che nel 2018 ha firmato per il <em>Guardian</em> un articolo intitolato <a href="https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/aug/25/skim-reading-new-normal-maryanne-wolf" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><em>Skim reading is the new normal. The effect on society is profound</em></a>. Ironia della sorte, nonostante il titolo dica già molto del contenuto, è stato il pezzo più letto dell’anno tra quelli pubblicati dal giornale statunitense.</p>
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<h2 id="h-quant-e-profonda-la-carta-quant-e-profondo-il-digitale">Quant’è profonda la carta, quant’è profondo il digitale</h2>
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<p>Una “nuova normalità”, quindi, con un “<strong>profondo effetto</strong>” <strong>cognitivo</strong> e <strong>sociale</strong>. Quanto profondo, viene da chiedersi?</p>
<p>Parecchio. Nel suo articolo, Wolf cita la <strong>progressiva perdita</strong> della capacità di affrontare testi complessi e della modalità di “<strong>lettura profonda</strong>”, che finora siamo stati in grado di sviluppare solo tramite la lettura su carta; uno degli strumenti basilari per l’esercizio di astrazione e pensiero critico, cruciali per comprendere l’articolazione della vita comunitaria, oltre che per darvi un apporto positivo.</p>
<p>Gli studiosi e le studiose che hanno analizzato il cambiamento in corso sono diversi, e giungono spesso a conclusioni di inquietante omogeneità. La linguista <strong>Naomi Baron</strong>, nel suo recente <em>Come leggere. Carta, schermo o audio?</em> (Cortina 2022), definisce la <strong>lettura su carta</strong> un procedimento verticale, adatto a esercitare maggiore prensione sui testi, e ritiene la <strong>lettura digitale</strong> più indicata per gestire grandi quantità di informazioni in modalità multitasking, anche a scopo di confronto – lo stesso procedimento che si attiva al momento di raffrontare prodotti su un e-commerce.</p>
<p>Inoltre, la ricerca che ha affrontato le differenze nell’<strong>apprendimento scolastico tra supporti cartacei e digitali</strong> (tra tutti, gli studi di Mangen e van der Weel e di Ben-Yehudah ed Eshet-Alkalai) ha evidenziato maggiori difficoltà nella comprensione dei secondi.</p>
<p>Se si parla di <strong>qualità della lettura</strong>, i vantaggi della <strong>carta</strong> sembrerebbero innegabili. È in questo senso che la sua decadenza a favore dei medium virtuali è una cattiva notizia per tutti, e in special modo per il mondo dell’informazione.</p>
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<h2 id="h-non-solo-fake-news-ma-falsi-lettori">Non solo fake news, ma falsi lettori</h2>
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<p>Il <strong>giornalismo</strong> ha una forte influenza sui <strong>lettori</strong>, ma è vero anche il contrario, specie in quest’epoca in cui le dinamiche del rapporto sono misurabili con metriche sempre più precise. Forse in passato è stato uno scambio che ha respirato pulito; oggi no. In questo momento storico riescono più che altro a <strong>farsi danno a vicenda</strong>.</p>
<p>I <strong>giornalisti</strong> non hanno reagito bene a un cambiamento di medium che li avrebbe voluti in prima fila a sciogliere le briglie o a mordere il freno, ma comunque a tenere le redini. Così riescono a stare su due poli opposti, e allo stesso tempo in un limbo: o impervi al cambiamento, illeggibili alla prova del digitale, oppure così preoccupati all’idea di non essere appetibili online da inseguire una pletora di scaramanzie virtuali per assicurarsi qualche lettore e pochi minuti del suo tempo. SEO, ottimizzazioni, callide iuncture 4.0 per scoprire in anticipo le carte e mostrare tutta e subito la mercanzia agli utenti, ai motori di ricerca, agli algoritmi.</p>
<p>Hanno ragione? In parte sì. A terrorizzarli ci sono gli alfieri dei nuovi linguaggi, che intercedono nelle udienze con i lettori e levano i peccati dal corpo del testo, minacciandoli con lo spettro dell’estinzione se non si adattano a un mondo in cui <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/articolo-scritto-robot-gpt-3/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">hanno cominciato a scrivere articoli anche le intelligenze artificiali</a>. O con grafici che rivelano come l’attenzione di chi legge abbia un crollo verticale già dopo le prime 200 parole.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine4.gif"><img loading="lazy" decoding="async" width="600" height="482" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Immagine4.gif" alt="" class="wp-image-53351" /></a><figcaption class="wp-element-caption"><em>Fonte: Harald Weinreich, Hartmut Obendorf, Eelco Herder e Matthias Mayer: “Not Quite the Average: An Empirical Study of Web Use”. Elaborazione di nnggroup.com.</em></figcaption></figure>
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<p>Dall’altra parte ci sono i <strong>lettori</strong>, che per molti versi stanno dando la prova più bassa di sé da quando l’accesso alla lettura è divenuto democratico. Sempre più abulici. Attratti dai contenuti d’impatto, blanditi dalla paratassi. Via via meno capaci di distinguere i fatti dalle opinioni, i titoli dai clickbait. I giornali li inseguono con pezzi che promettono di arrivare subito al succo e addirittura riportano i tempi di lettura non come avviso, ma come promessa di non distrarli troppo dalle altre distrazioni.</p>
<p><em>SenzaFiltro </em>è stata la prima testata a parlare di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/damilano-lespresso-i-pesci-grandi-e-piccoli-i-falsi-lettori/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>falsi lettori</strong></a>, non solo di fake news. Non è una dichiarazione a effetto, è un problema concreto, l’anello fortunatamente debole nel circolo vizioso che sta mandando fuori giri buona parte dell’informazione e del sistema editoriale che la tiene in piedi. In questo senso, <strong>cari lettori, chi vi vuol bene smette di inseguirvi</strong>. Il biennio appena trascorso ha mostrato il bisogno che abbiamo di un’informazione lenta e di qualità, di bocconi ruminati più che ingollati, anche solo per evitare gli alimenti poco salutari.</p>
<p>È la prima volta nella storia dell’evoluzione umana che a una transizione nel supporto di scrittura consegue un cambiamento simile nelle abitudini e nelle possibilità di lettura. In attesa che sviluppiamo il cervello “bi-letterato” in cui sperano le neuroscienze, c’è un’altra soluzione: adesso che abbiamo imparato a <strong>scrivere per il web</strong>, dobbiamo <strong>reimparare a leggere</strong> come facevamo prima che esistesse. Bastano pochi minuti ogni giorno. Di questi tempi sono già qualcosa di rivoluzionario.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/informazione/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Informazione</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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<p><em>In copertina foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay</em></p>


valente

Valente

Andrea Valente

Nasce in un secolo breve, cresce in quello corrente, ma appartiene a un altro secolo ancora. Pugliese, anche se avrebbe potuto rivendersi con origini più intricate. Studia lettere, parla tre lingue e ne capisce cinque, eventi da CV che punteggiano una vita dedicata alla lettura e alla scrittura – in quest’ordine. Le prime commissioni editoriali le svolge per i compagni di banco; riprende anni dopo occupandosi di correzione di manoscritti, valutazione di testi e scrittura digitale. A nove anni si appassiona alla poesia, a diciannove alla linguistica, a ventinove al vino. Diventa sommelier; su poeta e linguista sta ancora lavorando, e continuerà per molto tempo. Prevede che a trentanove anni si entusiasmerà per il giornalismo, per cui ha scelto di partire con qualche anno di anticipo. &nbsp; E-mail: andrea.v@fiordirisorse.eu

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Il consumo digitale di notizie degli italiani è molto basso: siamo lettori sempre più distratti e superficiali, e ne abbiamo le prove.

Quarto potere, anzi potere 4.0. Il tempo di lettura degli italiani online - Informazione senza filtro

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<p>Sul <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/management/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>management</strong></a> ci si chiede se e dove abbiamo fatto un passo falso negli ultimi decenni: in realtà non abbiamo fatto un passo falso, ma abbiamo assistito prima alla nascita e poi alla crescita di quello che ho coniato essere il <strong>“CEO capitalism</strong>”.</p>



<p>Mi riferisco all’evoluzione culturale, economica e sociale del capitalismo che ha dominato l’Occidente dopo la caduta del muro di Berlino. Finita la contrapposizione tra i due blocchi USA e URSS e senza più un nemico frontale, <strong>il capitalismo ha infatti cambiato pelle e sostanza</strong>, mescolando culture che non c’entravano niente tra loro per creare un modello che si incarna nella sua figura simbolo: <strong>il CEO, il supermanager</strong> che governa aziende immense senza esserne padrone e senza i rischi del padrone.</p>



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<h2 id="h-che-cos-e-il-ceo-capitalism-e-perche-ha-fagocitato-i-nostri-tempi">Che cos’è il CEO capitalism e perché ha fagocitato i nostri tempi</h2>



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<p>L’idea centrale del <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ma-quale-draghi-siamo-guidati-da-un-pilota-automatico/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">CEO capitalism</a> è la trasformazione dell’uomo, del cittadino e del lavoratore in <strong>consumatore</strong>. È un sistema capitalistico dove si produce poco e si parla molto (e molto correttamente), dove un piccolo gruppo di supermanager guadagna cifre astronomiche mentre la maggior parte delle persone guadagna poco o pochissimo, ma pur sempre abbastanza per restare consumatrice seriale di cibo, oggetti e servizi che diventano via via più scadenti.</p>



<p>Il CEO capitalism è entrato nella sua fase di declino con la <strong>crisi economica del 2008</strong>; poi è arrivata la pandemia, e quello a cui abbiamo assistito, anche con la guerra in Ucraina, è il modo con cui la classe dirigente le ha affrontate: le implicazioni che ne sono conseguite hanno mutato nel profondo lo stile di management che portiamo avanti da un trentennio.</p>



<p>Mentre scrivo ho davanti a me la pagina di un giornale svizzero, da cui leggo: “I salari crescono più del previsto. L’inflazione sale e i datori di lavoro rispondono con aumenti di stipendi fino al 7%. Manca il personale e questo rafforza il peso dei sindacati”. <strong>Ci dice qualcosa di orrendo, questa pagina</strong>; i sindacati dovevano essere semplicemente filo-aziendali e i salari non dovevamo crescere, anche in presenza dell’inflazione. Anche questa notizia testimonia il profondo stato di depressione che abbiamo davanti. Non avendo capito cosa implicava la gestione della pandemia, il risultato di come vengono gestite le nostre vite e le nostre economie è davanti agli occhi di tutti.</p>



<p>Cito un esempio di mercato che dimostra la pochezza strategica di chi gestisce il management e il business: il <strong>quotidiano</strong>. Il quotidiano è uno dei prodotti principe dell’Occidente: su di esso si basava tutta la nostra comunicazione, la nostra cultura. Ogni anno invece assistiamo – soprattutto gli editori assistono – alla perdita di vendita delle copie, ed è un percorso inesorabile, inarrestabile. Ciò di cui non si sono accorti è che tutto questo dipende dall’<strong>età dei lettori</strong>, che loro continuano a ignorare come fenomeno e come dato: man mano che muoiono i lettori più anziani, o che semplicemente vengono inibiti alla lettura dall’età, calano i dati di vendita dei quotidiani.</p>



<p>Nessuno si interroga su <strong>come dovrebbe essere un <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/i-giornali-non-sono-piu-specchio-ma-selfie/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">quotidiano dei prossimi anni</a></strong>, capace di attirare categorie e generazioni più giovani; al contrario, i nostri quotidiani continuano a riempire pagine di contenuti diventati illeggibili, senza struttura e senza un disegno. Sto lavorando con un giovane di vent’anni al progetto di giornale per il prossimo futuro, senza cadere nella trappola del marketing strategico che prova a farci fare cose sempre più grandi, basate sull’idea del monopolio. Né più né meno della crisi del business delle carrozze quando iniziarono a farsi strada le automobili.</p>



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<h2 id="h-la-crisi-del-management-ha-il-gigantismo-come-sintomo">La crisi del management ha il gigantismo come sintomo</h2>



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<p>Prima della pandemia stavamo andando verso il <strong>monopolio</strong>; non lo dicevamo, ma in termini strategici e manageriali era la direzione che stavamo prendendo. Non lo dicevamo perché era antiliberale e antiliberista. Finché, causa pandemia e causa guerra, dobbiamo di colpo tornare alla <strong>nazionalizzazione</strong>. Come ha risolto la questione francese, Macron? Rinazionalizzando EDF, Électricité de France, la più grande società produttrice e distributrice di energia francese: a quel punto non si generano più problemi nel tenere bassi i prezzi per il popolo. Al contrario, come si può anche solo pensare di aprire un dibattito pubblico sul fatto che gli extra profitti delle società energetiche debbano andare allo Stato e non ai privati, che ci hanno messo del loro, che ci hanno investito in proprio? Ancora una conferma che si è persa la bussola dei fondamenti.</p>



<p>Gli esempi di cui scrivo sono il modo più evidente per osservare la <strong>crisi dei modelli di management</strong> e la modalità del rapporto tra manager e collaboratori, dipendenti, operai, impiegati. L’epoca è piena di confusioni, domina solo confusione.</p>



<p>Ce lo ricorda il fenomeno evidente del <strong>gigantismo</strong>: col tempo abbiamo aumentato, e senza una vera motivazione, la misura degli oggetti e delle cose del nostro vivere. Il SUV, su tutti, spesso con a bordo una o al massimo due persone. Chiediamoci perché. Oppure le grandi navi da crociera: come è possibile che ci sia venuto in mente di prendere un grattacielo, metterlo in orizzontale e riempirlo di migliaia e migliaia di persone? La risposta logica non può essere quella dello spendere poco o spendere meno. Purtroppo siamo immersi dentro i tempi del gigantismo, ma stiamo diventando sempre più poveri.</p>



<p>È tempo di chiedersi se tutto questo abbia ancora un significato. Occorre tornare alle <strong>regole serie</strong> del management e del business. E aggiungo: occorre tornare alle regole serie della formazione. Una su tutte: quale filosofia mai potrà seguire la formazione se non le sono noti i presupposti finali della strategia?</p>



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<p><strong><em>Foto di copertina di Andrea Piacquadio da </em></strong><em><strong>Pexels</strong></em></p>



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Il CEO capitalism e il management coi giganti sulle spalle

<p>A Giulio Tremonti è stato rimproverato a più riprese di aver detto che <strong>con la cultura non si mangia</strong>, ma lui ha sempre protestato di non aver mai pronunciato quella frase. Sarà vero, ma io sono persuaso però che l’abbia almeno pensata, e che con lui l’abbia pensata la maggioranza di coloro che hanno avuto responsabilità di governo in Italia negli ultimi decenni.</p>
<p>Opinioni, si potrebbe obiettare, che restano tali e non fanno male a nessuno. E invece no, non è così, perché pensare che con la cultura non si mangia fa malissimo. Non è solo sbagliato, ma è anche indice di una <strong>grave stortura nel modello di sviluppo</strong> che – quasi indipendentemente dal tipo di schieramento – ha segnato il governo del Paese, e del quale portiamo le inevitabili conseguenze. Vediamo perché.</p>
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<h2 id="h-chi-piu-legge-piu-cresce-il-pil-e-anche-questione-di-cultura">Chi più legge, più cresce: il PIL è anche questione di cultura</h2>
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<p>C’è un primo <strong>indice</strong>, internazionalmente riconosciuto, che dovrebbe tener presente chiunque si ponga il problema di dare nuovo slancio all’economia italiana, ed è quello che lega <strong>progresso economico</strong> e <strong>sviluppo intellettuale</strong>.</p>
<p>Anche se non molti sembrano accorgersene, la <strong>crescita del PIL</strong> è direttamente proporzionale agli indici di <strong>crescita culturale</strong>. Nei Paesi dove si legge di più, dove si investe di più nella distribuzione del sapere, dove si persegue l’aggiornamento culturale della classe dirigente, il prodotto interno cresce più che altrove. In questa direzione l’Italia è tragicamente indietro, agli ultimi posti tra i membri della Comunità europea.</p>
<p>Ma c’è un altro indicatore, altrettanto significativo, che lega la produttività di un sistema economico al <strong>livello di scolarizzazione</strong>. E anche qui siamo pericolosamente arretrati. I numeri dell’abbandono scolastico sono, in Italia, più alti che altrove, e la percentuale di laureati, a livello europeo, superiore solo a quella della Romania.</p>
<p>Credo che sia intuitivo come, in Paesi che promuovono e sostengono lo studio e la scuola pubblica dal punto di vista economico, il capitale intellettuale e l’intelligenza collettiva permettano <strong>maggiore competitività</strong>. Conoscenza e scolarizzazione sono gli strumenti coi quali si progetta meglio, si registrano più brevetti, si razionalizzano le strutture produttive, si immaginano modelli di coinvolgimento nell’uso dei beni comuni e nel rispetto per il patrimonio collettivo.</p>
<p>Avere coscienza dell’importanza di <strong>uscire dalla dimensione familistica</strong>, dall’impresa individuale, dai piccoli e grandi egoismi che condizionano il progresso, è la condizione necessaria perché il Paese si modernizzi; perché cresca la consapevolezza della necessità di contribuire a ridurre l’evasione fiscale e di limitare la propensione all’illegalità diffusa, che purtroppo fanno dell’Italia uno dei Paesi dove più alto è l’indice di <strong>corruzione</strong> tra le maggiori economie mondiali.</p>
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<h2 id="h-il-ruolo-della-letteratura-nel-sistema-economico">Il ruolo della letteratura nel sistema economico</h2>
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<p>Forse meno facile da intuire è perché l’indice di lettura vada di pari passo con la crescita economica. Eppure è così, perché il <strong>modello di società che legge</strong> ha, semplicemente, più fantasia, sguardo più lungo, meno pregiudizi, <strong>maggiore apertura mentale</strong>. Non parlo soltanto della saggistica, che pure dovrebbe essere alla base dell’educazione permanente di chiunque abbia responsabilità sociali, ma anche della <strong>letteratura</strong>, <strong>del romanzo</strong>.</p>
<p>Qui mi piacerebbe sapere che cosa pensano i Tremonti, i ministri dell’Economia e del Lavoro, passati e presenti. Perché sono certo che storcerebbero il naso, direbbero che la letteratura è intrattenimento, distrazione, che non produce né conoscenza né ricchezza.</p>
<p>E invece sbagliano. Perché leggere un romanzo può, sì, intrattenere, ma anche <strong>farci</strong> <strong>riflettere sul sistema in cui viviamo</strong>, sulle nostre contraddizioni, sul nostro carattere e sulla nostra capacità di vita sociale. Un romanzo può aprirci gli occhi e, senza che ce ne rendiamo nemmeno conto, può farci capire quanto sia limitato il nostro sguardo sul mondo. Perché la letteratura ci permette di viaggiare all’estero più di quanto potremo mai fare di persona nella nostra vita. Ci permette di conoscere posti, culture, tradizioni ed espressioni artistiche che non immaginiamo nemmeno. Come ha detto Umberto Eco, chi non legge vive una vita sola, chi legge ne può vivere mille.</p>
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<h2 id="h-il-romanzo-come-strumento-di-indagine-antropologica">Il romanzo come strumento di indagine antropologica</h2>
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<p>Gli <strong>economisti</strong> tendono a considerare la <strong>cultura</strong>, e tanto più la <strong>letteratura</strong>, <strong>fatti sovrastrutturali</strong>, che non possono incidere sui livelli macroeconomici. Un errore che hanno fatto, nel tempo, tanto i pensatori liberali quanto quelli di scuola marxista. Questo perché hanno continuato a pensare l’economia come un meccanismo legato al possesso di risorse finanziarie o materiali, mentre la forza lavoro è stata considerata solo come massa, senza immaginare che anche la <strong>psicologia</strong> – degli operai come degli imprenditori – può determinare fenomeni economici di vasta portata.</p>
<p>Non è un caso che nessun economista sia stato in grado di <strong>immaginare le crisi</strong> che si sono abbattute sui sistemi economici nella modernità. <strong>Se avessero letto qualche romanzo in più</strong>, si sarebbero accorti che la sensibilità e l’intuito degli scrittori hanno a più riprese immaginato che la globalizzazione avrebbe prodotto uno choc economico di livello mondiale, che si sarebbe protratto per un lungo periodo. L’avevano intuito anche scrittori che vengono considerati di basso consumo giovanile, come Salgari o Verne. Quelle intuizioni vengono dal fatto che <strong>la letteratura guarda alla persona</strong>, e in questo modo coglie propensioni che possono diventare generali.</p>
<p>Il romanzo spesso permette di riflettere su atteggiamenti individuali che sono sintomi di malesseri e di contraddizioni che hanno rilievo mondiale.</p>
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<h2 id="h-un-mondo-di-individui-tratteggiati-in-prosa">Un mondo di individui tratteggiati in prosa</h2>
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<p>Ecco, credo che qui sia il nodo per cui <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/tag/librisenzafiltro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">leggere libri</a> è sinonimo di capacità di <strong>affrontare la complessità del mondo contemporaneo</strong>. Perché la scienza tende a considerare i sistemi economici come modelli chiusi, e a indagarne i meccanismi di funzionamento senza considerare l’essere umano.</p>
<p>La <strong>letteratura</strong> invece <strong>ci parla dell’individuo</strong>, della sua sostanza intima, delle sue convinzioni e dei suoi sentimenti. E la modernità ha dato spazio all’individualità come non era mai successo prima. Questo ha fatto in modo che i processi personali di crescita psicologica e di partecipazione politica incidessero anche sulla <strong>dimensione macroeconomica</strong>, cosa che gli economisti non hanno mai preso in considerazione. Gli scrittori, invece sì.</p>
<p>È per questo che, alle volte, è nei romanzi, nella letteratura, che troviamo lo sguardo profondo, che va lontano, e che permette di immaginare <strong>le più originali risposte ai problemi del presente</strong>.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/cultura/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Cultura</a></strong> e i numeri di Quinta di Copertina, il periodico di SenzaFiltro sui libri (<a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/287642409?accessId=a9af96" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#1</a>, <a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/294574844?accessId=bb46a9" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#2</a>, <a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/305194547?accessId=510ad2&amp;fbclid=IwAR31bvsxQtOKFV8EMPxT5CWCpXqVxSH207FSrnsXqsCCKxu9zGTVTgEwOjs" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#3</a> e <a href="https://app.hubspot.com/documents/5809629/view/428140048?accessId=92966d&amp;fbclid=IwAR27oesHLg6M7EOhGy-fZDQUK5Kb6st-t1PQfqHNB-30z3ZF98gSAHmI2G0" target="_blank" rel="noreferrer noopener">#4</a>).</em></p>
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<p><strong><em>In copertina foto di Marisa Sias da Pixabay</em></strong></p>


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Piero-Dorfles

Piero Dorfles

Giornalista, ha lavorato 40 anni in Rai, impegnato in vari settori del servizio pubblico: tv, radio e strutture di ricerca. Autore e conduttore di programmi radiotelevisivi, è stato responsabile dei programmi culturali del Giornale Radio Rai e da venti anni conduce la trasmissione “Per un pugno di libri” di Raitre. Ha curato e pubblicato numerosi saggi e ricerche tra cui &#8220;l’Atlante della radio e della tv&#8221;, &#8220;Carosello&#8221;, &#8220;Il ritorno del dinosauro&#8221;, &#8220;I centolibri&#8221;.

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I Paesi che leggono di più e con una scolarizzazione più alta hanno economie più floride, ma l&#8217;Italia è agli ultimi posti dell&#8217;UE anche negli indici culturali: i nostri economisti (ma non solo) dovrebbero sfogliare qualche romanzo in più.

Il romanzo che fa bene al PIL - Informazione senza filtro

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<p><strong>Salute</strong> e <strong>istruzione </strong>non sono solo diritti fondamentali, ma anche aspetti cardine della nostra vita: da loro dipende la tenuta di altri ambiti, correlati e non. A dimostrarlo sono le storie in carne e ossa incontrate e raccontate in questi anni attraverso articoli e interviste, ma soprattutto tramite il confronto con le persone.</p>



<p>Salute e istruzione: quante volte abbiamo ascoltato queste parole? Da un lato caldeggiate e difese superficialmente, dall’altro spesso usate come specchietti per allodole, trappole per votanti, condimento terminologico utile a farcire post sui social o discorsi insipidi. Termini, ma soprattutto elementi tangibili che testimoniano quanto sia dannoso lo scollamento tra narrazioni ideali e realtà, in particolar modo se riguardante ciò che dovrebbe per buona parte garantire salute e istruzione, ossia <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sanita/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>sanità</strong></a> e <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/scuola/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">scuola</a></strong>.</p>



<p>C’è un tortuoso filo rosso che attraversa questi due grandi ambiti che da tempo sondo per <em>SenzaFiltro</em>, e che racconta due volti differenti di un’unica storia complessa. C’è in prima battuta quello che testimonia la <strong>passione </strong>di professioni – e quindi di lavoratori e lavoratrici – che ogni giorno si impegnano per garantire diritto all’istruzione e diritto alla salute, senza illusioni, ma confrontandosi in maniera concreta con varie difficoltà tra cui risorse che arrancano, nodi al fazzoletto mai sciolti dalla politica, sistemi organizzativi lacunosi. C’è poi il filo rosso di un’inarrestabile <strong>emorragia </strong>che coinvolge le risorse economiche destinate a questi servizi, e allo stesso tempo che scalfisce i diritti delle risorse umane che ne sono protagoniste, determinando un effetto domino sui destinatari dei servizi scolastici e sanitari.</p>



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<h2 id="h-educatori-in-fuga-e-disabili-privati-di-sostegno-e-diritti-la-scuola-arranca-e-nessuno-la-ascolta">Educatori in fuga e disabili privati di sostegno e diritti: la scuola arranca e nessuno la ascolta</h2>



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<p>Partiamo dalla <strong>scuola</strong>, che nel bene e nel male si configura come il preludio del mondo del lavoro. Non mancano gli esempi virtuosi, ma non ho potuto glissare sulle <strong>ferite</strong>, che sono numerose e gravi.</p>



<p>Parliamo di un ambito fatto di risorse umane impegnate, ma anche di altre che hanno scelto la scuola come <strong>ripiego</strong> o come <strong>salvagente</strong> pur non avendo le competenze per farlo. Esempio lampante i casi di persone che, pur non avendo acquisito nessuna preparazione in merito al <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gli-insostenibili-paradossi-del-sostegno-scolastico/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>sostegno</strong> <strong>scolastico</strong></a>, attraverso specializzazioni o master, si buttano su di esso per ottenere punteggi o per garantirsi uno stipendio. Tutto ciò ritenendo legittimo che sulla disabilità ci si possa improvvisare, anche a discapito di studenti e di studentesse che invece hanno pieno diritto ad avere come insegnanti persone preparate (lo stesso team docenti, al di là degli insegnanti di sostegno) anziché essere sfruttati come base di stipendio.</p>



<p>Il sistema legittima questa dinamica. Numeri alla mano, secondo i dati ISTAT (per l’anno scolastico 2021/2022) sono oltre 316.000 gli alunni e le alunne con disabilità che frequentano le scuole italiane, e oltre 207.000 gli&nbsp;<strong>insegnanti per il sostegno</strong>&nbsp;impiegati: di questi, <strong>oltre 70.000</strong> <strong>non hanno una formazione specifica</strong>. Inoltre pesa anche la questione dei <strong>ritardi</strong> nell’assegnazione:&nbsp;a un mese dall’inizio della scuola non risulta assegnato per il sostegno circa il 14% degli insegnanti. La percentuale arriva addirittura al 20% in Lombardia.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Bellingeri-1-.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Bellingeri-1-.png" alt="" class="wp-image-53426" /></a></figure></div>


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<p>L’emorragia riguarda anche un segmento fortemente coinvolto con la scuola, quello degli <strong>educatori </strong>e delle <strong>educatrici</strong> – figure salienti per l’inclusione di bambini, bambine e adolescenti con disabilità – costretti a lasciare il proprio lavoro perché privo di tutele e con scarso riconoscimento economico, con livelli di remunerazione da parte di diverse <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/educatori-non-vi-riconosco-cosi-varie-coop-speculano-sui-lavoratori/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cooperative</a> che arrivano anche a <strong>8,50 euro lordi all’ora</strong>, e pagamenti a cottimo.</p>



<p>Le educatrici e gli educatori hanno nella loro missione anche la trasformazione del disagio altrui, ma per colpa di un sistema lacunoso e contraddittorio questo disagio finiscono per <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sciopero-educatori-scolastici/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">subirlo loro stessi</a>, fino all’<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/educatori-sfruttati-fuga-di-massa-obiettivo-scuola/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">abbandono del proprio lavoro</a>, dirottandosi sull’insegnamento per avere un adeguato riconoscimento economico. E ancora una volta a pagare il doppio scotto sono non solo i lavoratori, ma anche i destinatari del servizio: <strong>bambini </strong>e <strong>adolescenti con disabilità</strong>.</p>



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<h2 id="h-il-covid-19-non-ci-ha-insegnato-nulla-oss-infermieri-e-caregiver-al-limite-della-salute">Il COVID-19 non ci ha insegnato nulla. OSS, infermieri e caregiver al limite della salute</h2>



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<p>Approdiamo alla<strong> sanità</strong>, dove il filo rosso è non solo la passione in senso positivo, ma anche il patire un sistema che prosciuga le risorse umane fino all’osso.</p>



<p>Lampante è l’esperienza di <strong>operatrici </strong>e<strong> operatori sociosanitari (<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ammalarsi-per-assistere-caregiver-senza-tutele-lo-stato-li-sfrutta-e-li-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">OSS</a>)</strong> e <strong>infermieri</strong>. Non sono infatti mancate le denunce da parte della categoria, che ha rivelato situazioni di <strong>turni logoranti</strong>, <strong>riposo a singhiozzo </strong>e<strong> scarso riconoscimento economico</strong>. Il lavoro nelle terapie intensive, tanto decantato nelle narrazioni giornalistiche, è stato riconosciuto con solo 5 euro in più al giorno. Gli OSS hanno fatto emergere a loro volta la questione dei turni massacranti, dell’assenza di adeguata formazione e di supporto psicologico, delle differenze di tutele tra pubblico e privato, degli scatti di fascia impantanati in un limbo di promesse mai soddisfatte. Un lavoro che non può essere mantenuto per tutta la vita, perché spesso insostenibile per come gestito dal sistema.</p>



<p>Non da meno a subire queste conseguenze è la popolazione di chi presta <strong>assistenza familiare</strong>, ossia i <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caregiver-familiari-litalia-li-ignora-leuropa-no-accolta-la-nostra-petizione-questo-e-lavoro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">caregiver</a></strong>. Si stima che in Italia siano <strong>circa 9 milioni</strong>, soprattutto<strong> donne</strong>, costrette ad abbandonare la propria professione per assistere familiari con patologie gravi o disabilità. I e le caregiver familiari suppliscono alla <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ammalarsi-per-assistere-caregiver-senza-tutele-lo-stato-li-sfrutta-e-li-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">mancanza di servizi di assistenza da parte dello Stato</a>, che fa ricadere sulle loro spalle un peso soverchiante spesso foriero di situazioni di <strong>burnout</strong>, oltre che di perdita della salute senza tutele alla base, poiché si tratta di un lavoro quotidiano non riconosciuto.</p>



<p>A fianco è lievitata la sfiducia nei confronti delle <strong>strutture sociosanitarie</strong>, che l’inverno scorso hanno manifestato diverse derive rappresentate dai casi di <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/segregati-rsd-autismo/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">segregazione</a></strong> e<strong> discriminazione </strong>denunciati da vari familiari. Durante il pieno periodo del COVID-19 sono emerse più forti che mai le pecche di una parte di sistema marcio.</p>



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<h2 id="h-il-terzo-settore-e-i-riconoscimenti-mancati-di-salute-e-istruzione">Il terzo settore e i riconoscimenti mancati di salute e istruzione</h2>



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<p>Lacune, contraddizioni, tutele calpestate, tutte raccontate dando voce a chi le ha vissute in prima linea, com’è necessario. In questo scenario è spesso il <strong>terzo settore</strong> a fare da salvagente e a erogare servizi laddove dovrebbero essere garantiti da scuola e sanità, intervenendo su ferite che continuano a riaprirsi. Ma è giusto che il terzo settore faccia da tampone? E nel futuro prossimo, quando sarà necessario un ricambio delle risorse umane che lo compongono, che cosa succederà se saranno concentrate a “sopravvivere”?</p>



<p>Torniamo all’inizio: <strong>salute</strong> e <strong>istruzione </strong>non sono solo diritti fondamentali ma anche aspetti cardine della nostra vita, come l’<strong>inclusione </strong>e il giusto<strong> riconoscimento di chi lavora</strong>. Se tutti o anche solo una parte di questi aspetti viene lesa ci attende una cronaca già annunciata di gravi conseguenze.</p>



<p>Come ho già scritto altrove, la corda è già lisa, su alcuni fronti lacerata: l’acceleratore per il cambiamento andrebbe inserito subito, prima che il sistema si rompa, e con esso le vite di chi lo compone. Una preoccupazione che dovrebbe essere sempre al primo posto per qualsiasi Stato e governo.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ammalarsi-per-assistere-caregiver-senza-tutele-lo-stato-li-sfrutta-e-li-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Discriminazioni</strong></a>.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



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<p><strong><em>In copertina foto di Parentingupstream da Pixabay</em></strong></p>



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Studenti e pazienti non dovrebbe fare rima: la scuola e la sanità chiedono diritti

<p>Sul <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/management/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>management</strong></a> ci si chiede se e dove abbiamo fatto un passo falso negli ultimi decenni: in realtà non abbiamo fatto un passo falso, ma abbiamo assistito prima alla nascita e poi alla crescita di quello che ho coniato essere il <strong>“CEO capitalism</strong>”.</p>
<p>Mi riferisco all’evoluzione culturale, economica e sociale del capitalismo che ha dominato l’Occidente dopo la caduta del muro di Berlino. Finita la contrapposizione tra i due blocchi USA e URSS e senza più un nemico frontale, <strong>il capitalismo ha infatti cambiato pelle e sostanza</strong>, mescolando culture che non c’entravano niente tra loro per creare un modello che si incarna nella sua figura simbolo: <strong>il CEO, il supermanager</strong> che governa aziende immense senza esserne padrone e senza i rischi del padrone.</p>
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<h2 id="h-che-cos-e-il-ceo-capitalism-e-perche-ha-fagocitato-i-nostri-tempi">Che cos’è il CEO capitalism e perché ha fagocitato i nostri tempi</h2>
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<p>L’idea centrale del <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ma-quale-draghi-siamo-guidati-da-un-pilota-automatico/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">CEO capitalism</a> è la trasformazione dell’uomo, del cittadino e del lavoratore in <strong>consumatore</strong>. È un sistema capitalistico dove si produce poco e si parla molto (e molto correttamente), dove un piccolo gruppo di supermanager guadagna cifre astronomiche mentre la maggior parte delle persone guadagna poco o pochissimo, ma pur sempre abbastanza per restare consumatrice seriale di cibo, oggetti e servizi che diventano via via più scadenti.</p>
<p>Il CEO capitalism è entrato nella sua fase di declino con la <strong>crisi economica del 2008</strong>; poi è arrivata la pandemia, e quello a cui abbiamo assistito, anche con la guerra in Ucraina, è il modo con cui la classe dirigente le ha affrontate: le implicazioni che ne sono conseguite hanno mutato nel profondo lo stile di management che portiamo avanti da un trentennio.</p>
<p>Mentre scrivo ho davanti a me la pagina di un giornale svizzero, da cui leggo: “I salari crescono più del previsto. L’inflazione sale e i datori di lavoro rispondono con aumenti di stipendi fino al 7%. Manca il personale e questo rafforza il peso dei sindacati”. <strong>Ci dice qualcosa di orrendo, questa pagina</strong>; i sindacati dovevano essere semplicemente filo-aziendali e i salari non dovevamo crescere, anche in presenza dell’inflazione. Anche questa notizia testimonia il profondo stato di depressione che abbiamo davanti. Non avendo capito cosa implicava la gestione della pandemia, il risultato di come vengono gestite le nostre vite e le nostre economie è davanti agli occhi di tutti.</p>
<p>Cito un esempio di mercato che dimostra la pochezza strategica di chi gestisce il management e il business: il <strong>quotidiano</strong>. Il quotidiano è uno dei prodotti principe dell’Occidente: su di esso si basava tutta la nostra comunicazione, la nostra cultura. Ogni anno invece assistiamo – soprattutto gli editori assistono – alla perdita di vendita delle copie, ed è un percorso inesorabile, inarrestabile. Ciò di cui non si sono accorti è che tutto questo dipende dall’<strong>età dei lettori</strong>, che loro continuano a ignorare come fenomeno e come dato: man mano che muoiono i lettori più anziani, o che semplicemente vengono inibiti alla lettura dall’età, calano i dati di vendita dei quotidiani.</p>
<p>Nessuno si interroga su <strong>come dovrebbe essere un <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/i-giornali-non-sono-piu-specchio-ma-selfie/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">quotidiano dei prossimi anni</a></strong>, capace di attirare categorie e generazioni più giovani; al contrario, i nostri quotidiani continuano a riempire pagine di contenuti diventati illeggibili, senza struttura e senza un disegno. Sto lavorando con un giovane di vent’anni al progetto di giornale per il prossimo futuro, senza cadere nella trappola del marketing strategico che prova a farci fare cose sempre più grandi, basate sull’idea del monopolio. Né più né meno della crisi del business delle carrozze quando iniziarono a farsi strada le automobili.</p>
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<h2 id="h-la-crisi-del-management-ha-il-gigantismo-come-sintomo">La crisi del management ha il gigantismo come sintomo</h2>
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<p>Prima della pandemia stavamo andando verso il <strong>monopolio</strong>; non lo dicevamo, ma in termini strategici e manageriali era la direzione che stavamo prendendo. Non lo dicevamo perché era antiliberale e antiliberista. Finché, causa pandemia e causa guerra, dobbiamo di colpo tornare alla <strong>nazionalizzazione</strong>. Come ha risolto la questione francese, Macron? Rinazionalizzando EDF, Électricité de France, la più grande società produttrice e distributrice di energia francese: a quel punto non si generano più problemi nel tenere bassi i prezzi per il popolo. Al contrario, come si può anche solo pensare di aprire un dibattito pubblico sul fatto che gli extra profitti delle società energetiche debbano andare allo Stato e non ai privati, che ci hanno messo del loro, che ci hanno investito in proprio? Ancora una conferma che si è persa la bussola dei fondamenti.</p>
<p>Gli esempi di cui scrivo sono il modo più evidente per osservare la <strong>crisi dei modelli di management</strong> e la modalità del rapporto tra manager e collaboratori, dipendenti, operai, impiegati. L’epoca è piena di confusioni, domina solo confusione.</p>
<p>Ce lo ricorda il fenomeno evidente del <strong>gigantismo</strong>: col tempo abbiamo aumentato, e senza una vera motivazione, la misura degli oggetti e delle cose del nostro vivere. Il SUV, su tutti, spesso con a bordo una o al massimo due persone. Chiediamoci perché. Oppure le grandi navi da crociera: come è possibile che ci sia venuto in mente di prendere un grattacielo, metterlo in orizzontale e riempirlo di migliaia e migliaia di persone? La risposta logica non può essere quella dello spendere poco o spendere meno. Purtroppo siamo immersi dentro i tempi del gigantismo, ma stiamo diventando sempre più poveri.</p>
<p>È tempo di chiedersi se tutto questo abbia ancora un significato. Occorre tornare alle <strong>regole serie</strong> del management e del business. E aggiungo: occorre tornare alle regole serie della formazione. Una su tutte: quale filosofia mai potrà seguire la formazione se non le sono noti i presupposti finali della strategia?</p>
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<p><strong><em>Foto di copertina di Andrea Piacquadio da </em></strong><em><strong>Pexels</strong></em></p>
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riccardo

Riccardo Ruggeri

Nella vita ha fatto tanti mestieri: operaio in Fiat, travet, manager (è stato uno dei dirigenti vicini a Gianni Agnelli e fra le altre cose ha seguito e portato New Holland alla quotazione a Wall Street). È stato consulente di business, imprenditore, ceo di multinazionali. Oggi è giornalista (tiene una rubrica quotidiana su Italia Oggi), scrittore ed editore (GranTorino Libri). Da oltre vent’anni risiede all’estero. E’ la dimostrazione che si può essere startupper anche dopo i 70 e che l’innovazione non ha età. Dal suo profilo twitter quotidianamente “graffia” senza filtri. Si definisce un nonno invecchiato bene, dispiaciuto di avere scarse possibilità di diventare bisnonno. Fra i suoi libri: “Parola di Marchionne” “Oscene Parole” (2010), “Parole in libertà” (2013), “Una storia Operaia” (2014), “Fiat, una storia d’amore (finita)” (2014).

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La crisi dei modelli di management ha concentrato i poteri nelle mani di uomini soli al comando di aziende che non possiedono. E, tra le altre cose, ci ha trasformati in consumatori passivi di beni sovrabbondanti. Qual è il prossimo passo?

Il CEO capitalism e il management coi giganti sulle spalle - Informazione senza filtro

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Il <strong>Governo </strong>ha dunque deciso di <strong>cedere alle pressioni </strong>di imprenditori, giornali e certi talk show che con le loro testimonianze mai verificate hanno influenzato l’opinione pubblica e alimentato conversazioni tenute in piedi da alcuni episodi di certo veri, ma anche da molti pregiudizi. In molti casi e questo non è da meno, il consenso è più importante dei diritti.

Da gennaio <strong>il Reddito di Cittadinanza sarà fortemente riformato</strong>, riducendo da sette a sei mesi la possibilità di percepire il sussidio ed eliminando l’aggettivo “congruo” all’offerta, che non si può rifiutare. Pena, la soppressione del sussidio stesso.

Pur non simpatizzando particolarmente per il Movimento 5 Stelle – così come per nessun altro partito, se dobbiamo dirla tutta – è evidente che l’accanimento verso la riforma del lavoro proposta da Di Maio &amp; co. abbia avuto fra i suoi massimi delatori tutti gli attori abituati da sempre a partecipare e a influenzare i i tavoli di lavoro governativi. <strong>Attori che il Governo Conte ha spesso tenuto ai margini</strong>.

In primis <strong>Confindustria </strong>e le <strong>Associazioni di Categoria</strong>, i cui presidenti, sotto presidenti e specialisti delle più disparate “industries” non si sono risparmiati nel rilasciare <strong>dichiarazioni al vetriolo contro la misura</strong>, colpevole di offrire ai disoccupati un alibi per non lavorare.

<strong>La politica e i suoi giornali</strong> ci hanno poi messo il carico, facendone dapprima una ragione del tutto personale contro i famigerati <strong>navigator</strong>, quei “disoccupati incapaci di trovare un lavoro per se stessi, figuriamoci per gli altri”; tormentone salviniano approvato e adottato da gran parte degli opinionisti di spessore che calpestano gli studi televisivi delle trasmissioni del primo pomeriggio. Dimenticando però di ricordare che quelle Persone <strong>hanno superato un concorso per competenze</strong>, a differenza di centinaia di operatori dei Centri per l’Impiego, strutture costosissime e rifinanziate dal Governo Draghi, che storicamente non intermediano nemmeno il 2% della domanda nazionale.

Se abbiamo fatto qualcosa di davvero giornalistico è stato prima di tutto farci un’idea su <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/?s=navigator" target="_blank" rel="noreferrer noopener">chi fossero questi navigator</a>, quali fossero le loro competenze e poi verificare se il lavoro che veniva loro richiesto fosse adeguatamente proceduralizzato: <em>SenzaFiltro</em> ha pubblicato diversi articoli utili a capire come lavoravano, quali aree politiche li hanno osteggiati e se le alternative al loro lavoro erano altrettanto efficaci.
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<h2 id="h-i-lettori-di-senzafiltro-sanno-fare-fact-checking">I lettori di <em>SenzaFiltro</em> sanno fare fact checking</h2>
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Un altro aspetto di cui siamo molto fieri è aver involontariamente formato i nostri lettori nel guardare con sempre maggior sospetto alle<strong> dichiarazioni di imprenditori da tornio e da riviera</strong> che, a seconda delle stagioni, lamentavano <strong>mancanza di personale</strong>.

<strong>Verificare la presenza delle offerte di lavoro </strong>sui siti di quelle imprese, sulle piattaforme di annunci di lavoro e sui social è diventata una sana abitudine che mette fine a qualsiasi polemica generata da personaggi più o meno qualificati, alla ricerca di facile pubblicità anzichè di veri dipendenti e collaboratori, e ben supportati da giornali alla ricerca del click facile.

Dal 2019 non ci siamo mai posti il problema di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/la-saga-dei-presidenti-che-non-trovano-lavoratori/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">raccogliere quelle dichiarazioni e metterle a confronto</a> con l’evidenza dei fatti.
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<h2>Qualche elemento per guardare il Reddito di Cittadinanza con occhi diversi</h2>
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Probabilmente qualche lettore avrà amici o conoscenti che lamentano o hanno lamentato <strong>i tanti “bug” del sussidio</strong> e della difficoltà di reperire personale “per colpa di”.

È innegabile che tutto può essere migliorato, a partire dai <strong>controlli </strong>sia nei confronti di chi rinuncia alle offerte di lavoro – perché la regola metteva un paletto di tre rinunce per perdere il Reddito, ma nessuno ha mai monitorato – sia nei confronti delle offerte stesse. Purtroppo non sono poche nemmeno le testimonianze e le incursioni di alcuni giornalisti in <strong>colloqui di lavoro dove la proposta del nero o di orari “sgonfiati” </strong>arrivava dal lato azienda, e non dal lato percettore.

Tuttavia bisogna anche essere consapevoli del fatto che questa misura coinvolge circa<strong> tre milioni di Persone</strong>, un numero davvero sproporzionato rispetto a tutta la letteratura che si è fatta intorno al fenomeno. Se questo numero poi lo tagliamo di circa la metà, che corrisponde ai cosiddetti “<strong>non occupabili</strong>“, ovvero Persone che non lavorano da più di cinque anni, che non hanno alcun titolo, a bassissima alfabetizzazione o in un’età che li porta automaticamente a essere fuori dal sistema, direi che il gioco è fatto.

A fronte di una <strong>disoccupazione dell’8% </strong>diventa quasi inspiegabile capire dove siano finiti tutti gli altri “<strong>disoccupati sani</strong>” che non percepiscono alcunché, visto che non compaiono mai nelle cronache fra coloro che partecipano a colloqui di selezione. Sembra quasi che certi imprenditori attirino solo ed esclusivamente percettori di Reddito. E lo vadano poi a raccontare alla stampa.

L’altro dato che lascia perplessi è come sia possibile che <strong>giornali come il <em>Gazzettino Veneto</em>, il <em>Tirreno</em>, il <em>Resto del Carlino</em></strong> siano riusciti a generare un quantitativo così ingente di testimonianze al Centro-Nord, quando più del 50% dei percettori di Reddito risulta essere – com’è ovvio – residente al Sud.

<strong>Insomma, i numeri non tornano</strong>. Ancor meno quelli <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/bonomi-da-i-numeri-sul-reddito-di-cittadinanza-ma-sono-tutti-incorretti/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">sviscerati alla carlona dal presidente degli industriali Carlo Bonomi</a> durante un discorso al Convegno dei Giovani di Confindustria a Napoli, e che <em>SenzaFiltro</em> ha smentito col supporto di Alessandro Guerriero, giovane laureato con lode in scienze economiche e specializzato sui temi del mercato del lavoro e delle disuguaglianze.

Ben altra situazione quella disegnata da INPS, Corte dei Conti e Caritas, che nelle loro relazioni annuali hanno espressamente dichiarato che il Reddito di Cittadinanza – al netto di qualche furbetto che esiste in qualsiasi contesto – ha permesso a circa 2.000 famiglie di restare <strong>al di sopra della soglia dell’indigenza</strong>.

Se guardiamo le <strong>assunzioni</strong> e le mettiamo in relazione ai litri di lacrime di coccodrillo versate dagli imprenditori sia della collezione Primavera Estate che di quella Autunno Inverno qualcosa non torna: il <strong>numero di contratti regolari</strong> firmati fino a settembre 2022 ha raggiunto i <strong>livelli più alti degli ultimi dieci anni</strong>. Evidentemente in Italia se si decide di assumere rispettando le regole, si trovano anche i lavoratori.
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<h2>Quali alternative al sussidio?</h2>
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Mentre il Governo Meloni ha ben chiaro cosa fare del Reddito di Cittadinanza, al momento non è pervenuta <strong>alcuna proposta alternativa</strong> per supportare chi è indigente e necessita di un’occupazione, come del resto ne esistono in ogni Paese europeo.

Mi permetto di lanciare un segnale d’allarme alla parola “<strong>voucher</strong>” che aleggia in questi giorni nei corridoi parlamentari, dove evidentemente non si impara mai dagli errori passati.

Il sistema dei voucher infatti, fu uno dei <strong>grossi flop del Jobs Act renziano</strong>, utile soprattutto a <strong>regolarizzare il nero</strong> e ad <strong>alzare il livello di precarietà</strong>. Una mente sopraffina infatti aveva previsto che i datori di lavoro, appartenenti fra l’altro a categorie dove il nero è più frequente (edilizia, logistica, turismo), potessero registrare i voucher fino a 24 ore dopo la prestazione d’opera. In pratica, se non avevi ricevuto controlli, il voucher rimaneva immacolato nel cassetto fino alla prossima occasione.

In un momento storico come questo, nella volontà di dimostrare maggiore autorevolezza rispetto ai governi precedenti, sarebbe necessario evitare di <strong>riciclare misure</strong> che hanno rivelato tutta la loro <strong>debolezza </strong>e studiare invece modalità a supporto della precarietà.
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<h2>Fra congruo e non congruo, cosa ci si aspetta da domani</h2>
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Adesso che la palla è passata di mano a un governo di <strong>destra </strong>(che, molto critico durante quello precedente, ne sta ripercorrendo per filo e per segno lo stesso binario) e che il <strong>centrosinistra </strong>che fino a ieri osteggiava il Reddito oggi ne riconosce il valore sociale, c’è da chiedersi <strong>se il Reddito di Cittadinanza sia solo un pupazzo con cui giocano le aree politiche</strong> con opinioni interscambiabili a seconda che ci si trovi dalla parte della maggioranza o nel campo di gioco dell’opposizione.

Sta di fatto che l’annuncio ufficiale prevede che entro la fine del 2023 il Reddito di Cittadinanza non avrà più dignità propria. I navigator, un popolo di laureati, specializzati in orientamento professionale, risorse forse di qualità rispetto a quello che offre oggi il mercato istituzionale, sono ritornati ad alimentare le file dei disoccupati. Il periodo di usufrutto del Reddito scende a sei mesi in un Paese in cui le figure specializzate impiegano una media di un anno e mezzo per ricollocarsi e al concorso per spazzini a Napoli partecipano i laureati. <strong>L’offerta deve essere accettata tout-court</strong>, <strong>non importa se sia congrua</strong>.

Significa che per evitare di restare senza Reddito e anche senza lavoro <strong>devo accettare un’offerta anche a 70 km da casa</strong>, con una retribuzione pari o inferiore al RdC (che ricordiamo, si attesta su una media di 520 euro), con tutti i costi che ne conseguono e che al termine del mese rosicchieranno inevitabilmente quella cifra.

Mi chiedo <strong>quale sia lo scandalo nel rifiutare un lavoro che </strong>“<strong>non conviene</strong>” nell’economia famigliare, rispetto a quanto offre un sussidio al netto delle spese. Se i 600 euro del Reddito di Cittadinanza mi permettono di mettere un piatto in tavola tutti i giorni, perché dovrei accettare di lavorare in una condizione che alla fine del mese mi lascia in tasca di meno?

I candidati con cui lavoro, di norma, guadagnano cifre 10-15 volte più alte di queste, e nonostante tutto se ne guardano bene dall’accettare un’offerta al di sotto di quella attuale. Così come, sebbene forti di stipendi a quattro zeri, spesso non accettano di trasferirsi in un’altra città pur avendone tutte le possibilità.

<strong>Mi chiedo se il diritto di rifiutare un lavoro sia anch’esso elitario</strong>, perché stiamo facendo credere non che le Persone rifiutino perché diventano più povere lavorando, ma perché a parità di stipendio preferiscono stare sul divano senza fare nulla.

Ecco, io di queste <strong>non ne conosco</strong>. Sono certo che la maggioranza delle Persone sia alla ricerca di dignità, e il lavoro è fra le cose che te ne offre nei confronti del tuo partner, dei tuoi genitori, dei tuoi figli, dei tuoi amici. Non credo ci sia nessuno che orgogliosamente <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/vergogna-rdc-paura-poverta/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">sventoli la bandiera del Reddito</a> come una sorta di successo personale.

Credo invece che la politica, quando approva o meno una legge, dovrebbe farlo senza la presunzione di credere che i destinatari di quella legge siano necessariamente tutti come certi politici o anche solo evitando di utilizzare il sistema dominante di certe aziende in cui <strong>si fanno le regole in funzione di chi non le rispetterà</strong>, anziché premiare chi opera in modo corretto.
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reddito-di-cittadinanza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Reddito di Cittadinanza</a></strong>.</em></p>

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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, “<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>“, e il reportage “<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>“.</em></p>


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<em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em>

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Reddito di Cittadinanza: il diritto alla povertà

<p><strong>Salute</strong> e <strong>istruzione </strong>non sono solo diritti fondamentali, ma anche aspetti cardine della nostra vita: da loro dipende la tenuta di altri ambiti, correlati e non. A dimostrarlo sono le storie in carne e ossa incontrate e raccontate in questi anni attraverso articoli e interviste, ma soprattutto tramite il confronto con le persone.</p>
<p>Salute e istruzione: quante volte abbiamo ascoltato queste parole? Da un lato caldeggiate e difese superficialmente, dall’altro spesso usate come specchietti per allodole, trappole per votanti, condimento terminologico utile a farcire post sui social o discorsi insipidi. Termini, ma soprattutto elementi tangibili che testimoniano quanto sia dannoso lo scollamento tra narrazioni ideali e realtà, in particolar modo se riguardante ciò che dovrebbe per buona parte garantire salute e istruzione, ossia <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sanita/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>sanità</strong></a> e <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/scuola/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">scuola</a></strong>.</p>
<p>C’è un tortuoso filo rosso che attraversa questi due grandi ambiti che da tempo sondo per <em>SenzaFiltro</em>, e che racconta due volti differenti di un’unica storia complessa. C’è in prima battuta quello che testimonia la <strong>passione </strong>di professioni – e quindi di lavoratori e lavoratrici – che ogni giorno si impegnano per garantire diritto all’istruzione e diritto alla salute, senza illusioni, ma confrontandosi in maniera concreta con varie difficoltà tra cui risorse che arrancano, nodi al fazzoletto mai sciolti dalla politica, sistemi organizzativi lacunosi. C’è poi il filo rosso di un’inarrestabile <strong>emorragia </strong>che coinvolge le risorse economiche destinate a questi servizi, e allo stesso tempo che scalfisce i diritti delle risorse umane che ne sono protagoniste, determinando un effetto domino sui destinatari dei servizi scolastici e sanitari.</p>
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<h2 id="h-educatori-in-fuga-e-disabili-privati-di-sostegno-e-diritti-la-scuola-arranca-e-nessuno-la-ascolta">Educatori in fuga e disabili privati di sostegno e diritti: la scuola arranca e nessuno la ascolta</h2>
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<p>Partiamo dalla <strong>scuola</strong>, che nel bene e nel male si configura come il preludio del mondo del lavoro. Non mancano gli esempi virtuosi, ma non ho potuto glissare sulle <strong>ferite</strong>, che sono numerose e gravi.</p>
<p>Parliamo di un ambito fatto di risorse umane impegnate, ma anche di altre che hanno scelto la scuola come <strong>ripiego</strong> o come <strong>salvagente</strong> pur non avendo le competenze per farlo. Esempio lampante i casi di persone che, pur non avendo acquisito nessuna preparazione in merito al <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/gli-insostenibili-paradossi-del-sostegno-scolastico/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>sostegno</strong> <strong>scolastico</strong></a>, attraverso specializzazioni o master, si buttano su di esso per ottenere punteggi o per garantirsi uno stipendio. Tutto ciò ritenendo legittimo che sulla disabilità ci si possa improvvisare, anche a discapito di studenti e di studentesse che invece hanno pieno diritto ad avere come insegnanti persone preparate (lo stesso team docenti, al di là degli insegnanti di sostegno) anziché essere sfruttati come base di stipendio.</p>
<p>Il sistema legittima questa dinamica. Numeri alla mano, secondo i dati ISTAT (per l’anno scolastico 2021/2022) sono oltre 316.000 gli alunni e le alunne con disabilità che frequentano le scuole italiane, e oltre 207.000 gli&nbsp;<strong>insegnanti per il sostegno</strong>&nbsp;impiegati: di questi, <strong>oltre 70.000</strong> <strong>non hanno una formazione specifica</strong>. Inoltre pesa anche la questione dei <strong>ritardi</strong> nell’assegnazione:&nbsp;a un mese dall’inizio della scuola non risulta assegnato per il sostegno circa il 14% degli insegnanti. La percentuale arriva addirittura al 20% in Lombardia.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Bellingeri-1-.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Bellingeri-1-.png" alt="" class="wp-image-53426" /></a></figure>
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<p>L’emorragia riguarda anche un segmento fortemente coinvolto con la scuola, quello degli <strong>educatori </strong>e delle <strong>educatrici</strong> – figure salienti per l’inclusione di bambini, bambine e adolescenti con disabilità – costretti a lasciare il proprio lavoro perché privo di tutele e con scarso riconoscimento economico, con livelli di remunerazione da parte di diverse <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/educatori-non-vi-riconosco-cosi-varie-coop-speculano-sui-lavoratori/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cooperative</a> che arrivano anche a <strong>8,50 euro lordi all’ora</strong>, e pagamenti a cottimo.</p>
<p>Le educatrici e gli educatori hanno nella loro missione anche la trasformazione del disagio altrui, ma per colpa di un sistema lacunoso e contraddittorio questo disagio finiscono per <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sciopero-educatori-scolastici/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">subirlo loro stessi</a>, fino all’<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/educatori-sfruttati-fuga-di-massa-obiettivo-scuola/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">abbandono del proprio lavoro</a>, dirottandosi sull’insegnamento per avere un adeguato riconoscimento economico. E ancora una volta a pagare il doppio scotto sono non solo i lavoratori, ma anche i destinatari del servizio: <strong>bambini </strong>e <strong>adolescenti con disabilità</strong>.</p>
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<h2 id="h-il-covid-19-non-ci-ha-insegnato-nulla-oss-infermieri-e-caregiver-al-limite-della-salute">Il COVID-19 non ci ha insegnato nulla. OSS, infermieri e caregiver al limite della salute</h2>
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<p>Approdiamo alla<strong> sanità</strong>, dove il filo rosso è non solo la passione in senso positivo, ma anche il patire un sistema che prosciuga le risorse umane fino all’osso.</p>
<p>Lampante è l’esperienza di <strong>operatrici </strong>e<strong> operatori sociosanitari (<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ammalarsi-per-assistere-caregiver-senza-tutele-lo-stato-li-sfrutta-e-li-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">OSS</a>)</strong> e <strong>infermieri</strong>. Non sono infatti mancate le denunce da parte della categoria, che ha rivelato situazioni di <strong>turni logoranti</strong>, <strong>riposo a singhiozzo </strong>e<strong> scarso riconoscimento economico</strong>. Il lavoro nelle terapie intensive, tanto decantato nelle narrazioni giornalistiche, è stato riconosciuto con solo 5 euro in più al giorno. Gli OSS hanno fatto emergere a loro volta la questione dei turni massacranti, dell’assenza di adeguata formazione e di supporto psicologico, delle differenze di tutele tra pubblico e privato, degli scatti di fascia impantanati in un limbo di promesse mai soddisfatte. Un lavoro che non può essere mantenuto per tutta la vita, perché spesso insostenibile per come gestito dal sistema.</p>
<p>Non da meno a subire queste conseguenze è la popolazione di chi presta <strong>assistenza familiare</strong>, ossia i <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caregiver-familiari-litalia-li-ignora-leuropa-no-accolta-la-nostra-petizione-questo-e-lavoro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">caregiver</a></strong>. Si stima che in Italia siano <strong>circa 9 milioni</strong>, soprattutto<strong> donne</strong>, costrette ad abbandonare la propria professione per assistere familiari con patologie gravi o disabilità. I e le caregiver familiari suppliscono alla <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ammalarsi-per-assistere-caregiver-senza-tutele-lo-stato-li-sfrutta-e-li-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">mancanza di servizi di assistenza da parte dello Stato</a>, che fa ricadere sulle loro spalle un peso soverchiante spesso foriero di situazioni di <strong>burnout</strong>, oltre che di perdita della salute senza tutele alla base, poiché si tratta di un lavoro quotidiano non riconosciuto.</p>
<p>A fianco è lievitata la sfiducia nei confronti delle <strong>strutture sociosanitarie</strong>, che l’inverno scorso hanno manifestato diverse derive rappresentate dai casi di <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/segregati-rsd-autismo/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">segregazione</a></strong> e<strong> discriminazione </strong>denunciati da vari familiari. Durante il pieno periodo del COVID-19 sono emerse più forti che mai le pecche di una parte di sistema marcio.</p>
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<h2 id="h-il-terzo-settore-e-i-riconoscimenti-mancati-di-salute-e-istruzione">Il terzo settore e i riconoscimenti mancati di salute e istruzione</h2>
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<p>Lacune, contraddizioni, tutele calpestate, tutte raccontate dando voce a chi le ha vissute in prima linea, com’è necessario. In questo scenario è spesso il <strong>terzo settore</strong> a fare da salvagente e a erogare servizi laddove dovrebbero essere garantiti da scuola e sanità, intervenendo su ferite che continuano a riaprirsi. Ma è giusto che il terzo settore faccia da tampone? E nel futuro prossimo, quando sarà necessario un ricambio delle risorse umane che lo compongono, che cosa succederà se saranno concentrate a “sopravvivere”?</p>
<p>Torniamo all’inizio: <strong>salute</strong> e <strong>istruzione </strong>non sono solo diritti fondamentali ma anche aspetti cardine della nostra vita, come l’<strong>inclusione </strong>e il giusto<strong> riconoscimento di chi lavora</strong>. Se tutti o anche solo una parte di questi aspetti viene lesa ci attende una cronaca già annunciata di gravi conseguenze.</p>
<p>Come ho già scritto altrove, la corda è già lisa, su alcuni fronti lacerata: l’acceleratore per il cambiamento andrebbe inserito subito, prima che il sistema si rompa, e con esso le vite di chi lo compone. Una preoccupazione che dovrebbe essere sempre al primo posto per qualsiasi Stato e governo.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/ammalarsi-per-assistere-caregiver-senza-tutele-lo-stato-li-sfrutta-e-li-ignora/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Discriminazioni</strong></a>.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
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<p><strong><em>In copertina foto di Parentingupstream da Pixabay</em></strong></p>
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Bellingeri

Sara Bellingeri

Scrive fin da quando ha acchiappato in mano la sua prima matita e da allora la passione di raccontare e incontrare le storie non è mai sbiadita. Dal 2005 lavora come giornalista e responsabile ufficio stampa occupandosi soprattutto di diritti, ambiente, inclusione lavorativa, sanità e disabilità. Nel curriculum una laurea in Antropologia Filosofica, un master in comunicazione di eventi e tre libri. In testa la costante voglia di partire anche se il viaggio più emozionante glielo fanno fare ogni giorno i suoi bambini. “Io sono una parte di tutto quello che ho incontrato”. La frase di Tennyson rappresenta al meglio il suo modo di vivere la vita, il lavoro e le esperienze.

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Due settori accomunati da tagli e stipendi irrisori sono teatro della violazione dei diritti dei più deboli in entrambi gli ambienti. Il punto della situazione e tutti i passi che restano da compiere.

Studenti e pazienti non dovrebbe fare rima: la scuola e la sanità chiedono diritti - Informazione senza filtro

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<p>Per alcuni è una scelta dettata dalla voglia di poter decidere del proprio lavoro in autonomia ed esplorare altre strade, per altri è invece obbligata: non riuscendo a ottenere un lavoro fisso si “accontentano” di avere più collaborazioni possibili. C’è poi chi trova un’azienda per cui lavorare, che però non ha nessuna intenzione di fargli un contratto nonostante richieda una presenza fissa.</p>



<p>Quello che abbiamo appena tratteggiato è il <strong>mondo delle partite IVA </strong>o dei cosiddetti <strong>lavoratori autonomi</strong>, che in Italia, stando agli ultimi dati elaborati dall’Ufficio Studi della CGIA sui numeri forniti dall’<a href="https://www.istat.it/it/archivio/276887" target="_blank" rel="noreferrer noopener">ISTAT</a> nel novembre scorso (relativi al settembre 2022), sono <strong>5.019.000</strong>. Alcune si sono perse per strada, visto che nello stesso periodo del 2021 le partite IVA erano ben 16.000 in più.</p>



<p>Ma <strong>che cosa vuol dire oggi essere un lavoratore autonomo</strong>? Dietro queste due parole, di solito usate per operare una differenza netta con il lavoratore dipendente, nella realtà c’è un vero e proprio mondo che chi scrive conosce bene.</p>



<p>Anni fa, nel 2017, dopo tre anni da dipendente e un’uscita tutt’altro che serena da un’azienda, decisi che era ora di mettermi alla prova come freelance. Lo confesso: sono felice di questa scelta e non tornerei indietro, anche solo per dare ascolto a quel mal di pancia che mi viene ogni volta che mi propongono un lavoro con orari fissi, una sede e la pianificazione delle vacanze subordinata all’approvazione di un comitato composto da manager e HR.</p>



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<h2 id="h-le-partite-iva-in-italia-a-rischio-di-poverta-o-esclusione-sociale">Le partite IVA in Italia a rischio di povertà o esclusione sociale</h2>



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<p>Al di là della convinzione, essere un lavoratore autonomo in Italia non è facile per tantissimi motivi: l’<strong>incertezza</strong>, sicuramente, ma anche il <strong>rischio di povertà</strong>. A fronte di chi magari negli anni è riuscito a costruirsi una rete di clienti e di persone con cui collaborare – pur sapendo che è possibile perdere tutto da un momento all’altro – i rischi di povertà o <strong>esclusione sociale</strong> sono sempre dietro l’angolo. Specie quando si vive in una famiglia i cui membri hanno come reddito principale quello da lavoratore indipendente.</p>



<p>A parlare ancora una volta sono i numeri, come quelli proposti dalla CGIA, sempre su dati ISTAT, che testimoniano come <strong>il</strong> “<strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/partite-iva-lo-scenario-e-dietro-il-sipario/">popolo </a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/partite-iva-lo-scenario-e-dietro-il-sipario/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">delle</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/partite-iva-lo-scenario-e-dietro-il-sipario/"> partite IVA</a></strong>” (ma avete mai sentito parlare del “popolo dei dipendenti?” Anche in questo c’è una significativa differenza), in cui si inseriscono artigiani, liberi professionisti ma anche commercianti, <strong>abbia più difficoltà economiche dei lavoratori dipendenti</strong>. E riguardo a questo la pandemia, di cui ancora ci riempiamo la bocca, non ha fatto altro che peggiorare la situazione.</p>



<p>Secondo l’indagine campionaria dell’ISTAT relativa al 2021, la percentuale di famiglie con reddito principale da lavoro dipendente a <strong>rischio povertà o esclusione sociale</strong> è del 18,4%. Quando invece il reddito principale viene dal <strong>lavoro autonomo</strong>, si innalza al <strong>24%</strong>.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-1.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-1.png" alt="" class="wp-image-53429" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-la-partita-iva-oggi-da-status-symbol-a-ripiego">La partita IVA oggi: da status symbol a ripiego</h2>



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<p>Per gli imprenditori individuali c’è un aspetto poi da considerare: a differenza dei lavoratori subordinati, quando chiudono l’attività <strong>non hanno nessun sostegno al reddito</strong>.</p>



<p>Non solo: per loro non è facile trovare un altro impiego, il che è dovuto spesso all’età non giovanissima di chi si mette in proprio e ci resta per anni, ma anche al fatto che, secondo la CGIA, le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo a volte queste persone verso il lavoro in nero.</p>



<p>E se fino a una decina di anni fa aprire una partita IVA era uno status symbol, oggi per un giovane spesso è un <strong>ripiego</strong>, o nei casi peggiori una <strong>costrizione da parte di un committente</strong> che non vuole fare un contratto. Che agisce così per risparmiare sui contributi, sull’assicurazione, sui benefit, ma nonostante questo chiede al freelance la stessa disponibilità e abnegazione di un dipendente.</p>



<p>Restando nell’ambito di chi invece è appena entrato nel mondo dei lavoratori autonomi, l’Osservatorio delle Partite IVA del ministero dell’Economia e delle Finanze ci dice che sono <strong>94.080</strong> quelle <strong>aperte nel terzo trimestre del 2022</strong>.</p>



<p>Di queste, il 69,7% è costituito da persone fisiche, il 21,8% da società di capitali, il 2,8% da società di persone. Si può vedere come la maggioranza sia composta quindi da imprenditori individuali, ma emerge anche un altro dato: rispetto al terzo trimestre del 2021, c’è un <strong>calo generalizzato</strong>. Nel caso delle partite IVA aperte da persone fisiche, dell’8%.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-2.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-2.png" alt="" class="wp-image-53431" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-un-sindacato-per-le-partite-iva-la-necessita-di-una-forza-coesa-e-organizzata">Un sindacato per le partite IVA: la necessità di una forza coesa e organizzata</h2>



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<p>Al di là dei numeri, quello su cui è importante riflettere non è solo la situazione economica delle partite IVA, ma<strong> tutto ciò che manca a un lavoratore autonomo</strong> rispetto a un <strong>dipendente</strong>, temi di cui in questi anni su <em>SenzaFiltro</em> ci siamo occupati spesso.</p>



<p>Innanzitutto manca un<strong> sindacato </strong>che abbia a cuore gli interessi e i bisogni delle partite IVA e che sia il più organizzato e coeso possibile. Come abbiamo avuto modo di dire già su <em>SenzaFiltro</em>, la <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sindacato-partite-iva-uno-nessuno-e-centomila/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">rappresentanza</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sindacato-partite-iva-uno-nessuno-e-centomila/"> per le partite IVA</a> c’è, ma non arriva davvero a essere così forte da generare pressione, come avviene nel caso di varie categorie di lavoratori dipendenti. Certo, in questo caso non si parla di rinnovi di contratto come potrebbe essere per i metalmeccanici, né di riconoscere determinati benefit (ma poi perché no?), ma è importante considerare le partite IVA come un unicum, e pertanto come una forza.</p>



<p>Al momento NIdiL della CGIL, che si rivolge ai lavoratori atipici, vIVAce della CISL, ACTA per i freelance, esistono sì, ma non sono percepiti dalle partite IVA <strong>come un vero e proprio sindacato </strong>al pari di quelli che tutelano i dipendenti. Si tratta di forze che vengono incontro alle richieste dei liberi professionisti, ma che ancora non hanno fatto il vero e proprio salto.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-l-importanza-di-avere-dei-contributi-universali-e-permanenti">L’importanza di avere dei contributi universali e permanenti</h2>



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<p>C’è poi il nodo dei <strong>contributi</strong> destinati ai lavoratori autonomi. Come abbiamo visto durante la pandemia, i vari ristori o i contributi a fondo perduto – solo per citarne alcuni – hanno richiesto delle <strong>condizioni stringenti</strong>, tra cui la perdita del fatturato rispetto agli anni precedenti alla pandemia.</p>



<p>Requisiti che aumentano lo spartiacque tra chi è un dipendente che gode di <strong>benefit aziendali</strong>, welfare (tra le ultime novità i fringe benefit fino a 3.000 euro), buoni pasto ecc., e chi ha una partita IVA. Se per chi lavora in azienda ottenere un benefit non è così difficile – e le stesse aziende sono incentivate a darli, ottenendo sgravi e deduzioni interessanti – per le partite IVA non è ancora così.</p>



<p>Legare una misura di sostegno a una situazione peggiorativa può voler dire che chi non ha avuto perdita di fatturato, o magari l’ha migliorato di qualche migliaio di euro, non ha diritto a nulla; ma non è detto che non sia in difficoltà.</p>



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<h2 id="h-indennita-di-malattia-e-maternita-ancora-troppo-pochi-i-passi-in-avanti">Indennità di malattia e maternità: ancora troppo pochi i passi in avanti</h2>



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<p>Per non parlare poi della <strong>malattia</strong>. Chi ha partita IVA si vede riconosciuti dei <strong>trattamenti economici</strong> davvero esigui e soggetti a determinate condizioni. Innanzitutto, per l&#8217;indennità di malattia bisogna essere iscritti a una gestione separata e avere per esempio almeno un mese di contributi nei 12 che prevedono la malattia, e altri requisiti legati al reddito. E che cosa succede a chi ha aperto la partita IVA da poco?</p>



<p>Senza dimenticare, poi, che spesso i freelance lavorano da soli, pertanto quando stanno male spesso sono costretti a portare avanti delle attività per non compromettere il rapporto con un cliente che potrebbe non essere così clemente.</p>



<p>In merito alla malattia, la Legge di Bilancio del 2022 ha previsto l’<strong>esonero</strong> per le partite IVA dagli <strong>obblighi tributari e fiscali </strong>per un periodo che può andare dai 30 ai 60 giorni, se sono costrette a sospendere la propria attività a causa di una grave malattia o infortunio. Una novità importante, ma che ancora non porta all’equiparazione tra le diverse tipologie di lavoro e che, ancora una volta, prevede dei requisiti. Tra questi l’essere iscritti a un albo professionale, il che per esempio esclude qualche professione: web designer, grafici, coach e altri lavori non lo prevedono.</p>



<p>Differenze profonde tra lavoratrici dipendenti e freelance ci sono anche per quel che riguarda la <strong>maternità</strong>: l’indennità è riconosciuta alle future mamme, ma con diversi “paletti”. Intanto non per tutti i vari enti contributivi esiste un’indennità di maternità minima e garantita, così come per ottenere la maternità è necessario essere iscritte a una cassa previdenziale. Inoltre, viene riconosciuta un&#8217;indennità pari <strong>all’80% della retribuzione “media”</strong> <strong>di riferimento </strong>calcolata sull’anno precedente.</p>



<p>Chi ha però un’anzianità contributiva inferiore a un anno potrà determinare la sua indennità solo relativamente al reddito del periodo compreso tra il mese di iscrizione alla gestione separata e l’inizio del periodo indennizzabile.</p>



<p><strong>Per chi resta incinta </strong>e ha aperto partita IVA da poco, l’<strong>indennità</strong> rischia di essere davvero <strong>esigua</strong>. Cosa che, come sappiamo, non succede a chi ha un lavoro dipendente. Inoltre per le lavoratrici dipendenti sono previste due ore giornaliere pagate per l’allattamento. Certo, una freelance può organizzarsi in autonomia, ma vive da neomamma una situazione sicuramente non facile per la gestione del lavoro.</p>



<p>Visto che le esigenze di una mamma non sono diverse se è dipendente o libera professionista, sarebbe bene equiparare le due modalità di lavoro anche per questo aspetto.</p>



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<h2 id="h-freelance-e-salute-mentale-che-cosa-si-puo-fare-per-favorire-l-equilibrio">Freelance e salute mentale: che cosa si può fare per favorire l’equilibrio</h2>



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<p>I liberi professionisti o freelance, che dir si voglia, hanno inoltre molti problemi legati alla tipologia di lavoro che portano avanti: orari a volte inesistenti, il fatto di dover non solo fare il proprio lavoro, ma anche dover recuperare i crediti, gestire la contabilità e così via. Non avere ferie, non godere di un’indennità di malattia al pari dei lavoratori dipendenti, non avere un welfare che sia uguale a quello aziendale, spesso li porta a <strong>situazioni di grande stress</strong>, arrivando a sfociare in <strong>ansia</strong>, <strong>depressione</strong> e<strong> burnout</strong>. Senza considerare poi che i problemi personali a volte possono essere amplificati da un lavoro che richiede una presenza continua (si parla di presentismo) e un’attenzione costante, come abbiamo detto nell’articolo dedicato alla <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/disturbi-mentali-partita-iva/">salute mentale </a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/disturbi-mentali-partita-iva/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">delle</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/disturbi-mentali-partita-iva/"> partite IVA</a>.</p>



<p>Riconoscere questo stato di cose, prevedere delle <strong>convenzioni simili ai servizi psicologici </strong>offerti dalle aziende – magari dei bonus ad hoc proprio per i freelance – potrebbe di gran lunga migliorare il lavoro di un autonomo.</p>



<p>Ma soprattutto, insieme ad altre misure – malattia, maternità, contributi agevolati senza condizioni – vorrebbe dire riconoscere l<strong>’importanza per la nostra economia</strong> di questi cinque milioni di persone che ogni giorno si organizzano da sé, senza tutele e dovendo reinventarsi costantemente il lavoro.</p>



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<h2 id="h-per-una-riforma-del-lavoro-che-coinvolga-davvero-le-partite-iva">Per una riforma del lavoro che coinvolga davvero le partite IVA</h2>



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<p>È altrettanto importante dare un sostegno quando l’attività chiude e dall’altra parte non c’è un paracadute come può essere la<strong> NASpI per i dipendenti.</strong></p>



<p>Agire in questo modo vuol dire sostenere i liberi professionisti nei rischi che decidono di correre dando il loro contributo all’economia del Paese. Significherebbe riconoscere che spesso, come è evidente in alcuni contesti – come quello editoriale, per citarne uno – a portare avanti un’azienda sono più i freelance che i dipendenti.</p>



<p>Sarebbe dunque necessaria una <strong>riforma del lavoro </strong>che coinvolgesse davvero i liberi professionisti e che andasse al di là di una flat tax che non sembra tutelare chi non guadagna tanto ed è tartassato dalle tasse.</p>



<p>Minore pressione fiscale, politiche di sostegno senza condizioni e magari un ricalcolo dei contributi pensionistici sulla base del lavoro svolto potrebbero aiutare non poco le partite IVA.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/precariato/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Precariato</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><strong><em>Foto di copertina di Cocoandwifi da Pixabay</em></strong></p>


Partite IVA, indipendenti vuol dire soli?

<p>Il <strong>Governo </strong>ha dunque deciso di <strong>cedere alle pressioni </strong>di imprenditori, giornali e certi talk show che con le loro testimonianze mai verificate hanno influenzato l’opinione pubblica e alimentato conversazioni tenute in piedi da alcuni episodi di certo veri, ma anche da molti pregiudizi. In molti casi e questo non è da meno, il consenso è più importante dei diritti.</p>
<p>Da gennaio <strong>il Reddito di Cittadinanza sarà fortemente riformato</strong>, riducendo da sette a sei mesi la possibilità di percepire il sussidio ed eliminando l’aggettivo “congruo” all’offerta, che non si può rifiutare. Pena, la soppressione del sussidio stesso.</p>
<p>Pur non simpatizzando particolarmente per il Movimento 5 Stelle – così come per nessun altro partito, se dobbiamo dirla tutta – è evidente che l’accanimento verso la riforma del lavoro proposta da Di Maio &amp; co. abbia avuto fra i suoi massimi delatori tutti gli attori abituati da sempre a partecipare e a influenzare i i tavoli di lavoro governativi. <strong>Attori che il Governo Conte ha spesso tenuto ai margini</strong>.</p>
<p>In primis <strong>Confindustria </strong>e le <strong>Associazioni di Categoria</strong>, i cui presidenti, sotto presidenti e specialisti delle più disparate “industries” non si sono risparmiati nel rilasciare <strong>dichiarazioni al vetriolo contro la misura</strong>, colpevole di offrire ai disoccupati un alibi per non lavorare.</p>
<p><strong>La politica e i suoi giornali</strong> ci hanno poi messo il carico, facendone dapprima una ragione del tutto personale contro i famigerati <strong>navigator</strong>, quei “disoccupati incapaci di trovare un lavoro per se stessi, figuriamoci per gli altri”; tormentone salviniano approvato e adottato da gran parte degli opinionisti di spessore che calpestano gli studi televisivi delle trasmissioni del primo pomeriggio. Dimenticando però di ricordare che quelle Persone <strong>hanno superato un concorso per competenze</strong>, a differenza di centinaia di operatori dei Centri per l’Impiego, strutture costosissime e rifinanziate dal Governo Draghi, che storicamente non intermediano nemmeno il 2% della domanda nazionale.</p>
<p>Se abbiamo fatto qualcosa di davvero giornalistico è stato prima di tutto farci un’idea su <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/?s=navigator" target="_blank" rel="noreferrer noopener">chi fossero questi navigator</a>, quali fossero le loro competenze e poi verificare se il lavoro che veniva loro richiesto fosse adeguatamente proceduralizzato: <em>SenzaFiltro</em> ha pubblicato diversi articoli utili a capire come lavoravano, quali aree politiche li hanno osteggiati e se le alternative al loro lavoro erano altrettanto efficaci.</p>
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<h2 id="h-i-lettori-di-senzafiltro-sanno-fare-fact-checking">I lettori di <em>SenzaFiltro</em> sanno fare fact checking</h2>
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<p>Un altro aspetto di cui siamo molto fieri è aver involontariamente formato i nostri lettori nel guardare con sempre maggior sospetto alle<strong> dichiarazioni di imprenditori da tornio e da riviera</strong> che, a seconda delle stagioni, lamentavano <strong>mancanza di personale</strong>.</p>
<p><strong>Verificare la presenza delle offerte di lavoro </strong>sui siti di quelle imprese, sulle piattaforme di annunci di lavoro e sui social è diventata una sana abitudine che mette fine a qualsiasi polemica generata da personaggi più o meno qualificati, alla ricerca di facile pubblicità anzichè di veri dipendenti e collaboratori, e ben supportati da giornali alla ricerca del click facile.</p>
<p>Dal 2019 non ci siamo mai posti il problema di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/la-saga-dei-presidenti-che-non-trovano-lavoratori/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">raccogliere quelle dichiarazioni e metterle a confronto</a> con l’evidenza dei fatti.</p>
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<h2>Qualche elemento per guardare il Reddito di Cittadinanza con occhi diversi</h2>
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<p>Probabilmente qualche lettore avrà amici o conoscenti che lamentano o hanno lamentato <strong>i tanti “bug” del sussidio</strong> e della difficoltà di reperire personale “per colpa di”.</p>
<p>È innegabile che tutto può essere migliorato, a partire dai <strong>controlli </strong>sia nei confronti di chi rinuncia alle offerte di lavoro – perché la regola metteva un paletto di tre rinunce per perdere il Reddito, ma nessuno ha mai monitorato – sia nei confronti delle offerte stesse. Purtroppo non sono poche nemmeno le testimonianze e le incursioni di alcuni giornalisti in <strong>colloqui di lavoro dove la proposta del nero o di orari “sgonfiati” </strong>arrivava dal lato azienda, e non dal lato percettore.</p>
<p>Tuttavia bisogna anche essere consapevoli del fatto che questa misura coinvolge circa<strong> tre milioni di Persone</strong>, un numero davvero sproporzionato rispetto a tutta la letteratura che si è fatta intorno al fenomeno. Se questo numero poi lo tagliamo di circa la metà, che corrisponde ai cosiddetti “<strong>non occupabili</strong>“, ovvero Persone che non lavorano da più di cinque anni, che non hanno alcun titolo, a bassissima alfabetizzazione o in un’età che li porta automaticamente a essere fuori dal sistema, direi che il gioco è fatto.</p>
<p>A fronte di una <strong>disoccupazione dell’8% </strong>diventa quasi inspiegabile capire dove siano finiti tutti gli altri “<strong>disoccupati sani</strong>” che non percepiscono alcunché, visto che non compaiono mai nelle cronache fra coloro che partecipano a colloqui di selezione. Sembra quasi che certi imprenditori attirino solo ed esclusivamente percettori di Reddito. E lo vadano poi a raccontare alla stampa.</p>
<p>L’altro dato che lascia perplessi è come sia possibile che <strong>giornali come il <em>Gazzettino Veneto</em>, il <em>Tirreno</em>, il <em>Resto del Carlino</em></strong> siano riusciti a generare un quantitativo così ingente di testimonianze al Centro-Nord, quando più del 50% dei percettori di Reddito risulta essere – com’è ovvio – residente al Sud.</p>
<p><strong>Insomma, i numeri non tornano</strong>. Ancor meno quelli <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/bonomi-da-i-numeri-sul-reddito-di-cittadinanza-ma-sono-tutti-incorretti/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">sviscerati alla carlona dal presidente degli industriali Carlo Bonomi</a> durante un discorso al Convegno dei Giovani di Confindustria a Napoli, e che <em>SenzaFiltro</em> ha smentito col supporto di Alessandro Guerriero, giovane laureato con lode in scienze economiche e specializzato sui temi del mercato del lavoro e delle disuguaglianze.</p>
<p>Ben altra situazione quella disegnata da INPS, Corte dei Conti e Caritas, che nelle loro relazioni annuali hanno espressamente dichiarato che il Reddito di Cittadinanza – al netto di qualche furbetto che esiste in qualsiasi contesto – ha permesso a circa 2.000 famiglie di restare <strong>al di sopra della soglia dell’indigenza</strong>.</p>
<p>Se guardiamo le <strong>assunzioni</strong> e le mettiamo in relazione ai litri di lacrime di coccodrillo versate dagli imprenditori sia della collezione Primavera Estate che di quella Autunno Inverno qualcosa non torna: il <strong>numero di contratti regolari</strong> firmati fino a settembre 2022 ha raggiunto i <strong>livelli più alti degli ultimi dieci anni</strong>. Evidentemente in Italia se si decide di assumere rispettando le regole, si trovano anche i lavoratori.</p>
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<h2>Quali alternative al sussidio?</h2>
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<p>Mentre il Governo Meloni ha ben chiaro cosa fare del Reddito di Cittadinanza, al momento non è pervenuta <strong>alcuna proposta alternativa</strong> per supportare chi è indigente e necessita di un’occupazione, come del resto ne esistono in ogni Paese europeo.</p>
<p>Mi permetto di lanciare un segnale d’allarme alla parola “<strong>voucher</strong>” che aleggia in questi giorni nei corridoi parlamentari, dove evidentemente non si impara mai dagli errori passati.</p>
<p>Il sistema dei voucher infatti, fu uno dei <strong>grossi flop del Jobs Act renziano</strong>, utile soprattutto a <strong>regolarizzare il nero</strong> e ad <strong>alzare il livello di precarietà</strong>. Una mente sopraffina infatti aveva previsto che i datori di lavoro, appartenenti fra l’altro a categorie dove il nero è più frequente (edilizia, logistica, turismo), potessero registrare i voucher fino a 24 ore dopo la prestazione d’opera. In pratica, se non avevi ricevuto controlli, il voucher rimaneva immacolato nel cassetto fino alla prossima occasione.</p>
<p>In un momento storico come questo, nella volontà di dimostrare maggiore autorevolezza rispetto ai governi precedenti, sarebbe necessario evitare di <strong>riciclare misure</strong> che hanno rivelato tutta la loro <strong>debolezza </strong>e studiare invece modalità a supporto della precarietà.</p>
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<h2>Fra congruo e non congruo, cosa ci si aspetta da domani</h2>
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<p>Adesso che la palla è passata di mano a un governo di <strong>destra </strong>(che, molto critico durante quello precedente, ne sta ripercorrendo per filo e per segno lo stesso binario) e che il <strong>centrosinistra </strong>che fino a ieri osteggiava il Reddito oggi ne riconosce il valore sociale, c’è da chiedersi <strong>se il Reddito di Cittadinanza sia solo un pupazzo con cui giocano le aree politiche</strong> con opinioni interscambiabili a seconda che ci si trovi dalla parte della maggioranza o nel campo di gioco dell’opposizione.</p>
<p>Sta di fatto che l’annuncio ufficiale prevede che entro la fine del 2023 il Reddito di Cittadinanza non avrà più dignità propria. I navigator, un popolo di laureati, specializzati in orientamento professionale, risorse forse di qualità rispetto a quello che offre oggi il mercato istituzionale, sono ritornati ad alimentare le file dei disoccupati. Il periodo di usufrutto del Reddito scende a sei mesi in un Paese in cui le figure specializzate impiegano una media di un anno e mezzo per ricollocarsi e al concorso per spazzini a Napoli partecipano i laureati. <strong>L’offerta deve essere accettata tout-court</strong>, <strong>non importa se sia congrua</strong>.</p>
<p>Significa che per evitare di restare senza Reddito e anche senza lavoro <strong>devo accettare un’offerta anche a 70 km da casa</strong>, con una retribuzione pari o inferiore al RdC (che ricordiamo, si attesta su una media di 520 euro), con tutti i costi che ne conseguono e che al termine del mese rosicchieranno inevitabilmente quella cifra.</p>
<p>Mi chiedo <strong>quale sia lo scandalo nel rifiutare un lavoro che </strong>“<strong>non conviene</strong>” nell’economia famigliare, rispetto a quanto offre un sussidio al netto delle spese. Se i 600 euro del Reddito di Cittadinanza mi permettono di mettere un piatto in tavola tutti i giorni, perché dovrei accettare di lavorare in una condizione che alla fine del mese mi lascia in tasca di meno?</p>
<p>I candidati con cui lavoro, di norma, guadagnano cifre 10-15 volte più alte di queste, e nonostante tutto se ne guardano bene dall’accettare un’offerta al di sotto di quella attuale. Così come, sebbene forti di stipendi a quattro zeri, spesso non accettano di trasferirsi in un’altra città pur avendone tutte le possibilità.</p>
<p><strong>Mi chiedo se il diritto di rifiutare un lavoro sia anch’esso elitario</strong>, perché stiamo facendo credere non che le Persone rifiutino perché diventano più povere lavorando, ma perché a parità di stipendio preferiscono stare sul divano senza fare nulla.</p>
<p>Ecco, io di queste <strong>non ne conosco</strong>. Sono certo che la maggioranza delle Persone sia alla ricerca di dignità, e il lavoro è fra le cose che te ne offre nei confronti del tuo partner, dei tuoi genitori, dei tuoi figli, dei tuoi amici. Non credo ci sia nessuno che orgogliosamente <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/vergogna-rdc-paura-poverta/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">sventoli la bandiera del Reddito</a> come una sorta di successo personale.</p>
<p>Credo invece che la politica, quando approva o meno una legge, dovrebbe farlo senza la presunzione di credere che i destinatari di quella legge siano necessariamente tutti come certi politici o anche solo evitando di utilizzare il sistema dominante di certe aziende in cui <strong>si fanno le regole in funzione di chi non le rispetterà</strong>, anziché premiare chi opera in modo corretto.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reddito-di-cittadinanza/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Reddito di Cittadinanza</a></strong>.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
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Danzi

Osvaldo Danzi

Appassionato di Umane Risorse e tecnologie. Inizia l’attività di recruiter nel 1997 selezionando profili legati al settore alberghiero e oggi collabora con SCR Consulenza seguendo le selezioni di middle e top management. È il fondatore della Business Community FiordiRisorse nominata da Linkedin come caso di successo italiano, l’ideatore dell’unico Master italiano per manager e imprenditori definito etico, lowcost, itinerante che in otto anni è stato ospitato in oltre 150 aziende italiane. Collabora con Harvard Business Review. Tre volte speaker di TedX, è fra gli ideatori di Nobìlita, il Festival della Cultura del lavoro. &nbsp; E-mail: osvaldo.d@fiordirisorse.eu

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Il reddito di cittadinanza fra luoghi comuni e dati addomesticati. In attesa di una valida alternativa

Reddito di Cittadinanza: il diritto alla povertà - Informazione senza filtro

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<p>“Andate a sentire gli operatori dei CPI: molte volte non sanno come fare senza di noi. E noi rimaniamo a casa. <strong>Le nostre emozioni sono rabbia e disgusto</strong>.”</p>



<p>Senza troppi giri di parole <strong>Matteo Diomedi</strong>, navigator marchigiano e presidente di A.N.N.A., lo ha dichiarato in un’intervista di qualche mese fa per <em>SenzaFiltro</em>. Già, perché loro le hanno davvero provate tutte per dimostrare di aver acquisito competenze importanti e utili all’attuale contesto storico, in materia di politiche attive.</p>



<p>E invece non è bastato fondare un’associazione nazionale per comunicare meglio il loro punto di vista, scrivere un libro a più mani per raccontare le attività e le difficoltà quotidiane, lavorare a un <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/11-600-nuovi-navigator-serviranno-ecco-cosa-dice-il-report-di-categoria/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">report</a> che analizza in modo oggettivo obiettivi e risultati, e addirittura provare il frullatore mediatico della prima serata (stoico, nel maggio 2021, l’allora responsabile della comunicazione Antonio Lenzi da Giletti a <em>Non è l’Arena</em>). All’opinione pubblica non è arrivato niente. La <strong>cattiva nomea</strong> degli esordi è rimasta tale per la maggioranza degli italiani.</p>



<p>Così i <strong>navigator</strong>, nonostante gli sforzi, per lunghi tratti del dibattito nazionale sono rimasti afoni e senza identità (come capita da sempre ai migranti), riuniti in una massa indistinta e senza la possibilità di offrire degno contraddittorio o approfondimento alla superficiale versione da “campagna elettorale”. Quale? “L’Italia è un Paese pieno di svogliati cultori del divano e le imprese non trovano lavoratori a causa del Reddito di Cittadinanza”.</p>



<p>Gioco troppo facile per politica e gran parte dei media, abili ad apporre un’accezione negativa a un nome magari non del tutto azzeccato, in modo da confezionare il capro espiatorio perfetto per attaccare chi, sparandola grossa, aveva dichiarato di abolire la povertà.</p>



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<h2 id="h-cronaca-della-fine-dei-navigator-e-adesso">Cronaca della fine dei navigator. E adesso?</h2>



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<p>Il problema è che nel 2019, dietro questa enorme cassa di risonanza delle semplificazioni, si era formato un <strong>gruppo di professionisti</strong> intenzionato a contribuire al <strong>miglioramento delle politiche attive e del servizio pubblico in generale</strong>, oltretutto grazie a un regolare e tutt’altro che scontato percorso di selezione. Persone giovani, preparate e con importanti percorsi di studio alle spalle.</p>



<p>Insomma, malgrado le premesse ne è nata una <strong>grottesca epopea durata tre anni</strong> che il nostro giornale ha raccontato e accompagnato. Dalla partenza sciancata e difficoltosa nell’autunno del 2019 dei 2.980 navigator alle prime denunce pubblicate sulla nostra sezione dedicata al whistleblowing, nel febbraio 2021; poi tutto il susseguirsi di proroghe e tira e molla, dall’ostracismo politico in Veneto alle barricate in Campania, con gli operatori esclusi deliberatamente dagli spazi fisici dei centri per l’impiego.</p>



<p>Fino all’incredibile ballo di quest’anno. Molti, visto lo stato di precarietà e fiutato l’inghippo, avevano già deciso di rassegnare le dimissioni anzitempo. Per gli irriducibili 1.800 rimasti il primo conto alla rovescia è partito in vista del <strong>30 aprile</strong>, data di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator-non-ne-rimarra-neanche-uno-dal-governo-stop-alle-proroghe/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">scadenza della proroga contrattuale</a>. Poi il <strong>decreto Aiuti</strong> ha sancito un ulteriore prolungamento per giugno e luglio (con l’assurdo buco del mese di maggio), lasciando libero arbitrio alle Regioni per un’ulteriore coda di tre mesi. </p>



<p>Apriti cielo. <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/veneto-basta-navigator-donazzan/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">I <strong>detrattori</strong> di stampo politico si sono smarcati subito</a> (in tutto cinque Regioni), chiudendo l’avventura di circa 300 operatori. Gli altri 1.500 sono rimasti sul ciglio del burrone, sballottati pure da un cambio di governo in corso. Per arrivare alla definitiva conclusione del <strong>31 ottobre</strong> scorso, con la <strong>cessazione di tutti i rapporti di lavoro</strong>.</p>



<div style="height:50px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<h2 id="h-nessuno-li-vuole-ma-tutti-li-cercano-il-doppio-gioco-di-regioni-e-politica">Nessuno li vuole ma tutti li cercano: il doppio gioco di Regioni e politica</h2>



<div style="height:30px" aria-hidden="true" class="wp-block-spacer"></div>



<p><strong>Ma questi navigator <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/11-600-nuovi-navigator-serviranno-ecco-cosa-dice-il-report-di-categoria/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">servivano o non servivano?</a></strong></p>



<p>Alla domanda non ci siamo mai sottratti. Basta però leggere le cronache delle ultime settimane per capire che qualcosa non torna. Lo strutturale stato comatoso di gran parte dei centri per l’impiego, le richieste di molte Regioni alla ministra Calderone per una nuova proroga, il lavoro delle agenzie interinali per accaparrarsi beneficiari e prime pagine dei giornali. Regioni con organizzazioni virtuose, come il Veneto, che scivolano su grottesche bucce di banana, coma la <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator-politica-privati/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">riassunzione di ex navigator con contratti di somministrazione</a>.</p>



<p>In pratica, c’è bisogno di una mano. Poi è chiaro, il lavoro di questi operatori non era certo la panacea di tutti i mali, ma il loro supporto di competenze ed esperienza acquisita avrebbe permesso quantomeno di continuare a sbarcare il lunario con meno patemi d’animo. <strong>Un’occasione persa, l’ennesima del servizio pubblico</strong>, a totale appannaggio del privato.</p>



<p>Per il resto il luogo comune dei “precari che non sono in grado di ricollocare nessuno, tanto meno se stessi” è fin troppo facile da smontare. Bastano pochi dati: secondo ANPAL il 73% dei percettori di Reddito di Cittadinanza soggetti al Patto per il lavoro non ha mai avuto un contratto di lavoro dipendente nei 36 mesi precedenti. E due terzi arrivano al massimo alla licenza media, a sottolineare e inquadrare l’enorme problema di inclusione sociale.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Salvoro-Navigator.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Salvoro-Navigator.png" alt="" class="wp-image-53445" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-anpal-prova-a-fare-gol-620-000-i-beneficiari-da-collocare">ANPAL prova a fare GOL: 620.000 i beneficiari da collocare</h2>



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<p>Dunque <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator-unanimi-da-nord-a-sud-i-percettori-rdc-quasi-mai-adatti-alle-imprese/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">la maggior parte dei beneficiari non è ricollocabile</a></strong>, almeno non nel breve periodo. E sta proprio lì il gigantesco malinteso: il <strong>mandato dei navigator</strong>, da contratto, non era trovare lavoro ai percettori, ma <strong>creare condizioni e strumenti</strong> per farli <strong>rientrare nel mercato</strong>. Un’attività lunga e complessa, dai risultati non immediati. Su questo dovevano essere valutati. Poi, se all’interno della misura del Reddito di Cittadinanza le politiche attive non hanno funzionato, bisogna guardare alle carenze strutturali dei CPI che non funzionano da secoli, all’incredibile inefficienza dei gestionali nella mappatura delle opportunità professionali, alla gestione in totale ordine sparso da parte delle Regioni. Tutte criticità che non si risolveranno con l’uscita di scena dei navigator.</p>



<p>Nel frattempo, comunque, <strong>ANPAL</strong> prova a rilanciare sulle politiche attive e pubblica i primi dati relativi al <strong>progetto Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori </strong>(GOL). Il piano, che grazie al PNRR dispone di risorse per <strong>4,4 miliardi</strong>, punta a riqualificare i servizi di politica attiva grazie al potenziamento dei CPI e al Piano Nazionale Nuove Competenze.</p>



<p>Al 30 novembre, secondo il commissario <strong>Raffaele Tangorra</strong>, sono <strong>620.000 i beneficiari</strong> del programma GOL presi in carico dai centri per l’impiego, il 56,3% donne, il 26,4% giovani, il 14% stranieri. E sì, il 54,5% disoccupati con domanda di NASpI e il 21% percettori di Reddito di Cittadinanza. Dati che sembrano rassicurare sulla tenuta del nuovo sistema di presa in carico, uniforme su base nazionale. Vedremo: il bello arriva adesso, prendere in carico è solo il primo passo e la strada da percorrere resta ancora molto lunga. Noi staremo alla finestra a osservare.</p>



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<h2 id="h-l-estinzione-del-reddito-di-cittadinanza-per-un-terzo-dei-percettori">L’estinzione del Reddito di Cittadinanza per un terzo dei percettori</h2>



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<p>Quanto al <strong>Reddito di Cittadinanza</strong>, c’è poco da stare allegri. Il nuovo <strong>Governo Meloni</strong> ne ha già decretato la <strong>fine</strong>, per tappe. Durerà otto mesi nel 2023 per gli occupabili, mentre per gli altri percettori sarà garantito fino al termine dell’anno. Dal 2024, invece, cesserà di esistere, sostituito da un nuovo sussidio promesso ma non ancora identificato.</p>



<p>Secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, su dati INPS, da settembre 2023 <strong>un terzo dei nuclei che oggi beneficiano della misura rimarrà escluso</strong>. E se gli ex navigator, in barba a chi li ha sbeffeggiati per anni, sapranno ricollocarsi senza grossi problemi (magari ingrassando le fila del privato a discapito del pubblico), la stessa cosa non si può dire per i famosi “occupabili”, e soprattutto per tutti gli altri percettori.</p>



<p>Noi non vogliamo credere che il governo in carica non abbia a cuore i più deboli, ma com’è nostra consuetudine continueremo a vigilare con un doppio occhio clinico: sulle politiche attive e sulle misure di sostegno alla povertà.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/navigator-unanimi-da-nord-a-sud-i-percettori-rdc-quasi-mai-adatti-alle-imprese/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Navigator</a></strong>.</em></p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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Navigator addio. Agenzie private per il lavoro, panacea di tutti i mali?

<p>Per alcuni è una scelta dettata dalla voglia di poter decidere del proprio lavoro in autonomia ed esplorare altre strade, per altri è invece obbligata: non riuscendo a ottenere un lavoro fisso si “accontentano” di avere più collaborazioni possibili. C’è poi chi trova un’azienda per cui lavorare, che però non ha nessuna intenzione di fargli un contratto nonostante richieda una presenza fissa.</p>
<p>Quello che abbiamo appena tratteggiato è il <strong>mondo delle partite IVA </strong>o dei cosiddetti <strong>lavoratori autonomi</strong>, che in Italia, stando agli ultimi dati elaborati dall’Ufficio Studi della CGIA sui numeri forniti dall’<a href="https://www.istat.it/it/archivio/276887" target="_blank" rel="noreferrer noopener">ISTAT</a> nel novembre scorso (relativi al settembre 2022), sono <strong>5.019.000</strong>. Alcune si sono perse per strada, visto che nello stesso periodo del 2021 le partite IVA erano ben 16.000 in più.</p>
<p>Ma <strong>che cosa vuol dire oggi essere un lavoratore autonomo</strong>? Dietro queste due parole, di solito usate per operare una differenza netta con il lavoratore dipendente, nella realtà c’è un vero e proprio mondo che chi scrive conosce bene.</p>
<p>Anni fa, nel 2017, dopo tre anni da dipendente e un’uscita tutt’altro che serena da un’azienda, decisi che era ora di mettermi alla prova come freelance. Lo confesso: sono felice di questa scelta e non tornerei indietro, anche solo per dare ascolto a quel mal di pancia che mi viene ogni volta che mi propongono un lavoro con orari fissi, una sede e la pianificazione delle vacanze subordinata all’approvazione di un comitato composto da manager e HR.</p>
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<h2 id="h-le-partite-iva-in-italia-a-rischio-di-poverta-o-esclusione-sociale">Le partite IVA in Italia a rischio di povertà o esclusione sociale</h2>
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<p>Al di là della convinzione, essere un lavoratore autonomo in Italia non è facile per tantissimi motivi: l’<strong>incertezza</strong>, sicuramente, ma anche il <strong>rischio di povertà</strong>. A fronte di chi magari negli anni è riuscito a costruirsi una rete di clienti e di persone con cui collaborare – pur sapendo che è possibile perdere tutto da un momento all’altro – i rischi di povertà o <strong>esclusione sociale</strong> sono sempre dietro l’angolo. Specie quando si vive in una famiglia i cui membri hanno come reddito principale quello da lavoratore indipendente.</p>
<p>A parlare ancora una volta sono i numeri, come quelli proposti dalla CGIA, sempre su dati ISTAT, che testimoniano come <strong>il</strong> “<strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/partite-iva-lo-scenario-e-dietro-il-sipario/">popolo </a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/partite-iva-lo-scenario-e-dietro-il-sipario/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">delle</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/partite-iva-lo-scenario-e-dietro-il-sipario/"> partite IVA</a></strong>” (ma avete mai sentito parlare del “popolo dei dipendenti?” Anche in questo c’è una significativa differenza), in cui si inseriscono artigiani, liberi professionisti ma anche commercianti, <strong>abbia più difficoltà economiche dei lavoratori dipendenti</strong>. E riguardo a questo la pandemia, di cui ancora ci riempiamo la bocca, non ha fatto altro che peggiorare la situazione.</p>
<p>Secondo l’indagine campionaria dell’ISTAT relativa al 2021, la percentuale di famiglie con reddito principale da lavoro dipendente a <strong>rischio povertà o esclusione sociale</strong> è del 18,4%. Quando invece il reddito principale viene dal <strong>lavoro autonomo</strong>, si innalza al <strong>24%</strong>.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-1.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-1.png" alt="" class="wp-image-53429" /></a></figure>
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<h2 id="h-la-partita-iva-oggi-da-status-symbol-a-ripiego">La partita IVA oggi: da status symbol a ripiego</h2>
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<p>Per gli imprenditori individuali c’è un aspetto poi da considerare: a differenza dei lavoratori subordinati, quando chiudono l’attività <strong>non hanno nessun sostegno al reddito</strong>.</p>
<p>Non solo: per loro non è facile trovare un altro impiego, il che è dovuto spesso all’età non giovanissima di chi si mette in proprio e ci resta per anni, ma anche al fatto che, secondo la CGIA, le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo a volte queste persone verso il lavoro in nero.</p>
<p>E se fino a una decina di anni fa aprire una partita IVA era uno status symbol, oggi per un giovane spesso è un <strong>ripiego</strong>, o nei casi peggiori una <strong>costrizione da parte di un committente</strong> che non vuole fare un contratto. Che agisce così per risparmiare sui contributi, sull’assicurazione, sui benefit, ma nonostante questo chiede al freelance la stessa disponibilità e abnegazione di un dipendente.</p>
<p>Restando nell’ambito di chi invece è appena entrato nel mondo dei lavoratori autonomi, l’Osservatorio delle Partite IVA del ministero dell’Economia e delle Finanze ci dice che sono <strong>94.080</strong> quelle <strong>aperte nel terzo trimestre del 2022</strong>.</p>
<p>Di queste, il 69,7% è costituito da persone fisiche, il 21,8% da società di capitali, il 2,8% da società di persone. Si può vedere come la maggioranza sia composta quindi da imprenditori individuali, ma emerge anche un altro dato: rispetto al terzo trimestre del 2021, c’è un <strong>calo generalizzato</strong>. Nel caso delle partite IVA aperte da persone fisiche, dell’8%.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-2.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Maccarrone-Partite-IVA-e-sindacati-2.png" alt="" class="wp-image-53431" /></a></figure>
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<h2 id="h-un-sindacato-per-le-partite-iva-la-necessita-di-una-forza-coesa-e-organizzata">Un sindacato per le partite IVA: la necessità di una forza coesa e organizzata</h2>
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<p>Al di là dei numeri, quello su cui è importante riflettere non è solo la situazione economica delle partite IVA, ma<strong> tutto ciò che manca a un lavoratore autonomo</strong> rispetto a un <strong>dipendente</strong>, temi di cui in questi anni su <em>SenzaFiltro</em> ci siamo occupati spesso.</p>
<p>Innanzitutto manca un<strong> sindacato </strong>che abbia a cuore gli interessi e i bisogni delle partite IVA e che sia il più organizzato e coeso possibile. Come abbiamo avuto modo di dire già su <em>SenzaFiltro</em>, la <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sindacato-partite-iva-uno-nessuno-e-centomila/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">rappresentanza</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sindacato-partite-iva-uno-nessuno-e-centomila/"> per le partite IVA</a> c’è, ma non arriva davvero a essere così forte da generare pressione, come avviene nel caso di varie categorie di lavoratori dipendenti. Certo, in questo caso non si parla di rinnovi di contratto come potrebbe essere per i metalmeccanici, né di riconoscere determinati benefit (ma poi perché no?), ma è importante considerare le partite IVA come un unicum, e pertanto come una forza.</p>
<p>Al momento NIdiL della CGIL, che si rivolge ai lavoratori atipici, vIVAce della CISL, ACTA per i freelance, esistono sì, ma non sono percepiti dalle partite IVA <strong>come un vero e proprio sindacato </strong>al pari di quelli che tutelano i dipendenti. Si tratta di forze che vengono incontro alle richieste dei liberi professionisti, ma che ancora non hanno fatto il vero e proprio salto.</p>
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<h2 id="h-l-importanza-di-avere-dei-contributi-universali-e-permanenti">L’importanza di avere dei contributi universali e permanenti</h2>
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<p>C’è poi il nodo dei <strong>contributi</strong> destinati ai lavoratori autonomi. Come abbiamo visto durante la pandemia, i vari ristori o i contributi a fondo perduto – solo per citarne alcuni – hanno richiesto delle <strong>condizioni stringenti</strong>, tra cui la perdita del fatturato rispetto agli anni precedenti alla pandemia.</p>
<p>Requisiti che aumentano lo spartiacque tra chi è un dipendente che gode di <strong>benefit aziendali</strong>, welfare (tra le ultime novità i fringe benefit fino a 3.000 euro), buoni pasto ecc., e chi ha una partita IVA. Se per chi lavora in azienda ottenere un benefit non è così difficile – e le stesse aziende sono incentivate a darli, ottenendo sgravi e deduzioni interessanti – per le partite IVA non è ancora così.</p>
<p>Legare una misura di sostegno a una situazione peggiorativa può voler dire che chi non ha avuto perdita di fatturato, o magari l’ha migliorato di qualche migliaio di euro, non ha diritto a nulla; ma non è detto che non sia in difficoltà.</p>
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<h2 id="h-indennita-di-malattia-e-maternita-ancora-troppo-pochi-i-passi-in-avanti">Indennità di malattia e maternità: ancora troppo pochi i passi in avanti</h2>
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<p>Per non parlare poi della <strong>malattia</strong>. Chi ha partita IVA si vede riconosciuti dei <strong>trattamenti economici</strong> davvero esigui e soggetti a determinate condizioni. Innanzitutto, per l&#8217;indennità di malattia bisogna essere iscritti a una gestione separata e avere per esempio almeno un mese di contributi nei 12 che prevedono la malattia, e altri requisiti legati al reddito. E che cosa succede a chi ha aperto la partita IVA da poco?</p>
<p>Senza dimenticare, poi, che spesso i freelance lavorano da soli, pertanto quando stanno male spesso sono costretti a portare avanti delle attività per non compromettere il rapporto con un cliente che potrebbe non essere così clemente.</p>
<p>In merito alla malattia, la Legge di Bilancio del 2022 ha previsto l’<strong>esonero</strong> per le partite IVA dagli <strong>obblighi tributari e fiscali </strong>per un periodo che può andare dai 30 ai 60 giorni, se sono costrette a sospendere la propria attività a causa di una grave malattia o infortunio. Una novità importante, ma che ancora non porta all’equiparazione tra le diverse tipologie di lavoro e che, ancora una volta, prevede dei requisiti. Tra questi l’essere iscritti a un albo professionale, il che per esempio esclude qualche professione: web designer, grafici, coach e altri lavori non lo prevedono.</p>
<p>Differenze profonde tra lavoratrici dipendenti e freelance ci sono anche per quel che riguarda la <strong>maternità</strong>: l’indennità è riconosciuta alle future mamme, ma con diversi “paletti”. Intanto non per tutti i vari enti contributivi esiste un’indennità di maternità minima e garantita, così come per ottenere la maternità è necessario essere iscritte a una cassa previdenziale. Inoltre, viene riconosciuta un&#8217;indennità pari <strong>all’80% della retribuzione “media”</strong> <strong>di riferimento </strong>calcolata sull’anno precedente.</p>
<p>Chi ha però un’anzianità contributiva inferiore a un anno potrà determinare la sua indennità solo relativamente al reddito del periodo compreso tra il mese di iscrizione alla gestione separata e l’inizio del periodo indennizzabile.</p>
<p><strong>Per chi resta incinta </strong>e ha aperto partita IVA da poco, l’<strong>indennità</strong> rischia di essere davvero <strong>esigua</strong>. Cosa che, come sappiamo, non succede a chi ha un lavoro dipendente. Inoltre per le lavoratrici dipendenti sono previste due ore giornaliere pagate per l’allattamento. Certo, una freelance può organizzarsi in autonomia, ma vive da neomamma una situazione sicuramente non facile per la gestione del lavoro.</p>
<p>Visto che le esigenze di una mamma non sono diverse se è dipendente o libera professionista, sarebbe bene equiparare le due modalità di lavoro anche per questo aspetto.</p>
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<h2 id="h-freelance-e-salute-mentale-che-cosa-si-puo-fare-per-favorire-l-equilibrio">Freelance e salute mentale: che cosa si può fare per favorire l’equilibrio</h2>
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<p>I liberi professionisti o freelance, che dir si voglia, hanno inoltre molti problemi legati alla tipologia di lavoro che portano avanti: orari a volte inesistenti, il fatto di dover non solo fare il proprio lavoro, ma anche dover recuperare i crediti, gestire la contabilità e così via. Non avere ferie, non godere di un’indennità di malattia al pari dei lavoratori dipendenti, non avere un welfare che sia uguale a quello aziendale, spesso li porta a <strong>situazioni di grande stress</strong>, arrivando a sfociare in <strong>ansia</strong>, <strong>depressione</strong> e<strong> burnout</strong>. Senza considerare poi che i problemi personali a volte possono essere amplificati da un lavoro che richiede una presenza continua (si parla di presentismo) e un’attenzione costante, come abbiamo detto nell’articolo dedicato alla <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/disturbi-mentali-partita-iva/">salute mentale </a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/disturbi-mentali-partita-iva/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">delle</a><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/disturbi-mentali-partita-iva/"> partite IVA</a>.</p>
<p>Riconoscere questo stato di cose, prevedere delle <strong>convenzioni simili ai servizi psicologici </strong>offerti dalle aziende – magari dei bonus ad hoc proprio per i freelance – potrebbe di gran lunga migliorare il lavoro di un autonomo.</p>
<p>Ma soprattutto, insieme ad altre misure – malattia, maternità, contributi agevolati senza condizioni – vorrebbe dire riconoscere l<strong>’importanza per la nostra economia</strong> di questi cinque milioni di persone che ogni giorno si organizzano da sé, senza tutele e dovendo reinventarsi costantemente il lavoro.</p>
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<h2 id="h-per-una-riforma-del-lavoro-che-coinvolga-davvero-le-partite-iva">Per una riforma del lavoro che coinvolga davvero le partite IVA</h2>
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<p>È altrettanto importante dare un sostegno quando l’attività chiude e dall’altra parte non c’è un paracadute come può essere la<strong> NASpI per i dipendenti.</strong></p>
<p>Agire in questo modo vuol dire sostenere i liberi professionisti nei rischi che decidono di correre dando il loro contributo all’economia del Paese. Significherebbe riconoscere che spesso, come è evidente in alcuni contesti – come quello editoriale, per citarne uno – a portare avanti un’azienda sono più i freelance che i dipendenti.</p>
<p>Sarebbe dunque necessaria una <strong>riforma del lavoro </strong>che coinvolgesse davvero i liberi professionisti e che andasse al di là di una flat tax che non sembra tutelare chi non guadagna tanto ed è tartassato dalle tasse.</p>
<p>Minore pressione fiscale, politiche di sostegno senza condizioni e magari un ricalcolo dei contributi pensionistici sulla base del lavoro svolto potrebbero aiutare non poco le partite IVA.</p>
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<p><strong><em>Foto di copertina di Cocoandwifi da Pixabay</em></strong></p>


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Cristina Maccarrone

Siciliana trapiantata a Milano, innamorata profondamente della sua terra ma anche del capoluogo meneghino. Scrive tanto, twitta e posta su LinkedIn parlando di lavoro, scrittura online e dell’essere freelance. Lo è dal 2017 dopo una felice esperienza come direttore di giornale (Walk on Job) e una meno felice come dipendente in azienda (come content e community manager) quando ha capito che essere una “libera battitrice” era ed è il suo modo di lavorare. Collabora con giornali online e aziende di cui cura la content strategy e scrive contenuti in ottica SEO. Oltre a organizzare e tenere corsi di formazione, sia con aziende che con liberi professionisti. A oggi pensa che voleva fare la giornalista sin da bambina (da qui liceo classico, laurea in Lettere e master in formazione e media), ma non avrebbe mai immaginato l’avrebbe fatto così e insieme a tanto altro. Ha scritto 3 manuali “dall’aspetto di saggio”: Scrivere per informare, L&#8217;impresa come media, Content marketing per eventi, che sono stati scelti in alcune università come libri di testo. Adora parlare con le persone e il suo giornalismo su SenzaFiltro è fatto essenzialmente di questo: dare voce a chi non ce l’ha per raccontare diritti violati, storie e modi di vivere cui nessuno presta attenzione. Sono SenzaFiltro perché non mi piacciono le “verità rivelate”, le imposizioni dettate dall’alto senza capire che non per tutti va bene la stessa cosa. E perché cerco di mettermi sempre nei panni di chi ho davanti (a volte pure troppo). &#8212; e-mail: cristina.m@fiordirisorse.eu Città di origine: Furci Siculo, un paese di 3.000 abitanti sul mar Jonio messinese Città di adozione: Milano Titolo di studio: Laurea in Lettere e master in Formazione e media Il mio lavoro: Giornalista freelance, content strategist e SEO copywriter per vari blog aziendali Per SenzaFiltro scrivo di: lavoro, salute e società Film preferito: “Le fate ignoranti” (ma adoro Elio Germano) Disco preferito: “American Idiot” dei Green Day e “Così com’è” degli Articolo 31 Libro preferito: I libri di Elena Ferrante e John Fante (e tanti altri…) e il mio Scrivere per informare insieme a Riccardo Esposito

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Il rischio di povertà è del 6% più alto per le famiglie il cui reddito principale proviene da lavoro indipendente: non basterà una flat tax per risolvere i problemi dei lavoratori autonomi. Ma all&#8217;orizzonte non si profilano riforme di sistema.

Partite IVA, indipendenti vuol dire soli? - Informazione senza filtro

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